Cosa dona il mistero dell'Assunzione di Maria alla nostra vita?

Nell’omelia per la Solennità dell’Assunzione, Benedetto XVI ha spiegato quanto sia importante per la nostra fede comprendere il significato di questo dogma

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di Salvatore Cernuzio

CASTEL GANDOLFO, giovedì, 16 agosto 2012 (ZENIT.org) – “Perché Maria viene glorificata con l’assunzione al Cielo?”. È questo l’interrogativo di Benedetto XVI durante la Messa celebrata ieri, nella parrocchia di “San Tommaso da Villanova” in Castel Gandolfo, per spiegare il significato della Solennità dell’Assunzione della Vergine Maria.

Il Papa ha ricordato innanzitutto la storia di questa celebrazione, che risale al 1° novembre 1950, data in cui il Venerabile Papa Pio XII proclamò come dogma che la Vergine Maria «terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

“Una verità di fede” questa, “conosciuta dalla Tradizione e affermata dai Padri della Chiesa”, oltre che “un aspetto rilevante del culto reso alla Madre di Cristo”. Soprattutto, “un atto di lode e di esaltazione nei confronti della Vergine Santa”.

In forma dogmatica, quindi, fu espresso “ciò che era già celebrato nel culto e nella devozione del Popolo di Dio come la più alta e stabile glorificazione di Maria” ha spiegato il Santo Padre. Si sono realizzate, inoltre, le parole profetiche pronunciate dalla Vergine stessa nel Vangelo di Luca: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48).

Questa espressione del Magnificat è “una profezia per la Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi”, ha affermato il Santo Padre, che indica “che è un dovere della Chiesa ricordare la grandezza della Madonna per la fede”.

Ma questo mistero dell’Assunzione al Cielo della Beata Vergine cosa dona, invece, al nostro cammino e alla nostra vita? Nell’Assunzione vediamo che “in Dio c’è spazio per l’uomo” ha risposto il Papa, aggiungendo: “Dio è la casa dell’uomo e Maria, unita a Dio, non si allontana da noi, non va su una galassia sconosciuta, ma […] partecipa della presenza di Dio, è vicinissima ad ognuno di noi”.

Così come in Dio “c’è spazio per l’uomo”, anche “nell’uomo c’è spazio per Dio”. E’ questo l’altro aspetto, sottolineato dal Pontefice, che possiamo vedere in Maria.

“In noi c’è spazio per Dio – ha ribadito – e questa presenza di Dio in noi, così importante per illuminare il mondo nella sua tristezza, nei suoi problemi, si realizza nella fede”, attraverso la quale “apriamo le porte del nostro essere così che Dio può essere la forza che dà vita e cammino al nostro essere”.

L’unica azione a noi richiesta, quindi, è di “aprirci” a Dio, così “come Maria si è aperta”. Se ci apriamo a Lui, infatti, ha rassicurato il Santo Padre, “non perdiamo niente, al contrario: la nostra vita diventa ricca e grande”.

Accogliendo in noi questa presenza di Dio “fede e speranza si combinano”. La speranza è quella di “un mondo migliore” che l’umanità si aspetta, un tema su cui oggi girano tante idee e parole, ha detto il Papa.

“Se e quando questo mondo migliore viene, non sappiamo, non so – ha soggiunto -. Sicuro è che un mondo che si allontana da Dio non diventa migliore, ma peggiore. Solo la presenza di Dio può garantire anche un mondo buono”.

A questa speranza, si unisce un’importante certezza per tutti noi cristiani: “Dio ci attende, non andiamo nel vuoto, siamo aspettati”, e “andando all’altro mondo, troviamo la bontà della Madre, l’Amore eterno”. È “questa è la nostra grande gioia, la grande speranza”, secondo Papa Benedetto, frutto proprio di questa festa.

“Cuore grande, presenza di Dio nel mondo, spazio di Dio in noi e spazio di Dio per noi, speranza, essere aspettati”, sono dunque le note che compongono la “grande sinfonia di questa festa”, le “indicazioni che la meditazione di questa Solennità ci dona”.

Affidando tutti i presenti alla “sua materna intercessione”, Benedetto XVI ha infine pregato la Vergine “affinché ci ottenga dal Signore di rafforzare la nostra fede nella vita eterna; ci aiuti a vivere bene il tempo che Dio ci offre con speranza”.

“Una speranza cristiana”, ha precisato, “che non è soltanto nostalgia del Cielo, ma vivo e operoso desiderio di Dio qui nel mondo, che ci rende pellegrini infaticabili, alimentando in noi il coraggio e la forza della fede, che nello stesso tempo è coraggio e forza dell’amore”.

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ZENIT Staff

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