ROMA, giovedì, 5 aprile 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’omelia pronunciata oggi dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, durante la messa in “coena Domini” del Giovedì Santo, con il gesto della “lavanda dei piedi”.
***
La Chiesa ci introduce nei tre giorni che ci aspettano colle seguenti parole: «Il Triduo della passione e della risurrezione del Signore risplende al vertice dell’anno liturgico, poiché l’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero pasquale».
Il santo Triduo inizia colla memoria solenne di due eventi molto legati fra loro: l’istituzione dell’Eucarestia, e la lavanda dei piedi.
1. È Cristo stesso che ha voluto, ha pensato – in una parola ha istituito – l’Eucarestia. Essa non ha origine dal naturale e comprensibile desiderio della primitiva comunità dei discepoli di “inventare” un rito che custodisse nei secoli il ricordo di Gesù: è da Lui stesso che l’Eucarestia ha avuto origine. Lo ha ricordato l’Apostolo nella seconda lettura: «Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso». Di generazione in generazione la celebrazione dell’Eucarestia è giunta fino a noi; l’inizio di questa trasmissione è il Signore Gesù.
È allora lecito, è un bisogno di chi ama sapere che cosa ha mosso Gesù ad istituire questo sacramento. Se ci mettiamo in ascolto della Chiesa, sentiamo che essa lungo i secoli ha dato una sola risposta: perché fosse custodita la “memoria” del sacrificio di Gesù sulla Croce.
Il grande dottore dell’Eucarestia, S. Tommaso d’Aquino scrive: «questo sacramento è stato istituito nella Cena affinché in futuro ci fosse sempre il memoriale della Passione, una volta che questa fosse compiuta» [3, q.73. a. 5. ad 3um].
Per cogliere in tutto il suo peso l’intenzione di Gesù, dobbiamo afferrare bene il significato di “memoria della passione”. Quando, infatti, noi parliamo di conservare la memoria, di custodire il ricordo di una persona, parliamo in realtà di un nostro stato d’animo che non rende presente la persona amata. Per sua natura il ricordo, la memoria è spiegabile solo perché chi è ricordato, è assente o per la morte o per altre ragioni.
Quando la Chiesa parla di “memoriale della Passione” non intende questo stato d’animo. Alla luce della parola del Signore, che abbiamo nuovamente sentita da S. Paolo, l’Eucarestia è memoriale perché «contiene lo stesso Cristo che ha sofferto» [ibid., ad 2um]. Ogni sacramento è un mezzo di salvezza, in quanto agisce in noi in virtù della passione di Cristo. Ma l’Eucarestia è il sacramento della passione del Signore, poiché in essa è presente Cristo stesso che per noi è morto sulla Croce.
Cari fratelli e sorelle, quando abbiamo a che fare con l’Eucarestia abbiamo a che fare con la presenza reale del Signore stesso. «Questo è il mio corpo» – «questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue». La fede ci autorizza a dire che quanto essa attribuisce alla passione del Signore in ordine alla nostra redenzione, deve essere attribuito in egual modo all’Eucarestia.
Ma la nostra domanda a questo punto si fa più incalzante: ma perché, Signore, tu hai voluto questo modo di ricordarti, continuando fra noi la tua presenza reale? Perché non hai ritenuto che bastassero le narrazioni evangeliche, scritte sotto l’ispirazione del tuo Spirito? Le nostre domande chiedono a che cosa mirava Gesù istituendo l’Eucarestia, quale scopo si prefiggeva.
Egli ha voluto che la sua Presenza, la presenza della sua Passione, fosse significata e richiamata dal pane e dal vino, cioè dal fondamentale nutrimento della vita umana. Ciò non può essere stato per caso.
Mediante il nostro quotidiano nutrimento noi sosteniamo la nostra vita fisica, attraverso quella mirabile trasformazione del cibo chiamata metabolismo del nostro corpo.
Il pane e il vino eucaristico, che in realtà sono il corpo offerto e il sangue effuso di Gesù, mantengono la funzione del nostro cibo, ma rovesciata: non siamo noi che trasformiamo Gesù nel nostro io, ma è il nostro io che viene trasformato in Gesù. Agostino racconta che una volta sentì la voce di Cristo che gli diceva: «non sei tu a trasformare me in te, come il cibo della tua carne, ma tu sarai trasformato in me» [Confessioni VII, 10].
Questo si proponeva Gesù istituendo l’Eucarestia: trasformare ciascuno in Lui, fino al punto che ciascuno possa dire: «non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» [Gal 2, 20]; ed in Lui si costituisce quella profonda unità che è condivisione della stessa vita, si costituisce cioè la Chiesa.
Ma dobbiamo essere più concreti e precisi: in “quale Gesù” l’Eucarestia ci trasforma? Nel Gesù che fa i miracoli? No, cari amici: in Gesù che dona Se stesso fino alla morte; in Gesù trasfigurato dal suo amore. Mediante la comunione al corpo e al sangue di Cristo, siamo partecipi e resi capaci di amare come Gesù ha amato.
2. Ora possiamo capire l’altro grande gesto compiuto da Gesù nell’ultima Cena: la lavanda dei piedi degli apostoli. Molto brevemente. I Padri della Chiesa qualificavano questo gesto come «sacramento» e come «comandamento».
Sacramento: un gesto che significava qualcosa d’altro. Che cosa? il grande atto che Gesù stava per compiere, il supremo servizio d’amore per l’uomo.
Comandamento: «vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi». «Come io» – «anche voi»: ecco tutta la vita cristiana, dominata dalla logica dell’amore.
Ma come l’amore di Gesù passa nella nostra libertà? Come l’io di Gesù che «avendo amato i suoi li amò sino alla fine», trasforma il nostro io? Mediante l’Eucarestia celebrata, ricevuta, adorata.
Il «sacramento della passione» diventa il «sacramento della carità», e quindi il «sacramento dell’unità».
Cari amici, non ci resta che lo stupore contemplativo e adorante di fronte a questo che è “il miracolo dei miracoli” di Gesù.