di Antonimo Scacco
ROMA, lunedì, 6 agosto 2012 (ZENIT.org) – La produzione fantascientifica di Robert Anson Heinlein è comunemente suddivisa in tre fasi: la prima è quella della storia futura e si svolge nel periodo 1939-49; la seconda è quella dei juveniles e va dal 1950 al 1960; la terza è quella dei romanzi per adulti, che, iniziata nei primi anni Sessanta, si protrasse fino al 1988, anno della sua morte. Ad essa appartiene Straniero in terra straniera (Stranger in a Strange Land, 1961).
Per capire il cambio di registro tematico e stilistico di questo romanzo rispetto ai precedenti, bisogna tenere presente il clima politico e culturale di quel tempo. Nel 1957, la gara per la conquista dello spazio è vinta dall’URSS con la messa in orbita dello “Sputnik”. Dopo di questo, altri colpi vengono inferti all’orgoglio americano: la guerra nel Vietnam, le vicende del “Watergate”, l’attività spionistica della CIA…
Le mutate condizioni storiche e spirituali rendono caduchi gli sforzi della fantascienza – come scrive Jacques Sadoul nella sua Storia della fantascienza – «nei due campi della predizione e del realismo nella descrizione del futuro». L’esigenza di un rinnovamento è avvertita dalla maggior parte degli scrittori discience fiction.
Anche Heinlein sente il bisogno di stare al passo coi tempi, anch’egli sente la necessità «di esaminare ciascuno dei fondamentali assiomi della cultura occidentale, di mettere sotto processo ciascun assioma, porlo in dubbio e, se possibile, mostrare come l’antitesi di ciascun assioma appaia possibile e forse addirittura desiderabile, anziché inconcepibile».
Queste le parole con cui Heinlein presentò al pubblico la prima edizione di Straniero in terra straniera, dove si narra la storia di Valentine Michael Smith, un giovane terrestre nato su Marte e allevato dai marziani, che gli trasmettono poteri straordinari.
Giunto all’età di venticinque anni, si reca sulla Terra. Resosi conto che tra gli esseri umani è diffusa la «convinzione che il sesso [è] ‘malvagio’ e ‘vergognoso’ e ‘animalesco’, qualcosa da rinnegare e da disprezzare», decide di fondare una nuova religione, basata su un nuovo codice sessuale.
Al posto della monogamia che conduce inevitabilmente a «castità riluttante, adulterio, gelosia, amarezza, famiglie distrutte e figli rovinati», l’uomo deve adottare la «pluralità-nella-unità, il congresso sessuale condiviso-da-tutti».
Inutile dire che Straniero in terra straniera è proprio sul piano religioso che fallisce più vistosamente. Ossserva Guido Pagliarino (cfr. “Future Shock” n.50): «Se l’Heinlein pare scrivere questo suo romanzo sulla falsariga della religione cristiana, in realtà ne capovolge i valori: il peccato dell’Uomo – Adamo – nel Giudeo-cristianesimo consiste proprio nel suo vedersi come Dio sostituendosi – illusoriamente – a lui; e secondo l’insegnamento di Gesú, gli esseri umani hanno sì grandissimo valore, ma in quanto figli di Dio-Amore e fratelli di Cristo, ed è per questo, non per il credersi falsamente iddii, che gli uomini devono amarsi e aiutarsi reciprocamente».
Severe critiche sono state rivolte anche alla concezione che Heinlein ha del sesso. Riccardo Valla, nella sua presentazione all’edizione italiana del romanzo, scrive che «[…] è interessante constatare come i costumi sessuali della “religione” di Smith corrispondano alla sessualità atletica e disinibita che viene propagandata da riviste come “Playboy” […].
Questo modo di intendere il sesso è però un’utopia, ed è altrettanto parziale quanto lo era il puritanesimo vittoriano. L’errore consiste nel ritenere che il sesso sia sempre e necessariamente uno strumento positivo di conoscenza: ciò potrà essere vero in una utopia, ma non certo nella realtà, ed Heinlein non riesce a cogliere l’errore di fondo della sua posizione, e cioè che a volte il sesso diventa strumento di ricatto effettivo o mezzo per acquisire potere».
Quanto all’influsso che Straniero in terra straniera avrebbe esercitato sul movimento hippie, ecco che cosa ne pensa Brian W.Aldiss in Un miliardo di anni: «La grottesca “religione” di Manson si componeva di molti fuscelli vaganti nell’atmosfera, tra i quali i testi della Bibbia, la musica dei Beatles e la droga.
Egli assorbì inoltre un po’ di scientologia, anch’essa il prodotto del cervello di uno scrittore di fantascienza, L.Ron Hubbard […] soltanto un moralista potrebbe essere tanto stupido da immaginare, in piena guerra del Vietnam, che gli assassini di Sharon Tate e tutti gli altri componenti dell’odiosa setta feticista di Manson possano essere una specie di logica conseguenza finale della ben salda e rispettabile tradizione dei pulp dell’onnipotenza del maschio».
La ragione del fallimento, dal punto di vista ideologico, di questo e di tanti altri romanzi della terza fase, sono da ricercarsi, secondo noi, nella mentalità pragmatica dell’Autore, poco incline alla riflessione filosofica. In un romanzo breve, L’eredità perduta (Lost Legacy, 1941), fa dire al protagonista: «In realtà, nella filosofia non c’è nulla. Avete mai provato a mangiare lo zucchero filato che vendono nelle fiere? Sembra che sia effettivamente qualcosa, ha un bellissimo aspetto e un sapore dolce: ma quando cerchi di morderla non riesci a stringerla tra i denti, e quando provi ad inghiottirla, in realtà non c’è niente».
Parole, certo, ad effetto, ma anche sintomatiche. La crisi che, agli inizi degli anni Sessanta, serpeggiava in seno alla fantascienza e che portò alla chiusura di “Astounding”, doveva, invece, spingere Heinlein & C. ad usare, non a svilire, lo strumento della riflessione filosofica, per chiarire, una volta per tutte, la vera natura della fantascienza e scoprire e valorizzare, per una nuova Età dell’Oro, la dimensione umanizzante della scienza.