di Carmine Tabarro
ROMA, giovedì, 23 agosto 2012 (ZENIT.org).- L’8 luglio 2009, Benedetto XVI affermava: “Un futuro migliore per tutti è possibile se lo si fonda sulla riscoperta dei fondamentali valori etici. Occorre una nuova progettualità economica, che ridisegni lo sviluppo in maniera globale, basandosi sul fondamento etico della responsabilità davanti a Dio e all’essere umano come creatura di Dio”.
Tra i vari elementi della peggiore crisi etica, filosofica e antropologica (quindi non solo finanziaria ed economica) dell’epoca moderna e postmoderna, un elemento centrale si ritrova nell’avidità che ha dato vita a stili di vita in cui il conflitto di interessi è prassi quotidiana. La deriva etica, filosofica e antropologica del conflitto di interessi è presente nei suoi vari stati fin dall’alba dell’umanità, ma solo a partire dall’epoca moderna è divenuta una riflessione euristica. La sua strisciante opacità era, ed è conosciuta da tutti, veniva e viene abbondantemente tollerata.
L’aspetto più grave dell’affermazione della cultura del conflitto di interessi, si ritrova nell’uso strumentale dell’etica, della filosofia, dell’antropologia, mediante discorsi pomposi e retorici, codici etici e di responsabilità sociale quasi sempre teorici, forti solo della gran cassa mediatica. Ma un tale sistema che mortificava e strumentalizzava dell’etica della virtù, la filosofia del bene comune, l’antropologia umanizzante non poteva reggere a lungo.
In maniera profetica nel pieno della crisi Benedetto XVI sottolineava come:
“È bene, tuttavia, elaborare anche un valido criterio di discernimento, in quanto si nota un certo abuso dell’aggettivo «etico» che, adoperato in modo generico, si presta a designare contenuti anche molto diversi, al punto da far passare sotto la sua copertura decisioni e scelte contrarie alla giustizia e al vero bene dell’uomo.
“Molto, infatti, dipende dal sistema morale di riferimento. Su questo argomento la dottrina sociale della Chiesa ha un suo specifico apporto da dare, che si fonda sulla creazione dell’uomo ‘ad immagine di Dio’ (Gn 1,27), un dato da cui discende l’inviolabile dignità della persona umana, come anche il trascendente valore delle norme morali naturali. Un’etica economica che prescindesse da questi due pilastri rischierebbe inevitabilmente di perdere la propria connotazione e di prestarsi a strumentalizzazioni; più precisamente essa rischierebbe di diventare funzionale ai sistemi economico-finanziari esistenti, anziché correttiva delle loro disfunzioni. Tra l’altro, finirebbe anche per giustificare il finanziamento di progetti che etici non sono” (Caritas in Veritate, n. 45 – CIV).
La fragilità di questo impianto è crollato con tutte le sue distruzioni.
La cultura del conflitto di interessi ha trovato la sua massima espressione nel pensiero unico del neoliberismo utilitarista che ha ispirato politici, economisti, operatori finanziari, organismi di vigilanza etc.
Il risultato della cultura del conflitto di interesse – come denuncia la Caritas in Veritate – fa nascere, accettare le peggiori disuguaglianze; distrugge la cultura dell’etica della virtù o del bene comune; e da vita a politiche e interventi paradossalmente contraddittori, come la politica di austerità verso le classi più deboli dalle quale si vorrebbe far dipendere la crescita, mentre ha l’unico effetto di aumentare la depressione e di rendere impossibile la crescita e quindi le future possibilità di pagamento del debito. La cultura del conflitto di interessi ci ha fatto metabolizzare, quasi fosse una conseguenza naturale l’avidità. Secondo la filosofia utilitaristica (maggioranza culturale nella nostra generazione) l’avidità è la species (nel senso latino), sia nelle relazioni umane sia nelle logiche del capitalismo finanziario.
Ancora una volta l’ideologia ha creato un mostro.
Questa è anche la denuncia e la proposta che Benedetto XVI all’uomo contemporaneo per uscire dalla crisi finanziaria ed economica:
“Di fronte all’inarrestabile crescita dell’interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l’urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni. Sentita è pure l’urgenza di trovare forme innovative per attuare il principio di responsabilità di proteggere e per attribuire anche alle Nazioni più povere una voce efficace nelle decisioni comuni. Ciò appare necessario proprio in vista di un ordinamento politico, giuridico ed economico che incrementi ed orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli” (CIV, n. 67).
Domandiamoci ad esempio come sia possibile combattere il conflitto di interessi che “regola” i rapporti tra grande finanza e politica, quando questa ultima viene finanziata abbondantemente dalla prima? E’ normale che questa lobby negativa condizioni “naturalmente” le decisioni politiche.
Pensiamo a quanto è accaduto negli Usa, quando persino la Corte Suprema nel 2010, con la decisione Citizen United, ha reso legale la possibilità di ricevere “donazioni” senza limiti, ai candidati politici?
Diversi studi demoscopici ci dimostrano come spesso le elezioni sono influenzate in gran parte, se non esclusivamente, dal denaro a disposizione dei candidati e sulla capacità d’investire grandi risorse monetarie mediaticamente, affinché i programmi politici siano più facilmente accolti dall’elettore.
[La seconda parte verrà pubblicata giovedì 30 agosto]