La riconciliazione tra cubani: il prezzo del martirio

Il cardinale arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega Alamin, ha parlato a Harvard

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di Araceli Cantero Guibert

MIAMI, venerdi 27 aprile 2012 (ZENIT.org) – Il cardinale arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega Alamin, ha dichiarato che portare avanti un processo di riconciliazione tra cubani, significa chiedere ad alcuni gruppi e alla Chiesa stessa di correre rischi personali e critiche di ogni tipo.

Durante il forum Chiesa e Comunità: il ruolo della Chiesa cattolica a Cuba, alla prestigiosa Università di Harvard, negli USA, il cardinale ha parlato della necessità di riconciliazione tra i cubani. Ha fatto quindi riferimento al recente incontro Un dialogo tra cubani, che si è svolto all’Avana dal 19 al 21 aprile scorsi, e ha elogiato il ruolo di alcuni gruppi della diaspora impegnati nella ricerca di un dialogo costruttivo.

Tra i partecipanti c’erano rappresentanti di istituzioni cubane ed esuli appartenenti al mondo accademico e dell’economia, che hanno perduto grandi ricchezze a Cuba: secondo il porporato costoro hanno parlato con toni riconciliati. “Non voglio attaccare chi la pensa diversamente, ma credo che sia un buon ruolo che si può assumere ed alcuni lo stanno facendo, correndo gravi rischi personali”, ha detto.

Il cardinale Ortega ha ammesso: “Questo lo sappiamo. La Chiesa a Cuba, – nella mia persona – viene attaccata in ogni modo possibile, ma penso che sia un bene riuscire ad ottenere un processo di riconciliazione tra i cubani”, riconoscendo le difficoltà che il tema incontra in alcuni ambienti.

Ortega ha fatto un riferimento al suo primo viaggio a Miami da cardinale, nel 1995, quando “il nostro caro amico, scomparso in questi giorni e a cui volevo tanto bene, monsignor Agustín Román, mi chiamò in disparte e mi disse ‘nei tuoi discorsi ed omelie tu parli molto di riconciliazione. Non menzionare quella parola a Miami’”.

Il cardinale Ortega ha detto che non è stato facile abbandonarla. “Lui conosceva il terreno meglio di me. È un peccato che noi, vescovo compreso, dobbiamo sottacere questa parola che è nostra, propria del cristianesimo”.

Il cardinale ha sollevato apertamente il dilemma: “Cosa bisogna fare? Sottacerla per sempre? Attendere tempi migliori? Oppure propiziare tempi migliori finché si comprenda che dobbiamo essere un popolo riconciliato?”.

Questo compito, ha detto Ortega, “può richiedere un certo tempo e chissà il martirio a cui noi cristiani siamo chiamati, perché non c’è risurrezione senza croce”. Personalmente, il porporato ha detto di aver accettato “che devo pagare per portare avanti questa riconciliazione tra cubani”.

Al forum, organizzato dall’Institute of Politics dell’Università hanno partecipato anche il cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley, il vice rettore per le Relazioni Internazionali di Harvard, Jorge Domínguez, e la professoressa Mary Jo Bane.

Il cardinale Ortega ha fatto una breve presentazione del cammino della Chiesa oggi, durante la quale ha parlato della recente visita di Benedetto XVI all’isola e del suo messaggio. Ha ricordato che la visita è stata preparata con il pellegrinaggio dell’immagine della Vergine della Carità per oltre 30.000 chilometri attraverso campagne, città e nuovi insediamenti, con la partecipazione di migliaia di persone.

“Abbiamo constatato che la fede è presente in una percentuale molto alta”, ha dichiarato. Il cardinale Ortega ha ricordato che la visita di Giovanni Paolo II nel 1998 è stata l’inizio di una nuova era per la Chiesa nei rapporti con lo Stato e nelle manifestazioni pubbliche della fede, la creazione di pubblicazioni, centri di istruzione complementare, attività della Caritas e riflesso del fattore religioso nei media di stato.

Le domande del pubblico hanno portato a parlare del duro processo subito dalla Chiesa a Cuba. Il cardinale Ortega ha detto che è, per la Chiesa cubana, il giudizio è stato molto critico per il suo ruolo agli inizi della rivoluzione. È stato chiesto alla Chiesa di assumere un ruolo che non poteva assumere perché era oppressa e schiacciata.

Il porporato ha ricordato i primi giorni della Teologia della Liberazione “che non potevamo accettare come la nostra”. E ha ricordato le parole di un cardinale in Europa che persino arrivò a dire che “la Chiesa cubana ottiene solo ciò che merita per non essersi messa dalla parte dei poveri”.

In queste circostanze, ha proseguito Ortega, la Chiesa in Cuba è stata aiutata e compresa solo dalla Chiesa tedesca e dalla Conferenza dei Vescovi degli Stati Uniti, che le è stata vicina non solo economicamente. La visita del cardinale John O’Connor di New York a Cuba nel 1988 e il suo incontro con Fidel Castro, ha aiutato la Chiesa ad uscire dall’assedio.

Poi è stato ottenuto il rilascio di 400 prigionieri politici, visti immediati per l’ingresso di sacerdoti stranieri e suore, e permessi per le visite familiari da parte di esuli cubani. Il cardinale Ortega ha parlato del recente ruolo di mediazione della Chiesa per la liberazione di detenuti e ha sottolineato che non sono stati costretti ad emigrare. Ha parlato anche del suo intervento in recenti episodi di ‘occupazione’ di alcuni luoghi di culto. Ha smentito che la Chiesa abbia cacciato il gruppo con la forza all’Avana.

Ha fatto riferimento ai rapporti della polizia sui partecipanti, alcuni ex detenuti e con disturbi psicologici, e ha detto che in questi gruppi c’è gente che cerca un espediente per lasciare il Paese ed ottenere lo status di rifugiato politico.

Ha dato l’esempio di un gruppo che lo ha contattato dicendo “ci hanno chiesto di occupare la cattedrale di Pinar del Río, ma non lo faremo”. Questa richiesta, secondo il cardinale, indica che questi gesti vengono organizzati dall’estero. Il cardinale Ortega ha detto che il gruppo aveva dei telefoni cellulari di ultima generazione e comunicava con l’estero.

“Tali azioni, ha detto, danneggiano molto la dissidenza”. Il riferimento al fu vescovo Román, nonché la descrizione dei dissidenti che hanno occupato i luoghi di culto, hanno provocato nuove critiche all’indirizzo del cardinale su internet e nei media della diaspora cubana, che hanno ripetuto l’epiteto già dato dal quotidiano The Washington Post del cardinale Ortega come “socio de facto di Raúl Castro”, e sostenendo che “le leggi Cuba sono arbitrarie e soffocanti, il che rende difficile trovare un cubano che non le abbia violate”.

Questa nuova polemica ha adombrato il resto dell’intervento del cardinale sul cammino della Chiesa, “aprendo nuovi spazi per la sua missione”. Come esempio ha menzionato il ruolo delle pubblicazioni cattoliche, “attaccate selvaggiamente, ma ormai accettate, vengono lette ad alto livello e sono prese in considerazione”. Ha fatto riferimento anche agli asili nidi che ora esistono in tutta l’isola. Ritenuti una “intromissione in campo educativo”, “oggi lo Stato stesso ci offre una grande casa per questo”.

Il cardinale ha affermato che “oggi a Cuba avviene un risveglio della fede in più profondità di adesione alla Chiesa e di qualità superiore”. “Adesso, senza tante pressioni la gente progetta la fede più seriamente e ci sono gruppi di laici che cercano quello che la Chiesa offre”.

Il forum di Harvard è disponibile al seguente indirizzo web:
http://www.penultimosdias.com/2012/04/26/el-cardenal-jaime-ortega-en-harvard/

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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