Tempora Artis Magicae

Una suggestiva rievocazione storica nell’antico borgo medievale di Travale offre l’occasione per analizzare quello che fu il fenomeno dell’Inquisizione

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di Pietro Barbini    

ROMA, mercoledì, 8 agosto 2012 (ZENIT.org) – Tra il 10 e l’11 agosto nell’antico borgo medioevale di Travale si assisterà ad una suggestiva rievocazione storica, con tanto di spettacoli pirotecnici, giocolieri, musici e cortei storici disseminati per le vie e i vicoli di questo paesino in provincia di Grosseto.

In questi due giorni si farà memoria di quello che fu il processo inquisitorio ad Elena di Travale, una delle streghe più conosciute della Maremma vissute nel XV secolo. Processata a Volterra dall’Inquisizione ecclesiastica e civile il 12 giugno 1423 fu condannata alla pena della fustigazione sulla pubblica piazza, ad indossare la mitra penitenziale e al pagamento di cinquanta fiorini, dopodiché venne bandita fuori i confini della diocesi.

Nonostante i più recenti studi abbiano sfatato le molte dicerie e fantasie sull’inquisizione, demolendo vecchi miti e pregiudizi, permane a tutt’oggi un atteggiamento dettato, perlopiù, dall’ignoranza e dalla propaganda ideologica perpetrata nei secoli dall’illuminismo in poi.

Senza voler minimizzare i fatti di Volterra, adeguatamente documentati, sembra questa un’ottima occasione per far ulteriore luce su quella che fu l’inquisizione, partendo dal presupposto che dare dei giudizi a fatti ed eventi accaduti nel passato al di fuori del contesto storico, politico e sociale di una data epoca è cosa impensabile ed inadeguata.

Lungi dall’essere un fenomeno localizzato e singolare, l’inquisizione non riguardò esclusivamente la Chiesa cattolica, ma anche la Chiesa protestante, particolarmente agguerrita nei confronti di eretici, maghi e streghe (nel 1513 Calvino mise al rogo 500 presunte “streghe” in soli tre mesi) e, non da ultimo, il potere secolare che, sin dall’antichità, è stato il maggiore persecutore della stregoneria.

Un gruppo di studiosi, guidato dal prof. Agostino Borromeo, ha portato all’attenzione dei dati sorprendenti: innanzitutto che le condanne ebbero luogo molto più spesso nei paesi protestanti che in quelli cattolici e poi che, in realtà, nonostante i molti processi per stregoneria furono 59 le “streghe” messe al rogo in Spagna, 4 in Portogallo e 36 in Italia. Inoltre, dei circa 100.000 processi (tra civili ed ecclesiastici), i tribunali civili condannarono al rogo circa 50.000 “streghe”.

In sostanza siamo ben lontani dai “milioni di streghe” che tutt’ora pseudo storici continuano a divulgare senza una minima prova. In realtà basterebbe esaminare gli atti dei processi che gli inquisitori avevano l’obbligo di redigere, minuziosamente archiviati e tutt’ora consultabili, per scoprire che i processi dell’inquisizione cattolica non furono così violenti come si è sempre voluto far credere e che gli inquisitori si comportarono correttamente verso gli imputati – per la maggior parte preti, frati e monaci.

Parimenti si scoprirebbe che la tortura non fu quasi mai usata dai tribunali ecclesiastici, se non eccezionalmente, in quanto ritenuta un metodo inefficace, e che fu molto più lieve di quello che si possa pensare, tenendo conto che all’epoca era considerata una normale procedura giudiziaria.

E’ stato appurato poi che le effettive condanne furono veramente sporadiche e che non sempre venivano eseguite, in quanto l’intento dell’inquisizione era quello di recuperare le “pecorelle perdute”.

I primi tribunali ecclesiastici nacquero nel 1184, creati ad hoc per sopprimere l’eresia catara che preoccupava non poco i sovrani d’Europa, ben prima della Chiesa, in quanto sovvertiva l’ordine costituito, alimentando odio e anarchia. E’ da considerare che a quel tempo non era pensabile un re svincolato dalla religione cattolica, che equivaleva alla nostra democrazia, e dunque, un affronto alla religione era visto dal regnante come un atto di lesa maestà (vedi Rino Camilleri, “La Vera Storia dell’Inquisizione”).

In questo panorama il potere secolare spesso, con processi-farsa, condannava uomini e donne innocenti, semplici ed ingenui contadini rei di non sapersi difendere. Era dunque necessario che i giudici fossero persone con una solida formazione in materia dottrinale, per riuscire a capire se l’imputato fosse o no un eretico.

Rispetto a ciò che tutt’ora viene insegnato nelle scuole dell’obbligo, gli inquisitori non erano degli ignoranti bigotti, oscurantisti ed intolleranti, ma al contrario, persone colte e rette, la cui integrità morale era universalmente nota.

La cosiddetta “caccia alle streghe” avvenne molto più tardi, in epoca rinascimentale ed ebbe il suo culmine, inverosimilmente, in piena età moderna. Alla fine del XIV secolo l’Europa era profondamente segnata da guerre, carestie e pestilenze, tra la popolazione aleggiava un clima che potremo definire apocalittico, dove paura e angoscia regnavano imperanti.

Il popolo trovò così negli emarginati sociali (accusati di provocare malocchi e catastrofi) un “capro espiatorio” alla propria frustrazione e impotenza, una valvola di sfogo al malcontento generale.

Il ruolo della Chiesa in sostanza fu quello di arginare e circoscrivere il dilagare di uccisioni indiscriminate perpetrate dal “braccio secolare”, che agiva sotto la furiosa spinta del popolo. Altresì la Chiesa si adoperò per la difesa e la dignità dell’uomo, combattendo strenuamente la superstizione dilagante e la “mentalità magica” dell’epoca che limitava la sua libertà.

Le condanne al rogo, a causa di ecclesiastici, furono dei casi isolati, spesso condannati dalla Santa Sede, la quale sollevò più di qualche inquisitore dall’incarico per essersi corrotto con il potere secolare che faceva esclusivamente i propri interessi (vedi gli eclatanti casi di Giovanna D’Arco e dei Templari). Oggi giorno sono molti gli storici a ritenere che senza l’inquisizione i morti sarebbero stati molti di più. 

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ZENIT Staff

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