"Whatchdog"? Meglio onesti giornalisti

L’abuso “politico” delle intercettazioni stravolge l’informazione

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di Domenico Delle Foglie*

ROMA, sabato, 4 agosto 2012 (ZENIT.org) – In tempi di animalismo esasperato come i nostri, sentirsi dare del “watchdog”, dovrebbe riempirci di orgoglio. Eppure, il termine “watchdog”, che nel giornalismo anglosassone richiama la figura dei giornalisti “cani da guardia” dei potenti, non ci convince sino in fondo.

Soprattutto se applicato ai Paesi latini e in particolare all’Italia. Ma neppure nei Paesi anglosassoni il “watchdog” se la cava tanto bene. Pensate allo scandalo che ha travolto i giornali di proprietà di Murdoch in terra britannica.

Con i “cani da guardia” che non avevano trovato di meglio che riempire le loro pagine scandalistiche con le informazioni acquisite mediante azioni di spionaggio, anche attraverso intercettazioni illegali fatte a scapito della privacy.

Fino a toccare sfere privatissime come quella della salute e della morte. Insomma, questo tipo di giornalismo non ha davvero nulla da insegnare. E la crisi dei giornali di Murdoch, con i relativi coinvolgimenti politico-istituzionali, è solo la giusta sanzione da parte di un’opinione pubblica assetata di notizie, ma non incline a giustificare l’acquisizione delle news con ogni mezzo.

Il giornalismo anglosassone vive nel mito dello scandalo Watergate che spazzò via un presidente degli Stati Uniti come Richard Nixon ad opera di due autentici segugi come Bob Woodward e Carl Bernstein, reporter del Washington Post. A loro il merito di portare alla luce il caso di spionaggio ai danni del partito democratico ad opera di uomini legati a Nixon. Seguì l’impeachment del presidente e la sua uscita di scena, con disdoro, dalla Casa Bianca. Per Woodward e Bernstein fu la consacrazione mondiale, sino a divenire il sogno della vita professionale di ogni giovane giornalista.

Un piccolo particolare: il Watergate fu un caso fondato su intercettazioni illegali. Oggi, e veniamo all’Italia, spesso il lavoro dei nostri “watchdog” è fondato sulle intercettazioni legali passate sottobanco da una magistratura “amica” o da personale infedele degli apparati giudiziari (peraltro mai sanzionato).

La cassetta della posta dei nostri giornalisti è sempre pronta a ricevere una bella trascrizione, spesso confezionata con indubbia maestria, pronta per essere servita in pasto a un pubblico amico, vittima di quello stesso giustizialismo di cui sono protagonisti magistrati-politici-giornalisti arruolati in questo “circolo magico”.

Detto questo, forse dovremmo escludere tutti questi eccellenti e potenti colleghi dalle schiere dei “watchdog”,  perché il loro unico merito è quello di offrire in pasto al pubblico un lavoro di ricerca di notizie fatto da altri.

Ci sono poi i protagonisti dello star sistem italiano. Evitiamo di fare i nomi, ma il pensiero corre ovviamente a scrittori, conduttori televisivi, sceneggiatori, che si alimentano delle stesse fonti e che ripetono all’infinito lo stesso copione.

Qualcuno, però, certamente si salva in questa battaglia che è principalmente politica piuttosto che giornalistica. È il caso forse di Milena Gabanelli con il suo Report, e della coppia Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del Corriere della Sera e di un autentico segugio come Antonio Maria Mira, inviato storico di Avvenire. A lui va certamente il merito di aver portato alla luce, nei giorni scorsi, lo scandalo dei roghi tossici in Campania.

In ogni caso, per il genio intellettuale, sarà bene mandare in pensione per sempre la figura retorica del “watchdog” . Anche perché i cani da guardia, se non sono bene ammaestrati, spesso azzannano. E per completare la similitudine, se i giornalisti non sono ispirati da una forte e radicata etica professionale, spesso si fanno beffe della dignità delle persone di cui narrano le vicende.

Quindi basta con i “watchdog”. Se proprio ci tengono, se li conservino i nostri amici anglosassoni. Piuttosto, noi impariamo a tenere da conto i nostri bravi giornalisti (ce ne sono tanti) che sanno trovare le notizie senza  aspettare il dono interessato del magistrato amico, ma soprattutto hanno un sacro rispetto della persona umana. Una questione di etica? Sì, di quell’etica professionale che spesso i “watchdog” ignorano.

*Presidente del Copercom (Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione)

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ZENIT Staff

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