Il 5 aprile scorso, giovedì santo, il Santo Padre ha pronunciato una importante omelia all’interno della Santa Messa del Crisma, di cui vorrei letteralmente riprendere alcune argomentazioni che, sebbene rivolte principalmente al clero, coinvolgono, per la loro forza ed urgenza, l’intera Chiesa e perciò anche gli artisti e quanti, sacerdoti e laici, lavorano all’interno del vasto campo dell’arte sacra. Lascerò parlare soprattutto le parole del Pontefice, introducendo solo alcune indicazioni per applicare queste parole all’ambito dell’arte sacra.
Benedetto XVI, facendo riferimento alla consacrazione degli olii crismali, ha ricordato che la consacrazione sacerdotale significa essere “consacrati nella verità” (Gv 17,19). Ha poi continuato ponendo alcune fondamentali domande: «È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi?»
«La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa?» ha chiesto il Santo Padre, e ha poi continuato interpellando le nostre coscienze aggiungendo: « la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?».
Ed ancora: «Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo».
Si potrebbe certamente affermare che la questione dell’arte non è propriamente legata a questioni magisteriali, ma in realtà l’arte sacra è profondamente legata al dovere di rappresentare la verità di fede, e dunque risulta profondamente coinvolta nella questione dell’ubbidienza alla Verità rivelata. «Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore».
Un passaggio sembra centrale per la questione dell’arte: «resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento». Anche nelle questioni d’arte questa conformità costituisce la centralità essenziale del discorso: tutto deriva da Cristo, tutto ha necessità di conformarsi al mistero dell’Incarnazione, morte e Risurrezione di Cristo; tutto deve cantare la gloria di Cristo ed essere al suo servizio.
Benedetto XVI pone poi degli esempi nelle figure splendide dei santi; analogamente si potrebbe ricordare l’arte dei grandi santi artisti che la tradizione della Chiesa ci offre, ed anche le schiere dei grandi e grandissimi artisti che hanno nella fede “cantato la lode al Signore con arte”, essi pure modelli ed esempi fecondi.
«I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.»
«Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento, il munus docendi, che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso.»
Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente: «Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia».
Fondamentale e primaria è la conoscenza della Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma c’è bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo.
«Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa.» Questo è tanto più vero per l’arte: la dottrina che l’artista esprime nel suo silenzioso lavoro al servizio della Chiesa, non è “la sua dottrina” quel che egli pensa, il suo modo di sentire, ma dovrebbe essere esclusivamente la parola del Signore Gesù Cristo.
«Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso» afferma il Santo Padre; questo per l’artista significa non affermare se stessi, ma trasmettere attraverso l’arte ciò che conosco e che professo, in piena condivisione del credo ufficiale della Chiesa, attraverso l’immenso deposito della fede, che nel caso dell’arte è l’immenso patrimonio iconografico della tradizione dell’arte sacra.
«L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo.»
«Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità». L’arte e l’arte sacra in modo particolare ha il compito di edificare l’uomo nella sua interezza, di edificare attraverso una operazione parenetica l’anima del fedele e di superare quell’arbitrio dell’inquietudine che è la cifra “umana, troppo umana” del nostro tempo “post-moderno”. Non è la mondanizzazione dell’arte sacra a salvare il senso di adeguamento ai tempi, ma la dinamica opposta: la cristianizzazione dell’arte, nel segno di una costan te innovazione, che non può accadere se non nel recupero vivificante della tradizione, senza rifiutarla in nome di un presunto superamento dei tempi, e senza l’eccesso opposto inteso in un malinteso “difeso immobilismo, nell’irrigidimento della tradizione”.