di Maria Emilia Marega
RIMINI, mercoledì, 22 agosto 2012 (ZENIT.org) – La situazione delle carceri e dei detenuti è stata oggetto dell’incontro Quale idea di pena nel secolo XXI, tenutosi ieri nell’ambito del XXXIII Meeting di Rimini. Alla conferenza è intervenuto Tomaz de Aquino Resende, Procuratore di Giustizia del Pubblico Ministero dello Stato di Minas Gerais, in Brasile.
Tomaz de Aquino ha presentato il servizio dell’Associazione per la Protezione e l’Assistenza ai Condannati (APAC), punto di riferimento internazionale nel recupero e nel reinserimento degli ex detenuti. L’obiettivo di APAC è quello di promuovere l’umanizzazione delle carceri, senza perdere di vista la finalità sanzionatoria della pena. Suo proposito è quello di evitare la recidività del crimine e offrire alternative al condannato, consentendogli il recupero.
Il Procuratore ha parlato di “interrelazione” tra governo, mercato e organizzazioni non a scopo di lucro e ha spiegato che l’elemento principale è la convergenza tra i tre soggetti. È chiaro che lo Stato stabilisce le regole, che il mercato finanzia e che le organizzazioni senza fini di lucro realizzano, senza entrare nell’ambito del governo. Infine il nostro concetto di ‘interrelazione’ è quello di allineare punti di convergenza”.
Il sistema APAC non coinvolge agenti carcerari e nemmeno impiegati pubblici, ma, per lo più, volontari della Pastorale Penitenziaria e spinge il detenuto a prestare servizio, diventando così responsabile lui stesso del proprio recupero. Ciò offre un sistema di riabilitazione in cui il detenuto studia e lavora e dimostra che “la pena redime quando l’uomo è trattato alla stregua di un essere umano”, ha aggiunto Tomaz. La recidività in questo sistema è di appena il 10%.
In diversi documenti del governo sull’implementazione del Sistema, emerge l’importanza dell’esperienza con Dio nel processo. Nel bollettino n°53 del Pubblico Ministero dello Stato di Paranà si legge:
Il metodo APAC si ispira al principio della dignità della persona umana e alla convinzione che nessuno è irrecuperabile, poiché ogni uomo è superiore alla propria colpa. Alcuni dei suoi elementi informatori sono: la partecipazione della comunità, specie per ciò che riguarda il volontariato; la solidarietà tra i soggetti da recuperare; il lavoro come possibilità terapeutica e professionalizzante; la religione come fattore di consapevolezza del detenuto come essere umano, come essere spirituale e come essere sociale; l’assistenza sociale, educativa, psicologica e medica come appoggio alla sua integrità fisica e psicologica; la famiglia del detenuto come vincolo affettivo fondamentale e come partner per il suo reintegro nella società; infine il merito, come valutazione costante che comprova il suo recupero, già durante la detenzione.
L’idea di pena nel secolo XXI “è dare senso alla pena, iniziare un incontro, un impatto con la realtà, con qualcuno che porti il detenuto a ritrovare se stesso – ha dichiarato Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Rebus di Padova.
Nell’esperienza della cooperativa nel carcere di Padova, con i detenuti che comprende lunghe pene per reati gravissimi, offrendo servizi di ascolto, dialogo, formazione e lavoro, la percentuale di recidività è molto bassa, appena dell’1%. Al contrario, con il sistema tradizionale è del 90%.
L’incontro ha evidenziato che non sarà lo stato a cambiare il detenuto. “Tutti insieme possiamo contribuire a creare una società migliore”, ha affermato Boscoletto.
Hanno partecipato all’incontro anche Giovanni Maria Pavarin, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, e Luciano Violante, presidente del Forum di Riforma dello Stato del Partito Democratico.
[Traduzione dal portoghese a cura di Luca Marcolivio]