Sul caso di Ramsha il Pakistan può mostrare la sua umanità

L’arresto della bambina di undici anni affetta da sindrome di down viola la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia

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di Valentina Colombo

ROMA, giovedì, 23 agosto 2012 (ZENIT.org).- Che in Pakistan i cristiani vengano perseguitati è risaputo. Che in Pakistan cristiani e musulmani liberali vengano molto spesso accusati di blasfemia e quindi arrestati e puniti è risaputo. Ma nessuno sembra accorgersene. Qualche petizione, qualche appello, ma le istituzioni internazionali tacciono. Chissà se taceranno anche in questo caso. La piccola Ramsha, 11 anni, cristiana affetta da sindrome di Down, è stata accusata di blasfemia per avere bruciato alcune pagine di un sussidiario per imparare l’arabo contenente versetti coranici. La legge sulla blasfemia in Pakistan è da un lato una delle più severe nel mondo islamico dall’altro viene regolarmente usata per attaccare le minoranze del paese, in modo particolare i cristiani e gli ahmadiyya. Il capitolo XV del Codice Penale “Offese in materia di religione” parla chiaro. Il reato di blasfemia riguarda chiunque “deturpi un luogo di culto con l’intenzione di insultare qualsiasi religione”, chiunque “compia atti deliberati o criminosi volti a oltraggiare i sentimenti religiosi, insultando una religione o un credo religioso”, chiunque “denigri il Santo Corano”, chiunque “pronunci parole deliberatamente per ferire i sentimenti religiosi”, chiunque “faccia osservazioni avvilenti nei confronti di personaggi sacri” e così via. E’ evidente che il caso di Ramsha è un caso limite, definibile per assurdo ad un “eccesso di zelo” nei confronti di una bambina più debole, più sensibile di altre, ma soprattutto appartenente a una minoranza scomoda. Sarebbe altrimenti inconcepibile un tale accanimento e una tale brutalità.

E’ vero che il presidente Asif Ali Zardari ha sollecitato un’inchiesta riguardo quest’ultimo increscioso fatto, ma non bastano le parole, si attendono fatti concreti non solo da parte sua, ma anche da parte della società civile pakistana. Dal 2009 nel paese esiste la Pakistan Down Syndrome Association con lo scopo precipuo di “aumentare la consapevolezza circa i diritti dei bambini pakistani affetti dalla Sindrome di Down” poiché “esistono centinaia di bambini con la sindrome di Down che non sono visibili e che vengono nascosti nelle case”. Nel novembre 2011 anche in Egitto Nancy Maghrabi ha avviato l’esperienza della School of Special Education for Advancement rivolta non solo a bambini con la sindrome di Down, ma anche a quelli affetti da autismo.

La speranza è che anche queste associazioni si mobilitino per salvare una creatura che non ha nessuna colpa se non quella di avere strappato un libro di cui forse non conosceva nemmeno il contenuto.

Il contesto pakistano è comunque ben più complesso in una nazione dove il 2 marzo 2011 Shahbaz Bhatti, Ministro delle minoranze, è stato ucciso per avere promesso una riforma della legge sulla blasfemia. Il governo pakistano, come si è già detto, deve dare prova di volere cambiare rotta. Purtroppo il Pakistan è uno dei paesi che in seno alla Organizzazione per la Cooperazione Islamica da un lato si è mostrato più favorevole all’introduzione di leggi contro la blasfemia, dall’altro è un paese dove le scuole coraniche “madrasse”, gestite dall’estremismo islamico più radicale, educano le nuove generazioni all’intolleranza religiosa e sociale. Basterebbe sottoscrivere l’articolo 2 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia che recita: “Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza.” La società civile dovrebbe spingere il Pakistan a sottoscrivere un simile impegno. Solo quando riuscirà a riconoscere pari dignità e libertà ai propri cittadini a prescindere dal credo religioso e dal sesso di appartenenza, solo allora una bambina come Ramsha potrà godere nel proprio paese natale di una vita serena e continuare a regalare quel sorriso, dolce, accattivante e gratuito, che solo un bimbo con Sindrome di Down può offrire a tutti senza esclusioni di sorta.

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ZENIT Staff

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