di Luca Marcolivio
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 26 aprile 2012 (ZENIT.org) – Nella Chiesa esiste un “ministero della carità” ed una “pastorale della carità” verso i bisognosi di cui già si parla in modo chiaro nel Nuovo Testamento. Lo ha ricordato papa Benedetto XVI nel corso dell’Udienza Generale, tenutasi ieri mattina in piazza San Pietro.
Proseguendo il suo ciclo di catechesi sulla preghiera negli Atti degli Apostoli, il Santo Padre ha spiegato che le due realtà dell’annuncio della Parola di Dio e della “carità concreta” devono “vivere nella Chiesa”, conservando la loro “relazione necessaria”.
Non basta che gli uomini di Chiesa godano di “buona reputazione”: essi devono in primo luogo essere “pieni di Spirito Santo e di sapienza”, agendo sempre “nello spirito della fede con la luce di Dio”. Anche le loro “azioni sociali”, dunque, sono “azioni spirituali realizzate nella luce dello Spirito Santo”. Esercitando la “diaconia della carità”, pertanto, gli Apostoli chiedono sempre “la forza dello Spirito Santo”.
C’è poi l’esempio di Marta e Maria di Betania (cfr. Lc 10,38-42): la prima è “tutta presa dal servizio dell’ospitalità da offrire a Gesù”, la seconda, invece “si dedica all’ascolto della parola del Signore”. Gesù, poi, elogia in modo esplicito Maria, il cui contegno mostra “la priorità che dobbiamo dare a Dio”, ha osservato il Papa.
La realtà di Maria di Betania è, come diceva San’Agostino, “una visione della nostra situazione del cielo”. A tal proposito Benedetto XVI ha raccomandato di non perdersi nell’“attivismo puro” e di comprendere che la “vera carità” non ha bisogno di “tante cose” ma “soprattutto dell’affetto del nostro cuore, della luce di Dio”.
Il Papa ha poi citato Sant’Ambrogio che di Maria di Betania, lodava “il desiderio di sapere” che è “la più grande, più perfetta opera”.
Altro santo considerato da Benedetto XVI un “modello di armonia tra contemplazione ed operosità” è San Bernardo da Chiaravalle, secondo il quale “le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito”.
Come ricorda il passo degli Atti degli Apostoli (cfr. At 6,1-7), citato ieri dal Santo Padre, tutte le nostre attività quotidiane “vanno svolte con responsabilità e dedizione”, tuttavia è imprescindibile “il nostro bisogno di Dio, della sua guida, della sua luce che ci danno forza e speranza”. Senza la preghiera quotidiana “vissuta con fedeltà”, le nostre azioni pratiche si riducono a “un semplice attivismo che, alla fine, lascia insoddisfatti”.
La preghiera “alla luce di Dio” e “dello Spirito Santo”, quindi, permette ai primi apostoli di superare anche “la difficoltà che stava vivendo la Chiesa di fronte al problema del servizio ai poveri, alla questione della carità”, ha proseguito Benedetto XVI. “Il servizio pratico della carità – ha aggiunto – è un servizio spirituale. Ambedue le realtà devono andare insieme”.
L’imposizione delle mani, con la quale gli Apostoli conferiscono un ministero particolare a sette uomini (cfr. At 13,3), “è importante – ha spiegato il Santo Padre – perché evidenzia proprio la dimensione spirituale del gesto; non si tratta semplicemente di conferire un incarico come avviene in un’organizzazione sociale, ma è un evento ecclesiale in cui lo Spirito Santo si appropria di sette uomini scelti dalla Chiesa, consacrandoli nella Verità che è Gesù Cristo”.
La preghiera è “il respiro dell’anima e della vita” e se essa non alimenta “il respiro della nostra vita spirituale, rischiamo di soffocare in mezzo alle mille cose di ogni giorno”, ha proseguito Benedetto XVI.
“Anche quando ci troviamo nel silenzio di una chiesa o della nostra stanza, siamo uniti nel Signore a tanti fratelli e sorelle nella fede, come un insieme di strumenti che, pur nella loro individualità, elevano a Dio un’unica grande sinfonia di intercessione, di ringraziamento e di lode”, ha poi concluso.