di Paolo Lorizzo*
ROMA, sabato, 25 agosto 2012 (ZENIT.org).- Quante volte ci è capitato nella nostra vita di visitare un edificio di culto e provare una grande emozione attraversando la soglia che immette all’interno dell’edificio. Spesso l’emozione dura un solo istante, ma concentra gran parte delle energie, quasi rappresenti un’inconscia consapevolezza di entrare in un’altra dimensione e di sentire il dovere di rispettare un luogo sacro.
La consuetudine di proteggere questa ‘linea di passaggio’ con porte e portoni istoriati e di grande bellezza risale all’epoca paleocristiana, a sua volta ereditata dalla tradizione romana. Pochi ma splendidi esemplari infatti, pur testimoniando l’austerità della cultura artistica imperiale, provano chiaramente come la tradizione cristiana vi abbia profondamente attinto. Alcuni manufatti miracolosamente conservati hanno dato la grande opportunità agli storici dell’arte di poter studiare in modo diretto quanto preservato dal tempo e dalla consunzione ed effettuare interessanti confronti stilistici ed iconografici.
Uno degli esemplari più mirabili a disposizione per uno studio dettagliato è la porta di legno di cipresso della basilica di Santa Sabina a Roma, ancora situata li dove venne originariamente collocata. Questa rappresenta il più antico esempio di scultura lignea paleocristiana datato al 432 d.C. Come tramandatoci da Eusebio di Cesarea (prima metà del IV secolo), le porte lignee nell’antichità erano rivestite da una lamina di metallo (oro o bronzo). La porta è elegantemente incorniciata da stipiti ed architrave in marmo e fiancheggiata da due colonne tortili di riuso che sorreggono le arcate del vestibolo d’ingresso.
In origine la porta era formata da ben ventotto riquadri decorati di cui dieci andati perduti, incorniciati da tralci di vite (probabilmente un’aggiunta successiva), la metà delle quali riproducesti l’intero ciclo vitale di Cristo, dalla nascita alla morte. Il ‘tematismo’ è naturalmente quello sacro, sia pure con un disordine narrativo, giustificato da apporti e modifiche diversi nel tempo. Si distinguono infatti due differenti espressioni artistiche, che coincidono al periodo di realizzazione dei riquadri. La prima è di stampo classico, con un gusto spiccatamente ellenistico, mentre la seconda è di gusto chiaramente popolare, probabilmente espressione tardo-antica.
Quest’ultima è facilmente distinguibile nel riquadro della ‘Crocifissione’, la più antica rappresentazione dell’uccisione di Cristo tra i due ladroni. Gesù è rappresentato centralmente, una figura più grande di quelle laterali senza alcuna resa prospettica. Le croci inoltre sono appena intuibili dietro le teste e le mani dei condannati, idealmente addossate ad un muro in mattoni che costituisce l’intero sfondo della rappresentazione. L’assenza esplicita della croce può essere giustificata esclusivamente col fatto che in epoca arcaica era vietato rappresentare il Cristo durante il supplizio, in quanto considerata una pratica destinata agli schiavi e ai reietti. Più difficile avvalorare l’ipotesi che si impedisse una simile rappresentazione perché il dolore per la morte del Cristo era ancora vivido nella mente dei fedeli. La rappresentazione infatti, pur non esprimendo pienamente la realtà della scena (l’assenza delle croci mitica la crudeltà dell’evento) è molto diretta perché doveva essere di immediata interpretazione popolare, essendo la porta un manufatto di pubblico dominio.
Altri riquadri rappresentano l’Epifania, le Storie di Mosè e di Elia, i Miracoli di Cristo e l’Ascensione. Interessante è la rappresentazione dell’attraversamento del Mar Rosso con la raffigurazione del faraone il cui volto venne modificato e sostituito con quello di Napoleone durante un restauro del 1836. Questo risentimento verso il generale corso si giustifica con le decisioni e gli atteggiamenti negativi che egli assunse nei confronti della chiesa.
I riquadri di gusto ellenistico sono a sua volta riconducibili a tre differenti artisti, legati maggiormente alla tradizione classica. Uno di questi merita un’attenzione particolare in quanto in pieno possesso dell’arte dell’intaglio e sicuramente padrone di dettagli completamente sconosciuti agli altri che hanno operato nella realizzazione delle rimanenti raffigurazioni. Questo artista (sconosciuto come gli altri) ha realizzato i due pannelli che raffigurano il rapimento di Elia e la scena che viene comunemente interpretata come il “Trionfo della Ecclesia romana”. Le immagini si muovono sciolte nello spazio, integrandosi perfettamente con il contesto circostante ed anzi arricchendolo di dettagli significativi come nella scena del rapimento di Elia, con le figure centrali che prendono pieno possesso dei movimenti, enfatizzate dalla figura dell’angelo che incornicia in alto la composizione, con il panneggio svolazzante che riprende ‘tematismi’ chiari alle raffigurazioni greco-romane, la cui tradizione è strettamente legata alle immagini di altorilievi marmorei e lavorazioni in stucco.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.