di Antonio Scacco
ROMA, domenica, 8 aprile 2012 (ZENIT.org).- Tra la fine del ‘500 e i primi decenni del ‘600, l’Europa è percorsa da un’ondata di rinnovamento scientifico-culturale. Il tradizionale metodo gnoseologico di scuola aristotelica, fondato sul sillogismo e sulla deduzione, è ritenuto del tutto inidoneo ad assicurare all’uomo il pieno dominio della natura. Questo può farlo solo un nuovo metodo operativo e pratico, il metodo induttivo, basato sulla sperimentazione empirica e sulla raccolta di osservazioni particolari e sistematiche.
Il filosofo che si fece banditore di queste idee o – come, con un termine latino, amò autodenominarsi – buccinator, fu l’inglese Francis Bacon (italianizzato in Francesco Bacone), nominato da Giacomo I Stuart Lord cancelliere e barone di Verulamio. Egli trasfuse tutto il suo entusiasmo per le invenzioni e le conquiste tecnologiche, che, nel futuro, grazie al nuovo sapere e alla nuova scienza che ne scaturiva, l’uomo sarebbe riuscito a realizzare, nel racconto utopico incompiuto e pubblicato postumo: La nuova Atlantide.
In esso, Bacone immagina che un gruppo di naufraghi trovi rifugio in un’isola sconosciuta, Bensalem, dove uno degli scienziati, appartenente all’istituzione della Casa di Salomone, illustra le mirabilia tecnico-scientifiche realizzate dai Neoatlantidi:
Possiamo ottenere la moltiplicazione della potenza della luce, la proiezione di questa a grande distanza e possiamo renderla a tal punto viva da poter distinguere punti e linee piccolissimi. […] Abbiamo metodi, che voi ancora non conoscete, per produrre da corpi diversi una originaria sorgente di luce; e strumenti per vedere oggetti lontani nel cielo e nei luoghi più remoti, e per fare apparire lontane cose vicine e viceversa, costruendo distanze fittizie. Possediamo anche aiuti per la vista assai migliori delle vostre lenti; abbiamo lenti e strumenti con cui vediamo chiaramente e distintamente i corpi più minuti, come le forme e i colori degli insetti più piccoli o vermi, la grana e le venature nelle gemme, la composizione dell’urina e del sangue, non visibili in altro modo.
Ma a distanza di quasi quattro secoli, che cosa è effettivamente accaduto? Veramente l’uomo è riuscito ad imbrigliare le forze della natura, a dominarle e a guidarle verso la realizzazione di un mondo perfetto? La risposta non può che essere, ahimè, negativa, come scrive Benedetto XVI nella sua ultima enciclica Spe salvi:
In questo senso il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell’instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e ad una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile. Così la speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell’uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero “regno di Dio”. Questa sembrava finalmente la speranza grande e realistica, di cui l’uomo ha bisogno. […] Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano1.
A conferma delle parole del Papa e senza tema di essere accusati di allarmismo, possiamo stendere un lungo elenco dei disastri che hanno gettato una pesante ombra sulle «magnifiche sorti e progressive dell’umana gente»2: gli eccidi della rivoluzione francese, le persecuzioni e gli stermini dei regimi comunisti e nazisti, le due guerre mondiali, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, i disastri ambientali, i milioni di feti abortiti, gli attentati dei terroristi islamici, la disoccupazione tecnologica, il mancato rispetto dei diritti umani in tante parti del mondo.
Se poi poniamo mente al fatto che tutti questi problemi sono ricollegabili, direttamente o indirettamente, al progresso scientifico e tecnologico tanto auspicato da Bacone, possiamo ben dire che la storia dell’umanità contemporanea è simile a quella dell’apprendista stregone della ballata, il quale, in assenza del maestro, scopre i segreti della sua potenza e li prova. Ma poi l’esperimento sfugge al suo controllo e farebbe una misera fine, se a salvarlo non arrivasse in tempo il maestro3.
Purtroppo, non c’è, nel nostro caso, un deus ex machina che rimetta tutto a posto. Peraltro, nessuno vorrebbe ritornare al tempo delle caverne, delle piramidi, del Partenone o del Colosseo. Che fare? Come risolvere la grave crisi che attanaglia non solo l’Occidente, ma il mondo intero? L’attuale cultura (intesa in senso lato: mentale, educativo, morale, politico) non sembra più in grado di esercitare quella funzione dileader che le compete, e cavalcare i cambiamenti. Anzi, rimanendo ancorata al ciceronianovir bonus artis dicendi perituse nutrendo interessi molto superficiali per i meccanismi del progresso scientifico e tecnologico (a cui spesso addossa i guai della nostra civiltà), rischia di diventare «analfabeta rispetto al suo tempo»4.
Come produrre, dunque, gli “anticorpi” di cui l’organismo sociale ha bisogno, per eliminare i sottoprodotti nocivi del progresso tecnologico? In quali punti giusti occorre agire per ricreare nuovi equilibri, più favorevoli all’uomo d’oggi delle antiche strutture politiche e mentali?
Una soluzione potrebbe essere quella di abituare la mente della gente, e specialmente dei giovani, a spingersi in una esplorazione immaginosa delle varie implicazioni connesse ai problemi politici, sociali, psicologici e etici che, di volta in volta, vengono alla ribalta, per capire quali decisioni sarebbe opportuno adottare e quali, invece, sciocco prendere. Ora, il gioco delle proiezioni futurologiche, delle ipotesi più o meno attendibili, delle anticipazioni azzeccate o errate, è l’elemento-base, la caratteristica peculiare, la struttura portante della narrativa di fantascienza, che pertanto si qualifica come uno strumento molto valido per rendere possibile alle nuove generazioni un atterraggio morbido tra i profili accidentati – emergenti dalle nebbie del domani – della nuova società.
Purtroppo, attualmente la fantascienza non è in grado di esplicare tutte le potenzialità di cui sopra, perché sta attraversando una fase di decadenza. I suoi scrittori, ben pagati e osannati in quel periodo di massimo splendore che, nella storiografia, viene denominatoEtà dell’Oro,oggi conducono una vita stentata e sono pressoché dimenticati negli Stati Uniti. Come è stato possibile tutto ciò?
Secondo noi, la causa è da ricercarsi nella crisi della scienza, di cui la fantascienza, come abbiamo altrove sostenuto5, è figlia e di cui riflette, come uno specchio, i fasti e i nefasti. Seguitissima, nella prima metà del secolo scorso, allorché la scienza era in auge, la fantascienza s’incammina sulla strada del declino, quando, con l’esplosione, nel 1945, della prima bomba atomica su Hiroshima, la gente comincia a diffidare della scienza. Gli scrittori non possono non tenerne conto e sfornano narrativa, in cui il futuro è rappresentato in chiave negativa. Ma i lettori la trovano deprimente e abbandonano la fantascienza per rivolgersi al fantasy. Prova di questo cambiamento di gusto è l’assegnazione, nel 2001, del Premio Hugo, tradizionalmente riservato alle opere di fantascienza, al romanzo di J.K.Rowling, Harry Potter e il calice di fuoco4.
Per risalire la china, bisogna, dunque, partire dalla scienza e riconoscere, anzitutto, che essa, da sola, non basta ad umanizzare l’uomo e tanto meno a dargli quella speranza grande e vera a cui egli aspira:
Francesco Bacone e gli aderenti alla corrente di pensiero dell’età moderna a lui ispirata, nel ritenere che l’uomo sarebbe stato redento mediante la scienza, sbagliavano. Con una tale attesa si chiede troppo alla scienza; questa specie di speranza è fallace. La scienza può contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. […]. Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore6. p>
Una scienza così intesa creerà attorno a sé un clima di fiducia e di ottimismo, che si rifletterà, per i motivi di cui sopra, positivamente sulla fantascienza o science fiction, spingendola ad attuare la sua vera natura, spesso fraintesa.
Per la presenza, in ogni romanzo, di elementi desunti dalla scienza e dalla tecnologia, essa è spesso scambiata per divulgazione scientifica. Si pensi all’opera verniana. In realtà, il ruolo della fantascienza non è propriamente quello conoscitivo, bensì quello sociale, cioè di accostare il lettore ai problemi suscitati dalla scienza: invadenza dei mass-media, minaccia nucleare, catastrofe ecologica, sovrappopolazione e così via.
Se la science fiction non è divulgazione scientifica, così essa non è neanche profezia. Se tra le migliaia di ipotesi prospettate dalla fantascienza qualcuna si è realizzata, ciò è avvenuto per puro caso. La funzione più genuina della fantascienza, invece, è quella di ricucire lo strappo fra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, strappo denunciato dallo scienziato e romanziere inglese Charles P. Snow nel suo celebre saggio, Le due culture.
La fantascienza tende cioè più a costruire che a demolire, più ad umanizzare che a dissacrare, più a integrare che a dividere. Il suo contributo più sostanzioso non consiste tanto nella anticipazione di scoperte e invenzioni, quanto piuttosto nella integrazione umanizzante tra scienza e uomo, nella creazione cioè dell’umanesimo sapienziale-scientifico.
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1 BENEDETTO XVI, Spe salvi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, pp.58-59.
2 GIACONO LEOPARDI, La ginestra o il fiore del deserto, in Canti, Rizzoli Editore, Milano 1953, p.136.
3 Cfr. MARC ORAISON, L’apprendista stregone. L’altra faccia del progresso, Cittadella Editrice, Assisi 1977, pp.24-25.
4 PIERO ANGELA, La vasca di Archimede, Garzanti, Milano 19822, p.77.
5 Si veda il nostro saggio Fantascienza e fantasy a confronto, in ANTONIO SCACCO, Fantascienza umanistica, Editrice Boopen, Pozzuoli 20092, pp.132-1133.
6 BENEDETTO XVI, op. cit., p.51.