"Signore, fa' di me un canale della tua pace"

Intervista con mons. Sebastian Francis Shah, OFM, vescovo ausiliare di Lahore, in Pakistan

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ROMA, venerdì, 27 aprile 2012 (ZENIT.org) – Il Pakistan è un paese con una popolazione di 160 milioni di abitanti, di cui il 95% è di fede musulmana. I cristiani rappresentano meno del 3% della popolazione totale.

L’ascesa dell’islam militante nel corso degli ultimi anni è fonte di preoccupazione: i cristiani si sentono insicuri, se non proprio impauriti. La Conferenza dei Vescovi Cattolici del Pakistan (PCBC) ha ripetutamente chiesto al governo del Pakistan di difendere le minoranze religiose. Secondo alcuni vescovi, è in atto un vero e proprio martirio.

In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), Mark Riedemann ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio Piange) monsignor Sebastian Francis Shah, OFM, vescovo ausiliare di Lahore.

Eccellenza, Lei è nato in un villaggio cristiano nella provincia di Sindh. È normale in Pakistan per suddividere i villaggi in base all’affiliazione religiosa?

Mons. Sebastian Francis Shah: Sì, penso che uno dei motivi sia che i cristiani sono una minoranza; essendo una minoranza vogliamo professare la nostra fede, pregare e praticare la nostra fede in libertà, pertanto, tutti i missionari hanno radunato la gente in villaggi. Il terreno è stato acquistato e dato alla gente in modo da poter essere più indipendente. Avevano negozi e scuole e la chiesa per il culto. Questo era il motivo. Siamo integrati all’interno dei nostri villaggi vicini, ma è solo così che si ha maggiore libertà per celebrare.

Quando ha avuto la sua prima esperienza di Dio?

Mons. Sebastian Francis Shah: Mio padre è morto quando ero molto giovane. I frati francescani e le suore francescane maltesi lavoravano nel mio villaggio, si impegnavano instancabilmente per i giovani, per lo sviluppo della gente, per i bambini delle scuole e si prendevano cura degli animali, quando si ammalavano. Sono stato molto ispirato da loro. Mia madre ci raccontava anche molte storie di santi e mi diceva sempre, quando ero chierichetto, che un chierichetto è come un angelo, che serve il Padre, il sacerdote che sostituisce Gesù. Era come un altro Gesù, e così essere un chierichetto era come essere un angelo. È lì che ho sviluppato l’idea di diventare un missionario. Mia madre mi raccontava spesso la storia di San Sebastiano che subì il martirio. Quindi, a quella tenera età, già stavo pensando di dedicare un giorno, magari, la mia vita alla Chiesa.

Lei è stato ordinato vescovo il 14 febbraio e questo ha indotto il Vicario Generale a dire: “il Santo Padre ci ha fatto un regalo di San Valentino”. Qual è stata la tua reazione?

Mons. Sebastian Francis Shah: In realtà ero molto nervoso e sorpreso. Non lo volevo ma ho pregato e pregato. Ogni volta che andavo a pregare nella cappella, vedevo la croce e ogni volta che la guardavo sentivo questo messaggio: ‘Francis, va’ e costruisci la mia Chiesa’. Poi un altro segno è avvenuto nella Friday Chapel a Karachi, dove c’è l’immagine del Sacro Cuore di Gesù; ogni volta che ero lì per pregare e riflettere, gli occhi spesso si volgevano verso la Croce o il Sacro Cuore e sempre sentivo Gesù dirmi: “Guarda il mio cuore”.

Qual è il suo motto episcopale e perché lo ha scelto?

Mons. Sebastian Francis Shah: Ho riflettuto sul mio motto e la prima cosa che mi è venuta in mente era quella di voler esser un ambasciatore di pace o un canale di pace, come San Francesco. L’ho scelto perché al giorno d’oggi, in tutto il mondo la gente – se si trova a casa o nella piazza del mercato, al lavoro o nel luogo di culto – è molto intimorita. Allora ho detto che forse il Signore vuole che io porti qualche idea di pace ed è per questo che ho scelto la pace e farmi un canale di pace. Ogni volta che vado da qualche parte o ad una cresima, dico sempre: “Signore, fammi un canale di pace”.

Eccellenza, i cristiani in Pakistan sono una minoranza: meno del 3% della popolazione. Come Lei vede il vostro rapporto con i concittadini musulmani?

Mons. Sebastian Francis Shah: Nella quotidianità, cristiani e musulmani lavorano insieme. Non è un problema. Noi sentiamo senz’altro di essere una minoranza ma, allo stesso tempo, anche noi ci sentiamo pakistani. Siamo tutti pakistani. Il problema si verifica quando un gruppo religioso crea problemi, ad esempio, in aree remote, dove un imam può predicare un insegnamento deviato. Ma per il resto, anche quando ero a scuola, dove la maggior parte degli studenti erano musulmani, eravamo buoni amici. Vorremmo uno scambio di informazioni su Gesù, la Bibbia, il profeta e il Corano. Non c’era mai un problema. È solo recentissimamente che sentiamo l’emergere di un problema nelle nostre relazioni con i musulmani e dobbiamo stare molto attenti. Chi lavora in ufficio mai discute di religione: ciò è uno sviluppo molto recente ed è forse una buona cosa…

…Che la religione non faccia parte alla quotidianità?

Mons. Sebastian Francis Shah: Sì… Loro [musulmani] e noi [cristiani] la sappiamo sanno che siamo ancora amici. Il problema sono quei gruppi che creano problemi e in, alcuni villaggi, questo è più evidente. Nel Sind, regione di cui sono originario, o a Karachi, non troverai pregiudizi religiosi e, se esistono, sono minimi. Nel Punjab e nell’altra parte del Pakistan, i pregiudizi religiosi sono molto più evidenti. In alcune aree, anche se è piuttosto raro, in un albergo per esempio, se scoprono che sei un cristiano e hai usato una tazza da tè, l’addetto ti darà una botta o romperà la tazza.

Perché?

Mons. Sebastian Francis Shah: Perché se un cristiano ha toccato una tazza, quella tazza è stata contaminata, e non dovrebbe essere più usata. In altre parole, quell’oggetto non ha alcun diritto di esistere, è rovinato.

In che misura gli eventi internazionali influiscono sulla comunità cristiana in Pakistan?

Mons. Sebastian Francis Shah: Una cosa è molto chiara: noi cristiani pakistani veniamo considerati alleati della cultura occidentale. Veniamo equiparati a loro, il che non è giusto. Sono nato in Pakistan. Io sono pakistano. Vivrò e morirò in Pakistan. Noi e loro [i musulmani] dovremmo capire che il cristianesimo non è solo una religione occidentale. Gesù Cristo, dopo tutto, era asiatico e la Bibbia è stata scritta in Asia, così come i Vangeli. Quindi siamo asiatici. I missionari, naturalmente, venivano dall’Occidente, dall’Europa, ed essendo l’Europa un continente cristiano, veniamo immediatamente associati a loro, il che non è vero. Ogni volta che accade qualcosa in Europa o America, ne risentiamo subito l’impatto, siamo perseguitati. Quando ad esempio il pastore della Florida minacciò di bruciare il Corano, speravamo che non lo facesse. Avevamo paura, la Conferenza episcopale pakistana ha scritto al governo pakistano assicurando che eravamo solidali con loro e abbiamo scritto al governo degli Stati Uniti, auspicando che non succedesse. Credo che nessuna persona abbia il diritto di ferire i sentimenti, soprattutto i sentimenti religiosi di nessuno, perché la religione è sacra ed è molto cara a tutti.

Quando la Conferenza episcopale pakistana prende una posizione come questa, si riduce la tensione a livello locale?

Mons. Sebastian Francis Shah: Sì, e apprezzo la maggior parte dei pakistani: sono moderati e capiscono che i cristiani in Pakistan sono una minoranza. Capiscono che siamo una minoranza e che siamo poveri. I cristiani non sono forti nel mondo degli affari e non controllano il governo pakistano.

Come si fa a evangelizzare in un contesto come questo?

Mons. Sebastian Francis Shah: In primo luogo, la nostra missione è quella di testimoniare la nostra identità cristiana. In questo modo la nostra evangelizzazione è prima di tutto tra i nostri fedeli. Non ci limitiamo ad evangelizzare la perso
na, ma sentiamo che abbiamo la responsabilità di evangelizzare tutta la società soprattutto quando c’è ingiustizia. Dobbiamo aiutare chiunque, attraverso le nostre scuole, gli ospedali e le altre istituzioni. Cerchiamo di portare l’idea di verità e di come la società dovrebbe essere, nonché la tutela dei diritti umani per tutti. La gente, certo, anche se siamo una minoranza, apprezza i nostri sforzi.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per Where God Weeps, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Per maggiori informazioni: http://www.wheregodweeps.org/countries/pakistan/
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Aiuto alla Chiesa che soffre Italia: www.acs-italia.glauco.it
Where God Wheeps: www.wheregodweeps.org

[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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