La fuga di cervelli: tra mito e realtà

La testimonianza di due giovani ricercatori milanesi emigrati a Boston

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di Luca Marcolivio

RIMINI, mercoledì, 22 agosto 2012 (ZENIT.org) – La fuga di cervelli è una realtà o un mito del sistema educativo italiano? Il Meeting di Rimini ha affrontato la questione nel primo di una serie di incontri del ciclo Un caffè con…, dedicato ai giovani talenti italiani, iniziato ieri e destinato a concludersi, venerdì prossimo, penultimo giorno della manifestazione.

Presentati al pubblico da Sara Tarantini, studentessa di giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano, hanno raccontato le loro esperienze Tommaso Piffer e Andrea Staiti. Milanesi, classe 1981, i due giovani ricercatori sono amici di vecchia data e, per un curioso destino comune, oggi sono entrambi ricercatori a Boston.

Piffer è ricercatore di storia contemporanea ad Harvard e all’Università di Milano, mentre Staiti ricopre l’incarico di assistant professor di filosofia al Boston College.

In nessuna delle due testimonianze è emersa alcuna forma di polemica verso il sistema educativo italiano, giudicato dall’opinione pubblica incapace di valorizzare i giovani laureati.

Ciò che colpisce di più di entrambe le storie, tuttavia, è il fatto che le posizioni accademiche raggiunte da Andrea e Tommaso non paiono tanto il frutto di un’ambizione caparbia o di un sogno coltivato lungo tutta una vita, quanto di un’abilità non comune nel gestire i propri talenti, nel fare discernimento di fronte alle opportunità che il destino ti mette di fronte.

Come ha spiegato Piffer, avere talento è soprattutto “la disponibilità a seguire ciò che accade, ossia le proprie capacità come le occasioni che si presentano. Le idee che balenano in testa hanno lo stesso statuto delle capacità: sono cose donate”.

Tommaso, infatti, quand’era un liceale non ambiva a diventare uno storico, pur avendo già una grande passione per la storia (peraltro sbocciata proprio durante una passata edizione del Meeting): si iscrive infatti a Giurisprudenza. Poco dopo la laurea un amico gli fa notare un piccolo paradosso: nella sua biblioteca abbondano i libri di storia mentre scarseggiano quelli di diritto. Per il giovane è come un’illuminazione che lo spinge a proseguire i suoi studi in una nuova direzione.

“Ho iniziato, approfondendo la seconda guerra mondiale – ha raccontato Piffer – in particolare la Resistenza italiana nei suoi legami con i servizi segreti americani. Avendo proseguito i miei studi negli USA, ho potuto poi estenderli all’Europa e all’America, sempre relativamente a quell’epoca”.

Avviato il dottorato di ricerca in storia contemporanea, Piffer ha formulato progetti di ricerca proposti ad Harvard e in Inghilterra e poi realizzatisi con il sostegno dell’università italiana e della comunità europea.

Per alcuni versi analogo il percorso di Andrea Staiti che a scuola sviluppa una spiccata propensione per la matematica. Al momento della scelta universitaria, tuttavia, l’opzione sarà per gli studi filosofici. Andrea rimane affascinato in particolare dalla fenomenologia di Husserl, in quanto, al pari della matematica gli offre la possibilità di “dare chiarezza alle cose”.

Durante il dottorato, Staiti si reca in Germania per consultare l’archivio Husserl, il cui direttore gli propone l’assunzione, a patto che Andrea impari il tedesco. Una serie di felici circostanze, unitamente a provvidenziali incontri con le persone giuste al momento giusto, permetteranno al giovane filosofo di stabilirsi finalmente a Boston.

Nel corso del dibattito seguito alle testimonianze, è emerso il pensiero dei due giovani ricercatori sulla questione della qualità degli studi e del sistema universitario in America e in Italia.

Secondo Piffer vi sono indubbiamente delle carenze nel mondo accademico italiano che spingono molti studenti a cercare fortuna all’estero, tuttavia i brillanti risultati conseguiti in America e altrove da molti ricercatori italiani dovrebbero indurre ad un giudizio un po’ più clemente in merito alle nostre istituzioni universitarie. Non è inoltre giusto, né sensato andare all’estero con un atteggiamento di vergogna verso la propria patria.

C’è poi il tanto mitizzato concetto di “meritocrazia” che molti individuano come tipico del sistema americano. Si tratta in realtà, secondo Staiti, di un mito da sfatare: “è più corretto parlare di meritofilia, cioè di simpatia per chi fa il bene”, ha affermato Staiti. Il reclutamento degli elementi migliori, inoltre, dovrebbe avvenire secondo criteri di “realismo e libertà”.

Come spiegare allora le impietose classifiche di molti giornali italiani che pongono le università del loro paese come fanalino di coda in termini di efficienza e qualità? Secondo Piffer, in Italia lo studente, a differenza degli USA, viene formato non solo dall’università ma da numerosi fattori coevi e da agenzie educative parallele; una su tutte: il Meeting di Rimini.

Sempre in Italia, osserva Staiti, si riscontra un valore aggiunto di cui si parla poco o niente: “la realtà studentesca con la sua capacità di auto-organizzarsi”, di accogliere i propri pari grado e di supplire alle insufficienze delle istituzioni superiori. Non un dato da poco…

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ZENIT Staff

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