di Luca Marcolivio
RIMINI, giovedì, 23 agosto 2012 (ZENIT.org) – Tra le pieghe del Meeting di Rimini emergono storie personali sorprendenti. È il caso di Miranda Mulgeci, 31enne, albanese, tra i curatori della mostra Albania Athleta Christi. Alle radici della libertà di un popolo, assieme al marito Florenc Kola.
Miranda nasce nel 1981, da una famiglia musulmana, quando il comunismo inizia a scricchiolare nell’Europa dell’Est ma non in Albania, dove la dittatura di Enver Hoxha ha raggiunto forse i massimi livelli di ferocia e repressione mai sperimentati nel vecchio continente dalla fine della seconda guerra mondiale. Fu proprio Hoxha, infatti, il primo capo di governo ad imporre l’ateismo di stato come principio costituzionale.
All’inizio degli anni ’90, con un paio d’anni di ritardo rispetto all’ex blocco filosovietico (di cui peraltro l’Albania non faceva parte), la libertà inizia a farsi strada anche nella piccola repubblica balcanica. È la televisione a veicolare messaggi di pace, di speranza e di fede, e così, all’età di undici anni, per la prima volta, Miranda si ritrova di fronte alle immagini della Basilica di San Pietro, del crocefisso, di papa Giovanni Paolo II.
Una vera folgorazione per la piccola Miranda: per lei è l’inizio di un lungo processo di avvicinamento al cristianesimo che culminerà con il battesimo, ricevuto lo scorso anno dalle mani di papa Benedetto XVI.
Raggiunta presso lo stand della mostra sull’Albania, Miranda Mulgeci, colma di emozione e gratitudine, ha raccontato a Zenit la storia della sua vita.
Come avvenne il suo primo impatto con il cristianesimo? Davvero l’ha conosciuto attraverso la TV?
Miranda Mulgeci: Successe tutto all’inizio degli anni ’90, subito dopo la caduta del regime. I primi tre canali televisivi che i nostri ripetitori trasmettevano erano le tre reti RAI. Un giorno mi fermai su Raiuno, affascinata dal sottofondo di musica classica: vidi un’immagine scolpita di Gesù crocefisso che si muoveva, come se si avvicinasse a me… Poi vidi altre immagini della basilica vaticana, infine apparve papa Giovanni Paolo II: era la prima volta che lo vedevo e qualche tempo dopo sarebbe venuto in visita pastorale in Albania. Le prime tre parole che mi rimasero impresse furono: Dio, Gesù e Amore. Così presi l’abitudine di seguire tutte le domeniche le messe del Papa e settimana dopo settimana, iniziai anche ad imparare l’italiano. Per tanti anni la mia unica preghiera fu il Padre Nostro e la mia invocazione ricorrente divenne “Gesù, ti amo”. Avevo compreso che Gesù è amore!
Cos’altro la colpiva del cristianesimo in quegli anni?
Miranda Mulgeci: Mi colpiva in particolare l’immagine di Cristo con i bambini, che imparai ad apprezzare nei film sulla vita di Gesù. Cristo non apparteneva alla mia religione di allora, l’Islam, e questo faceva sorgere in me una domanda: come mai Gesù, che non è musulmano, mi attira così tanto?
In che misura l’aver vissuto nel paese più antireligioso d’Europa, ha influito nel suo cammino di fede?
Miranda Mulgeci: La mia famiglia è musulmana di origine ma non praticante. Uscivamo da una dittatura atea durata quasi 50 anni e soltanto in casa si poteva parlare di Dio. Il più grande esempio di fede fu quello di mia nonna che faceva regolarmente le sue preghiere al mattino e alla sera: sentivo che si rivolgeva a Qualcun Altro. Così già da piccola, intesi la preghiera come un dialogo, una richiesta di aiuto a Qualcuno più grande di me. Anche se la legge non lo permetteva, per me era spontaneo chiedere aiuto a Dio. Ciò è stato possibile solo perché Gesù l’ha voluto.
La sua famiglia ha accettato facilmente la sua scelta di conversione?
Miranda Mulgeci: Il mio è stato un percorso molto lungo. I miei genitori, peraltro, non erano musulmani praticanti, né vivevano la tradizione dell’Islam. La mia famiglia, in linea di massima, è stata molto comprensiva. Se qualche problema c’è stato, è avvenuto per una questione di mentalità e di identità. Dopo il mio battesimo, però, è avvenuta una cosa molto bella: per la prima volta, in occasione del mio matrimonio, mio padre mi ha accompagnato in chiesa. Poi papà ha visitato il duomo di Pavia – dove attualmente abito con mio marito – e ne è rimasto molto colpito. Da parte sua, mia madre spesso mi accompagna a messa. Per gli albanesi è molto importante fare l’esperienza dell’incontro e della conoscenza e l’opportunità più bella per chiunque è quella di conoscere Cristo.
Il suo catecumenato e il suo cammino di formazione cristiana sono avvenuti nell’ambito di Comunione e Liberazione: quali sono state le tappe più importanti del suo cammino nel movimento di don Giussani?
Miranda Mulgeci: Nel 2006, quando già leggevo la Bibbia da molti anni, lessi un inserzione dell’AVSI. Mi recai da loro per un colloquio di lavoro e nella loro sede, notai una marea di volantini natalizi e pasquali: la cosa mi tirava molto su il morale! Nell’ambito dell’AVSI, dove fui assunta, conobbi poi Alberto Piatti, il segretario generale, che rimase colpito della mia conoscenza del cristianesimo, nonostante, di fatto, non fossi ancora cristiana: gli spiegai che non ero mai entrata in una chiesa ma leggevo spesso la Bibbia e lui ne fu piacevolmente colpito. Da Piatti ricevetti in dono il mio primo libro cristiano, Il senso religioso, di don Luigi Giussani: la cosa più bella che mi colpì di quel libro era la spiegazione del rapporto tra cuore e ragione. Assieme al libro mi fu regalato un santino di don Giussani, il cui sguardo era la risposta alle mie tante domande.
Dopo essere stata a Bucarest – dove per la prima volta entrai in una chiesa – per un incontro dell’AVSI, nel 2008 mi trasferii a Milano per un master alla Cattolica ma, in realtà, quel master non mi bastava: volevo approfittare per conoscere il mondo di Comunione e Liberazione. Iniziai a seguire la catechesi presso la famiglia Carrettini di Milano. Mi colpiva il modo in cui i membri di CL comunicavano, mi parevano uomini liberi e io desideravo quel tipo di libertà: volevo essere libera e felice al tempo stesso.
Come vive la sua vocazione nelle dimensioni della famiglia e della professione?
Miranda Mulgeci: Anche mio marito è albanese e anche lui è convertito, sebbene lui venga dalla chiesa ortodossa. Per me è fondamentale poter condividere la cosa più importante, la fede, con l’uomo che amo; poter fare assieme a lui tutte le cose che ci stanno più a cuore, è la cosa più bella della religione cattolica. È bello anche poter condividere la fede con un movimento come Comunione e Liberazione.
Per tanti anni ho lavorato con l’AVSI, dove è emerso in modo molto forte questo desiderio di essere felici: capisci che certe cose te le può far vivere soltanto un altro che è Gesù Cristo. Adesso insegno scienze religiose in un CFP a Pavia, dove i miei allievi hanno tra i 15 e i 20 anni. Quest’anno ho avuto l’opportunità di spiegare loro il senso religioso. È stato bello perché, interloquendo con i ragazzi, sono emerse tutte le loro domande più profonde.