"Questo sia per noi un giorno di festa"

Omelia del cardinale Scola durante la Messa Crismale

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ROMA, giovedì, 5 aprile 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, durante la Messa Crismale, celebrata questa mattina nel Duomo del capoluogo lombardo.

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1. «Sic haec dies festa nobis»: “Questo sia per noi un giorno di festa”. Così canteremo tra poco con l’inno O Redemptor, sume carmen mentre verranno portati, insieme al pane e al vino, i vasi contenenti gli oli. Nell’odierno sacrificio eucaristico, in cui si innesta la benedizione del crisma, facciamo memoria del dono di essere costituiti come popolo sacerdotale, come famiglia dei figli di Dio.

2. L’oracolo del profeta Isaia ha descritto i tratti essenziali dell’opera del Messia, opera di salvezza che Gesù porterà a compimento in modo definitivo.

È decisivo sottolineare, con riferimento agli eventi che precedono l’episodio narrato dal Vangelo, come lo Spirito Santo ne sia il protagonista.

Con delicati tratti l’evangelista Luca ci indica che durante il Battesimo lo Spirito è disceso «sopra di Lui in forma corporea, come una colomba» (Lc 3,22), l’ha «guidato nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo» (Lc 4,1-2). Ora Gesù ritorna «in Galilea con la potenza dello Spirito» (Lc 4,14).

Gesù è abilitato alla sua missione dall’unzione dello Spirito da parte di Dio: «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione» (Lettura, Is 61,1). Nessuno, infatti, si invia da sé: nemmeno il Figlio che «non attribuì a se stesso la gloria del sommo sacerdote» (Epistola, Eb 5, 5).

Osserva sant’Ireneo: «È per questo motivo che questo Spirito è disceso sul Figlio di Dio divenuto Figlio dell’uomo: là, insieme con Lui, si abituò ad abitare nel genere umano, a riposare sugli uomini, a risiedere nell’opera modellata da Dio, operando in costoro l’opera del Padre e rinnovandoli» (Ad. Haer. III, 17,1).

Nello Spirito Gesù realizza l’opera di consolazione e di liberazione dei poveri e degli afflitti. Sulla scorta dell’anno giubilare, l’anno di grazia, viene annunciata come realtà presente la redenzione degli uomini, il cui frutto è un popolo nuovo, «la stirpe benedetta dal Signore» (Lettura, Is 61, 9). Un popolo di consacrati nello Spirito, che annuncerà a tutti gli altri popoli la salvezza. Un popolo di consacrati – veniamo, infatti, unti con il santo crisma e con l’olio dei catecumeni – chiamati a diffondere «nel mondo il buon profumo di Cristo» (Dopo la comunione). Questo popolo è oggi qui presente, nella Chiesa Cattedrale, per testimoniare che la Messa crismale è espressione singolarmente efficace della vita della Chiesa particolare.

3. Per descrivere l’identità di questo nuovo popolo sacerdotale, il vocabolario biblico e quello liturgico dell’odierna celebrazione fanno riferimento in modo articolato al lessico familiare: siamo «fatti degni dell’adozione a figli» (Benedizione dell’olio dei catecumeni), e per questo possiamo invocare il Signore dicendo: «Tu sei mio padre» (Sal 88); e siamo figli in forza dell’opera del Sommo Sacerdote che si è sentito dire dal Padre: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Epistola, Eb 5, 5); i ministri ordinati, inoltre, sono chiamati a vivere «lasciandosi guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i loro fratelli» (Rinnovazione delle promesse sacerdotali), e «nel nome di Cristo rinnovano il sacrificio della croce e preparano per i tuoi figli la cena pasquale» (Prefazio)… Il frutto della Pasqua del Signore, perennemente presente nel dono trinitario dell’Eucaristia, è una nuova parentela, la famiglia della Chiesa.

Cosa possiamo ricavare dal ricorso insistente al vocabolario nuziale per dire chi è la Chiesa?

La liturgia ambrosiana della Settimana Santa esprime in modo singolare il rapporto tra Cristo-Sposo e la Chiesa-Sposa.

Nel quadro del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che ci vede impegnati come Chiesa diocesana a servizio della comunione universale delle Chiese convocate qui a Milano dal Successore di Pietro, è opportuno sottolineare l’efficacia del ricorso all’esperienza familiare per meglio comprendere la Chiesa stessa.

Nell’esperienza della famiglia impariamo fin da bambini, quasi per osmosi, i cardini fondamentali dell’esistenza: quanto sia un bene l’essere nati; la fecondità della differenza, espressa dalla comunione tra il marito e la moglie, tra il padre e la madre; il dono dell’essere amati per primi, senza ancora averlo potuto meritare (non è forse questa la più elementare espressione di quella “stima a priori” che non dobbiamo cessare di perseguire come uno dei tratti imprescindibili della stessa vita ecclesiale?); la vita come compito e, quindi, come responsabilità, così come ci viene proposta dal rapporto autorevole con i genitori; la grazia della tradizione che ci radica nella storia, attraverso la catena delle generazioni, e ci permette di affrontare il futuro.

Ognuno di noi ha assimilato con il latte materno questi “fondamentali”. Li ritroviamo compiuti in modo definitivo nella Persona e nella vita di Gesù e permanentemente offerti nel Suo dono eucaristico. Nella Sua consegna al Padre, Gesù si dona nuzialmente alla Chiesa, traendola come sposa dal Suo costato trafitto. «L’Eucaristia – dice Benedetto XVI- è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo (…) Così anche noi in ogni celebrazione confessiamo il primato del dono di Cristo. L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della Chiesa rivela in definitiva la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati “per primo”. Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo» (Sacramentum caritatis 14). Cristo Sposo della Chiesa ci ama sempre per primo. Si comprende meglio, in tal modo, perché la Chiesa latina abbia identificato come particolarmente adeguato il dono verginale del celibato come uno degli elementi che caratterizzano la scelta dei ministri ordinati.

Dall’Eucaristia, che è traditio fidei, nasce la missione, l’andare nel nome di Cristo per le strade del mondo ad annunciare la salvezza a tutti i nostri fratelli uomini, cominciando, come ci ha detto il profeta, dai miseri. Per noi, uomini un po’ impagliati dell’Occidente, la missione assume i tratti della nuova evangelizzazione. Essa deve guidare tutta l’azione pastorale. In particolare, lo scopo missionario della nuova evangelizzazione dovrà essere il criterio per una equilibrata applicazione delle assai impegnative scelte che stanno interessando da qualche anno la nostra Chiesa ambrosiana: dalla riforma liturgica alle comunità pastorali, dalla prassi dell’iniziazione cristiana alla necessaria formazione permanente del clero, a cominciare dai neo-ordinati.

4. Famiglia, Eucaristia, Chiesa sono realtà inseparabili. In questo intreccio acquista piena luce la missione propria e specifica del sacerdozio ordinato. Come reciteremo nel Prefazio dell’odierna liturgia eucaristica: «Egli, acquistando con il sangue un popolo nuovo, gli concede l’onore del sacerdozio regale e, imponendo le mani a alcuni prescelti, li rende partecipi del suo ministero di salvezza. Nel suo nome essi rinnovano il sacrificio della croce e preparano ai tuoi figli la cena pasquale; come servi premurosi del tuo popolo, spezzano il pane della parola e offrono la grazia dei sacramenti. Con la vita spesa per te a redenzione dei fratelli, seguendo da vicino l’esempio del loro Maestro, danno testimonianza di fede e di amore». Il ministero ordi
nato esiste come garanzia sacramentale, donata alla Chiesa dallo Spirito del Risorto, perché essa lasci trasparire indefettibilmente sul suo volto, Cristo, luce delle genti, lungo tutto il tempo del suo pellegrinare.

L’Incontro Mondiale delle Famiglie sia, pertanto, l’occasione di riscoprire la circolarità tra gli stati di vita nella Chiesa e, in modo particolare, il rapporto tra le famiglie e i ministri ordinati per il bene di tutto il popolo cristiano.

5. Carissimi fratelli, «sic haec dies festa nobis» – “questo sia per noi un giorno di festa”-: queste parole non nascono dall’ingenuità di chi non si rende conto della gravità del momento storico che stiamo vivendo. Dinanzi ai pesanti bisogni e alle tante sofferenze che ci circondano, non avremmo diritto di ripeterle se non potessimo dire a tutti la sorgente da cui scaturisce permanentemente la nostra letizia. Una letizia che, come dice san Paolo, regge anche «nel dolore» (cf. 2Cor 6,10). E per questo una letizia possibile per tutti.

La Preghiera di benedizione del santo Crisma ci aiuta ad identificare la fonte di questa letizia. Essa è un dono, anzi è il dono dello Spirito su di noi. Il Padre ha «effuso l’olio di esultanza» sul Suo Figlio unigenito e poi ci ha voluti figli nel Figlio, facendo «splendere di gioia il nostro volto», facendo «riapparire sul volto dell’uomo la sua luce gioiosa».

Questo è il dono della Pasqua che ci apprestiamo a celebrare in questi santi giorni. Il dono che il Battesimo, la Confermazione, l’inestimabile sacramento dell’Eucaristia ci hanno elargito. Il prezioso sacramento dell’Ordine, carissimi Vescovi, sacerdoti e diaconi, impone a noi in modo speciale di custodirlo e promuoverlo in tutte le nostre comunità. Ad esse vi prego di trasmettere l’augurio pasquale che faccio anzitutto a voi con cuore grato. Amen.

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ZENIT Staff

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