di Eugenio Fizzotti
ROMA, venerdì, 6 aprile 2012 (ZENIT.org).- Nel corso della celebrazione del Giovedì Santo Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Vescovo di Locri-gerace, ha invitato fedeli e sacerdoti a riflettere sul rapporto straordinario tra la fede dell’Eucaristia e l’identità cristiana.
Punto di partenza è stato il richiamo a Mosè che, ricevuto da Dio l’obbligo di far celebrare il rito della Pasqua, ripetendo il cerimoniale della notte dell’Esodo, così parlò al popolo: In quel giorno tu istruirai il tuo figlio: È a causa di quanto ha fatto il Signore per me, quando sono uscito dall’Egitto. Sarà per te segno sulla tua mano e ricordo fra i tuoi occhi, perché la legge del Signore sia sulla tua bocca. Con mano potente infatti il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto (Es 13, 8-9). Nella celebrazione rituale della Pasqua c’era, infatti, la personalizzazione dell’intervento straordinario di Dio e «il fedele israelita era consapevole di essere coinvolto in prima persona, perché lui stesso si sentiva protagonista dell’evento prodigioso dell’Esodo».
Nel rito, quindi, gli ebrei ritrovavano la loro identità nazionale, essendo «un popolo scelto e salvato da Dio, al quale essi avevano giurato fedeltà, promettendo di osservare la sua Alleanza». Ecco perché ogni anno a Pasqua celebravano tale consapevolezza, essere cioè il popolo dell’Alleanza e andare fieri di tale consapevolezza: Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo (Ger 7, 23).
Alla luce di questa tradizionale esperienza ebraica, Mons. Morosini ha evidenziato che «anche Paolo ribadisce lo stesso concetto quando, concludendo il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia (1Cor 11, 23-25), scrive: Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga (1Cor 11, 26)». Ecco perché ogni domenica, «quando la comunità cristiana è riunita per l’ascolto della Parola e la celebrazione dell’Eucarestia, dopo la consacrazione del pane e del vino ripete quasi ad literam, come formula di fede, le parole di S. Paolo: Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta. Come gli Ebrei, anche i Cristiani trovano così nell’Eucarestia la loro identità di comunità redenta che, lungo i secoli, deve tener vivo il mandato del Signore e la nuova alleanza (Eb 12, 24) stipulata da lui sulla croce. Nell’Eucarestia, infatti, il credente trova le indicazioni per quello stile tutto particolare di affrontare la vita, che deve appartenere ai discepoli di Gesù».
Una tale prospettiva di particolare tenore sia storico che pastorale rappresenta per i cristiani l’esigenza di superare la visione intimistica e devozionale dell’Eucarestia e scoprirne «la dimensione di vita, che chiama i credenti a impiegare con uno stile ben preciso la loro vita per costruire la società secondo i valori del Vangelo e creare così, come per il popolo dell’Antica Alleanza, le premesse di un vivere felice e armonioso». Ciò vuol dire che, con estrema coerenza rimangono sempre in piedi le promesse del Signore, nel senso che «c’è un legame indistruttibile tra la fedeltà alla sequela e la garanzia di vita felice, a livello sia personale che sociale».
Volendo provare a individuare gli elementi che caratterizzano il particolare stile di vita cristiana, che scaturisce dalla comunione con il corpo e il sangue del Signore, il Vescovo di Locri-Gerace ha richiamato che accostandosi all’Eucarestia i cristiani fanno «comunione con il corpo che è dato e con il Sangue versato (1 Cor 11, 24-25)» e, di conseguenza sono «avviati a uno stile di vita che deve trarre esempio dal sacrificio di Cristo, del quale l’Eucarestia è memoriale, cioè celebrazione rituale che fa rivivere sacramentalmente quanto ricorda».
E a questo punto è risultato quanto mai originale e coinvolgente il richiamo a S. Giovanni che ha indicato il suo stile di vita facendo il racconto della lavanda dei piedi (Gv 13, 1-16) al posto del racconto dell’istituzione dell’Eucarestia, così da concretizzare in forma pratica ed efficace quel fate questo in memoria di me, con il quale Gesù ha concluso l’istituzione dell’Eucarestia (Gv 13, 14).
Il comando di Gesù, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri, è diventato infatti l’invito a scoprire l’identità che il cristiano deve avere nell’affrontare la vita e che si manifesta nell’identità dell’amore che si fa dono sino all’offerta della vita (Gv 15, 13), nell’identità del farsi servo per diventare grande (Mt 20, 26), nell’identità del perdere la vita per ritrovarla (Mt 10, 39).
Il cristiano che si accosta all’Eucarestia con questa fede non si chiude, quindi, in un intimismo devoto, ma si apre a un impegno che lo stimola a impiegare bene la propria vita, là dove il Signore lo ha posto in base alla propria vocazione. E i riferimenti di eccessiva attualità fatti da Mons. Morosini hanno riguardano sia la famiglia, realtà che ruota attorno all’uomo che entra in comunione sacramentale con Dio, e sia l’intera società, che favorisce il cambiamento dei criteri nei rapporti interpersonali, sociali, economici, politici e religiosi e attiva il cristiano a operare con amore, con dedizione, con sacrificio e con compassione verso gli altri, in spirito di servizio.
Chiaro e funzionale obiettivo dell’Eucaristia è dunque il riconoscimento dei valori dell’esistenza e l’impegno sistematico nel favorire il miglioramento dello stile di vita che non si fondi unicamente sulla tradizione, ma riconosca il cammino, spesso lento ma positivo, della maturazione di ogni singola persona verso l’assunzione di responsabilità e di individuazione delle domande esistenziali che la vita pone e alle quali occorre dare una risposta con atteggiamento sempre generoso, accogliente e disponibile, così come ha fatto Gesù e, imitandolo, hanno fatto i suoi discepoli.