Accettare lo scandalo della croce

Nuovo messaggio di mons. Giuseppe Fiorini-Morosini, vescovo di Locri-Gerace, per l’Anno della Fede

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, domenica, 8 aprile 2012 (ZENIT.org).- Per convincere i fedeli della sua diocesi di Locri-Gerace a effettuare un cammino sistematico e profondo in vista dell’Anno della Fede, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini ha inviato loro un nuovo messaggio nel quale, dopo aver fatto inizialmente riferimento alle due citazioni nelle quali S. Paolo parla espressamente dello scandalo della Croce: Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei (1Cor 1, 23) e È dunque annullato lo scandalo della Croce?(Gal 5, 11), ha richiamato dal Vangelo di Matteo i due passaggi nei quali Gesù fa riferimento allo scandalo che egli stesso suscita: Beato colui che non si scandalizza di me (Mt 11, 6) e Vi scandalizzerete per causa mia (Mt 26, 31).

Il richiamo a tali citazioni costituisce la base per comprendere il senso di questo scandalo e la sua straordinaria decisionalità per la vita di fede. «Cominciamo con il chiederci – scrive il vescovo di Locri-Gerace – a che cosa si riferisce Gesù quando fa riferimento alla scandalo che potrebbe recare a qualcuno. Non è difficile rispondere, se consideriamo la risposta di Gesù a Pietro che lo aveva contestato, quando egli fece il primo annunzio della passione: Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mt 16, 21-23)».

Ciò vuol dire che Gesù si scandalizza perché Pietro lo vuole distogliere dalla croce, come aveva fatto Satana con le tentazioni nel deserto (Mt 4, 1-11), così come «accettare la Croce significa pensare secondo Dio», mentre «rifiutarla significa entrare nella logica degli uomini». Di conseguenza, «quando Paolo afferma che la Croce è scandalo per i Giudei, non è difficile capirne il perché: era impensabile per loro che il Messia potesse soccombere; lui non poteva che vincere e camminare nel trionfo e nella gloria».

Richiamando la forza e la durezza del linguaggio di Paolo, per il quale «è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i  Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1 Cor 1, 21-23)», Mons. Morosini evidenzia che «la Croce è un segno di salvezza contro tutte le sicurezze umane» e da essa scaturiscono miracoli che garantiscono la verità di un messaggio, di una sapienza e di una dottrina che soddisfano un’intelligenza desiderosa di conoscere.

Originale è il richiamo a quando Paolo all’areopago parla della risurrezione di Gesù, come prova sicura dell’origine divina del Cristo (Ap 17, 22-31), e viene deriso perché la sua affermazione viene interpretata come pura follia. E purtroppo si cade nello stesso errore quando si pensa a Dio «in termini di potenza, di forza e di gloria e ci si aspettano da lui segni del suo potere: miracoli, guarigioni, apparizioni, risposte immediate che liberano dai propri bisogni».

Purtroppo non è da tutti accettare la croce, perché Dio viene visto crudele, non padre, disinteressato, incapace di tradurre in vita quotidiana un messaggio di vita e di speranza per l’umanità intera che, attendendo la soddisfazione di bisogni di potere, di successo e di piacere, non riesce a trasformare lo scandalo della Croce in speranza e in impegno di solidarietà e di vicinanza a chi attraversa situazioni di sofferenza, di umiliazione, di tragica emergenza.

Eppure Dio ha voluto salvare nel segno della condivisione e l’incarnazione del Figlio costituisce «il segno concreto di questa condivisione, che lascia intatta in noi la fatica del vivere, la sostiene e la apre alla speranza per il fatto che Gesù ha sperimentato tale fatica e l’ha sopportata sperando nell’intervento del Padre, che c’è stato non liberandolo dalla morte, ma donandogli la risurrezione e assumendo volontariamente ogni aspetto della natura e della vita dell’uomo, liberandolo dal non-senso e dalla disperazione».

Del resto, e il richiamo di Mons. Morosini è di profonda attualità e coerenza, «le tentazioni vissute nel deserto avvengono all’insegna della scelta di Gesù di accettare da una parte la prospettiva fatta da Satana della via della gloria e della potenza, della sua apparente capacità di lasciare Dio fuori della realtà umana e dall’altra di intraprendere la strada della condivisione con l’uomo, caratterizzata dall’impotenza, dalla fragilità, dalla momentanea sconfitta».

Ciò vuol dire, ed è il messaggio particolarmente significativo di Mons. Morosini, che «Gesù non è vicino all’uomo solo quando fa il miracolo, che rimane un gesto tutto e solo divino, anche se l’uomo ne trae beneficio; Gesù salva veramente l’uomo quando si mostra a lui morente sulla croce, perché in quel momento vive con lui l’esperienza più dolorosa. La sofferenza e la morte sono una condivisione con l’uomo». Di conseguenza quando Pilato, durante il processo, lo mostra alle folle flagellato e coronato di spine e dice: Ecco l’uomo (Gv 19, 5), i veri lineamenti sono quelli del volto del salvatore, del liberatore e dell’uomo che si fa capace di condivisione, per cui effettivamente la Croce può essere di scandalo solo per chi non crede».

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ZENIT Staff

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