Storia romana sull'Aventino: la Chiesa di Santa Prisca

Una delle aree archeologicamente più interessanti e meno conosciute del centro storico romano

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di Paolo Lorizzo

ROMA, sabato, 11 agosto 2012 (ZENIT.org) – Il colle Aventino rappresenta in assoluto una delle aree della capitale più ricche di contesti archeologici su cui si sono sovrapposti edifici ecclesiastici che spesso ne hanno preservato contesti di assoluto valore scientifico.

La chiesa di Santa Prisca in particolare è situata in una delle aree archeologicamente più interessanti e meno conosciute del centro storico romano. Una piccola isola felice in cui il carattere storico permea ogni edificio ed ogni scorcio che talvolta incanta l’osservatore. Qui era probabilmente situata la villa di Lucio Licinio Sura, ambiguo personaggio politico ai tempi di Traiano prima di divenire imperatore.

La tradizione vuole sia colui il quale abbia ordito un complotto ai danni dello stesso Traiano che, certo della sua fedeltà, mangiò alla sua tavola e si fece radere dal barbiere personale del generale romano, incurante del pericolo. Il grandioso funerale organizzato dall’imperatore alla morte dell’amico testimoniò come in realtà l’infedeltà di Licinio Sura fosse soltanto una chiacchiera dei salotti politici.

A conferma dell’immutata stima dell’imperatore, una sua statua venne collocata all’interno del grandioso foro realizzato dal geniale architetto Apollodoro di Damasco e la sua immagine venne riprodotta nella colonna Traiana nell’atto di colloquiare con lo stesso Traiano.

Secondo altri le fondazioni della chiesa furono impiantate sui resti della villa dello stesso Traiano che qui ebbe la sua residenza quando ancora era un Princeps, all’interno del quale, tra il II e il III secolo venne realizzato un mitreo scoperto nel 1934, attualmente posizionate in corrispondenza dell’abside della navata centrale della chiesa.

Da qui proviene la celebre testa in opus sectile (decorazione formata dall’impiego di tarsie di marmo colorato), un tempo parte della raffigurazione dello Zodiaco e attualmente facente parte della collezione del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo.

Fu in epoca tardo-antica che l’area acquisì il titulus di Aquila e Prisca, registrato negli atti del Sinodo tenutosi nel 499. Questo permise di gettare le basi della futura chiesa che probabilmente rappresenta la traccia più antica del culto cristiano sul colle Aventino.

Osservando la chiesa dall’esterno si nota come la facciata sia chiusa, letteralmente soffocata da due muraglioni che formano dinanzi ad essa una piccola piazza, ripercorrendo quella impostazione architettonica cosi frequente nelle chiese e nei conventi  provinciali.

Il muraglione laterale di sinistra infatti appartiene al muro di cinta del convento, mentre quello di destra corrisponde al muro laterale della sacrestia, in origine corrispondente alla navata laterale. La facciata è stata quasi interamente costruita in mattoncini che formano quattro lesene (due in ciascun lato dell’ingresso) sormontate da semicapitelli in stile ionico.

Il portale d’ingresso è scandito da due colonne con capitelli corinzi, che sorreggono un timpano a sua volta sormontato da un oculo centrale,visibile all’interno dell’edificio al centro della controfacciata.

In origine la chiesa era divisa in navate scandite da colonne, attualmente integrate all’interno dei pilastri per irrobustire la struttura portante, a sua volta rinforzata dalla trasformazione delle navate laterali in veri e propri ambulacri con archi trasversali.

La navata centrale è coperta da un semplice soffitto ligneo a ‘cassettoni’ mentre il bianco delle pareti tradiscono rifacimenti e superfetazioni. Le uniche note di colore sono rese dagli affreschi realizzati dal pittore fiorentino Anastasio Fontebuoni e datati tra il XVI e XVII secolo. Di stessa attribuzione sono gli affreschi del presbiterio raffiguranti il ‘Martirio di S. prisca’ e ‘il traasporto delle Reliquie di Santa Prisca’ nonchè l’interessante ciclo dell’abside, dove viene messa in piena evidenza la maestria dell’artista.

Di antico, a parte le colonne murate della navata non c’è quasi più nulla se si esclude un capitello romano riadattato a Fonte Battesimale situato all’interno della prima cappella a sinistra.

La sua semplicità non rivela l’antica origine, ne tantomeno le ricchezze archeologiche al di sotto delle sue fondazioni. Siamo ancora una volta in presenza di un interno completamente stravolto rispetto alle sue origini tardo-antiche.

Come la maggior parte delle chiese romane, fu rifatta molte volte, anche in seguito al distruttivo saccheggio ad opera dei Normanni di Roberto il Guiscardo avvenuto nel 1084, entato a Roma si dice con 36mila uomini, che ne alterò irrimediabilmente l’antica impostazione.

La suggestione del luogo e la consapevolezza della sua antichità rende ancora più affascinante uno dei colli più importanti della storia romana.

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ZENIT Staff

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