di Antonio Scacco
ROMA, sabato, 18 luglio 2012 (ZENIT.org) – In questi ultimi tempi, si parla spesso dell’esistenza di esseri intelligenti di altri mondi – gli extraterrestri o Ufo, per intenderci – che ripetutamente verrebbero a visitare il nostro pianeta. Sulla vextata quaestio, condividiamo il pensiero di uno dei massimi scrittori di fantascienza: Isaac Asimov.
Secondo il “good doctor” e come la logica scientifica insegna, di ogni fenomeno anche il più pazzo e il più ridicolo bisogna esibire le prove. Più un fenomeno è pazzo e ridicolo, più solide e sicure devono essere le prove (si veda: Isaac Asimov, Il vagabondo delle scienze, Ed.CDE, pp.61-65). Ora, di avvistamento di Ufo e di contatti con gli alieni si parla da tempo immemorabile, ma di prove tangibili neanche l’ombra: mai un manufatto o un oggetto di origine chiaramente non umana; mai un pulsante, uno straccio, o un pezzo di carta, esibiti da chi dice di essere salito a bordo di un Ufo.
Ma certi i maître à penser laicisti saltano a piè pari le esigenze del metodo scientifico e danno per scontato ciò che non è. Addirittura, su un’ipotesi basata sul niente ma solo sui testi di fantascienza, arrivano a sostenere che la scoperta dell’esistenza di creature intelligenti nell’universo metterebbe in seria difficoltà la Chiesa cattolica.
Secondo costoro, questioni basilari della fede, quali il rapporto privilegiato tra Dio e l’uomo, il mistero dell’incarnazione di Cristo, il peccato originale, l’Immacolata Concezione, ecc., porrebbero problemi di non facile soluzione al Magistero della Chiesa.
Anche Aldani sembra condividere tale punto di vista, quando, nel suo romanzo La croce di ghiaccio (Perseo Libri, Bologna, 1989), ad un personaggio, il comandante Mac Kinley, fa dire: «E la verità prima, quella più crudele, è che anche questa volta lei ha perduto, padre Francisco. Il fallimento è totale, irreversibile. Lei ha creduto di poter cristianizzare i geroniani, si è illuso di poterli evangelizzare. La verità è che lei è diventato uno di loro, ha accettato i loro costumi, le leggi della tribù, mangia come loro, beve la shava-cianga come loro, si è accoppiato – horresco referens – con le loro femmine. Non è padre Francisco che ha convertito i geroniani, ma sono i geroniani che hanno convertito padre Francisco» (p.198).
Per la verità, il protagonista della vicenda narrata, padre Francisco Morales, nato su Marte nel 2205 da genitori ispanici, non ha proprio la stoffa del missionario. Anzi, è ben lontano dalla santità di un Francesco d’Assisi, un Curato d’Ars, un Domenico Savio, un don Bosco, un Massimiliano Kolbe, un Padre Pio, ecc. A malincuore, ha accettato di entrare in seminario, dove è stato, sì, uno studente brillante, ma ha anche rivelato un carattere poco umile e, soprattutto, ha sviluppato una passione morbosa per il gioco degli scacchi, tanto da costringere i suoi superiori a imporgli il voto di non più giocare.
Ordinato prete, viene inviato su diversi pianeti extragalattici a svolgere la sua opera evangelizzatrice, finché capita su un pianeta di minatori, Ryfys. Qui, si schiera con gli operai contro lo sfruttamento delle compagnie minerarie del pianeta e organizza uno sciopero. Ma Van Buren, il suo diretto superiore, che era stato battuto da padre Francisco in una memorabile partita a scacchi, coglie l’occasione per vendicarsi e lo spedisce per punizione su Geron, un pianeta bello ma vampiro, dove un anno ne vale, a causa del rapido metabolismo, dieci volte di quello terrestre.
Gli alieni che lo popolano non sono così ingenui e indifesi come sembrano, ma sono dotati di capacità intellettive e razionali. Soprattutto, il loro capo, Metzil-Nagua, nutre grande passione per il gioco degli scacchi, che ha appreso da uno dei colonizzatori.
Padre Francisco, per rendere più incisiva la sua opera missionaria, lascia la sicura base terrestre e si trasferisce nel villaggio degli alieni, dove comincia a conoscere i loro usi e costumi, in cui l’assunzione di una droga chiamata shava-cianga è un fatto abituale, e a rendersi conto della loro religiosità, che è di tipo animistico e frammista a riti orgiastici. Rimasto completamente isolato per l’abbandono del pianeta da parte dei terrestri, il sacerdote comincia a subire le imposizioni dei geroniani, che egli accetta giustificandole come necessarie per conquistarli alla fede.
Così, si abitua a drogarsi con la shava-cianga, con cui, in mancanza di vino, celebra anche la messa, gioca a scacchi con il loro capo, infrangendo il voto di non più giocare e – cosa ancora più grave per un consacrato – viola il voto di castità, accoppiandosi con una geroniana, dalla cui unione nasce una creatura mostruosa: un ektroma. L’aliena e il suo bambino muoiono e padre Francisco è costretto, dalle usanze tribali, a scegliersi un’altra moglie, sfidando a duello uno dei geroniani. Quando si vede comparire, nelle vesti di sfidante, Metzil-Nagua, che ha accettato di convertirsi alla fede cattolica, assumendo il nome di Eusebio, padre Francisco rifiuta il duello e si lascia uccidere.
Lino Aldani usa tutta la sua perizia e abilità di scrittore per rendere umanamente e spiritualmente credibile la figura del prete-missionario incarnata da padre Francisco Morales; ma il risultato è diametralmente opposto ai suoi propositi. Per quanto riguarda la questione dell’osservanza della virtù della castità, padre Francisco conosce molto bene le leggi della Chiesa.
Un giorno, proprio su Geron, gli si presenta una donna sposata, che lavora presso la base, la quale in confessione si accusa del peccato di prostituzione, giustificandosi col dire che non guadagna soldi a sufficienza da mantenere, sulla Terra, i figli e il marito ammalato. Il nostro sacerdote le rifiuta l’assoluzione, se prima non promette di smettere. La donna promette e padre Francisco l’assolve. Precedentemente, su un altro pianeta, aveva redento una prostituta.
Di fronte a questi episodi, la capitolazione di padre Francisco nei confronti del peccato della fornicazione è del tutto ingiustificata, inverosimile e farsesca. Non abbiamo più un personaggio che vive autonomamente, ma un burattino nelle mani del suo Autore, che ne muove i fili secondo i suoi intendimenti. Quali? Un missionario di lungo corso, padre Piero Gheddo, in un articolo intitolato Il motore dello sviluppo è la cultura e apparso su “Zenit.org” del 6 dicembre 2011, spiegava che sulla questione del sottosviluppo si fronteggiano due concezioni antitetiche: quella spiritualista e quella materialista o meccanicista.
Lino Aldani sceglie la seconda, come dimostra l’ampio spazio dato al gioco degli scacchi nel corso della vicenda narrata. In margine, a proposito della partita giocata, durante gli anni di formazione al seminario di Civitas, la capitale marziana, da padre Morales contro il suo compagno di studi Van Buren e conclusasi con un matto forzato, in realtà si tratta del matchavvenuto nel 1911 tra Lasker e sir G.Thomas. Per evitare il matto, alla decima mossa il nero avrebbe dovuto giocare e6 e non De7, che è senz’altro un aiuto-matto!
La missione evangelizzatrice e la Chiesa stessa sono, dunque, viste da Aldani in un’ottica puramente umana. È l’equivoco in cui è caduta la cosiddetta teologia progressista, che ha ridotto il Cristianesimo a sociologia, filantropia, buonismo. Il messaggio di Cristo, invece, va in direzione opposta quando afferma, davanti a Pilato, che il Suo regno non è di questo mondo.
I compromessi, i calcoli, i machiavellismi, le doppiezze, gli inganni, il cedimento agli istinti, tipici delle istituzioni umane, non fanno parte del bagaglio spirituale dei discepoli di Gesù, come è evidente nel seguente brano evangelico: «Avendo poi convocato i Dodici, dette loro potere e autorità su tutti i demoni e capacità di guarire malattie. E li mandò a proclamare il regno di Dio e a
guarire gl’infermi.
E disse loro: «Non prendete niente per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né abbiate due tuniche. In qualunque casa entrerete, dimoratevi, restandovi sino alla vostra partenza. Se non vi ricevessero, uscendo da quella città, scuotete la polvere dai vostri piedi in testimonianza contro di loro» (Lc 9, 1-5).