di Luca Marcolivio

RIMINI, venerdì, 24 agosto 2012 (ZENIT.org) – Anche quest’anno il tema dei diritti umani e della libertà religiosa è stato al centro del dibattito al Meeting di Rimini. Zenit ha affrontato l’argomento con l’europarlamentare Mario Mauro (PPE), ospite abituale del Meeting e relatore in vari dibattiti di carattere europeo ed internazionale.

L’onorevole Mauro è stato vice presidente del Parlamento Europeo (2004-2009) e rappresentante personale della presidenza dell’OSCE contro razzismo, xenofobia e discriminazione (2009-2011).

Onorevole Mauro, durante questo Meeting numerosi sono stati gli interventi di vescovi e leader religiosi a difesa della libertà religiosa. Quali sono stati, a suo avviso, i temi forti emersi in questi giorni?

Mario Mauro: Io partirei dal titolo del Meeting: se è vero che “la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”, la dimensione della vita che più traduce questo giudizio è la libertà religiosa. Un uomo religioso è un uomo libero dal potere, proprio perché è un uomo che pensa che la dimensione più alta della vita, non sia in questo mondo e che la cosa più importante della vita non siano la politica e il potere. Infatti quando il potere cerca di sottomettere l’uomo, lo fa sempre a partire dalla libertà religiosa. Sia nel caso dei cristiani di Nigeria che degli ortodossi di Cipro, assistiamo a una forte costrizione e a reiterate discriminazioni, nell’intento, non solo di perseguitare i cristiani e di discriminarli ma anche di limitare la libertà e la democrazia per tutti.

Monsignor Ignatius Kaikama, presidente della Conferenza Episcopale Nigeriana, ha invitato i cristiani del suo paese a mantenere la calma e a non reagire alle provocazioni dei terroristi. In uno scenario come questo, fino a che punto è lecito “porgere l’altra guancia”?

Mario Mauro: Non soltanto il Vangelo ma anche il Magistero della Chiesa, nel corso di questo secolo, ha più volte spiegato che c’è sempre tempo per le ragioni della pace. Questo non vuol dire non essere chiari: nella situazione nigeriana, la complessità della situazione è dovuta al fatto che lo stato federale non fa il suo mestiere, ovvero impedisce una piena reciprocità tra i diritti dei cristiani e i diritti degli altri e crea le basi per un problema su cui si accanisce la propaganda fondamentalista, che sta facendo le fortune di un fenomeno come Boko Haram, fino a pochi anni fa inesistente. La causa di tutto va cercata nella crisi politica che la Nigeria sta vivendo, una crisi legata alla lotta per il potere.

Alcune settimane fa, Lei lamentava l’inerzia dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. Che ruolo possono avere questi due soggetti?

Mario Mauro: Un sistema utile può consistere nell’azione dell’intelligence europea e delle tecnologie satellitari di cui l’Unione Europea dispone, per individuare i terroristi di Boko Haram. Infatti l’esercito nigeriano, che pure è uno dei più imponenti del continente africano, non ha le tecnologie per contrastare i terroristi di ultima generazione come i qaedisti nigeriani, con solidi legami nelle reti del Sahel, nell’enclave qaedista ai confini con l’Algeria e con il Mali. Quanto alle Nazioni Unite, non si comprende cosa aspettino ad esercitare le dovute pressioni sul governo nigeriano perché il loro esercito usi la forza e a denunciare e a mettere con le spalle al muro, quei paesi che a vario titolo finanziano ancora le reti terroristiche.

Nello scenario nigeriano che ruolo hanno le lobby petrolifere?

Mario Mauro: Il problema della Nigeria è in primo luogo una disastrosa distribuzione della ricchezza che si lega anche alle vicende delle risorse petrolifere e dei contrasti tra i clan tribali per la gestione delle royalties legate alle stesse attività petrolifere. Per non parlare dell’ancor più complesso fenomeno per cui nonostante la Nigeria sia il terzo produttore di petrolio al mondo, non c’è una raffineria che sia una, quindi il paese importa la benzina a prezzi stellari. Questo tema va gestito con cautela non solo dal governo e dalle organizzazioni internazionali ma anche dalle aziende. Diversamente si porrebbero le basi per l’apertura di veri e propri microconflitti legati allo sfruttamento di queste risorse che, in prospettiva, possono determinare grossi problemi.

L’arcivescovo di Cipro, Crysostomos II, ha chiesto giustizia per i cristiani del suo paese. Che implicazioni ha la situazione cipriota nello scacchiere mediterraneo?

Mario Mauro: Fintanto che le truppe turche occuperanno la parte settentrionale di Cipro, la Turchia non potrà entrare in Europa. Il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha deciso, secondo logiche “neo-ottomane”, di rendere la Turchia protagonista nello scacchiere euromediterraneo: una dottrina proposta anche per l’Albania, per il Kosovo e per i paesi interessati alla primavera araba. Questa strategia egemonica – facendo la Turchia parte della Nato ed avendo solidi ancoraggi con il mondo occidentale – può essere un’opportunità, se pensiamo che alcuni paesi sono in una profonda fase di destabilizzazione, ma è comunque una strategia che presenta qualche piccola controindicazione. Tornando a Cipro, di certo, non ci hanno fatto piacere le reazioni del governo turco all’avvio della presidenza cipriota dell’UE, quasi come se fosse un delitto di lesa maestà alla sovranità turca. Credo comunque che ci sia la responsabilità di tutti quanti ad accogliere questa presidenza cipriota e a sostenerla, coinvolgendola nel rapporto di partenariato privilegiato e di buon vicinato che abbiamo con i turchi.

Veniamo all’Unione Europea: qual è lo stato di salute della libertà religiosa nei paesi dell’UE?

Mario Mauro: Si tratta di un tema al centro del dibattito culturale e politico in quanto investe una concezione dell’uomo ed un’antropologia, richiamandosi a quella che Benedetto XVI definisce “dittatura del relativismo”. Quando vengono varate leggi che riguardano l’uomo, a cosa si fa riferimento, perché esse possano essere definite “buone leggi”? Qual è il punto di paragone e cosa definisce un diritto, rispetto ai doveri di reciproca solidarietà che gli uomini devono porsi nella loro convivenza civile? È una sfida appassionante e non credo che il problema risieda essenzialmente nell’Unione Europea e nelle istituzioni europee: se la Spagna di Zapatero poteva far pensare all’Europa come ad un’ancora di salvezza, paesi come l’Ungheria di Orban, guardano all’Unione Europea come la sentina di tutti i mali. Probabilmente, intorno alla definizione dei diritti tipica dei processi delle istituzioni internazionali, albergano poi le diverse sensibilità dei popoli o di chi all’interno dei vari paesi diventa di volta in volta la minoranza o la maggioranza.