di Salvatore Martinez
ROMA, domenica, 1 aprile 2012 (ZENIT.org) – Pasqua è, insieme, morte e risurrezione di Gesù: Cristo distrugge la morte, trionfa sul nemico, calpesta l’inferno, incatena il potente, solleva l’uomo verso l’alto. Il cielo, finalmente è aperto; è dato agli uomini.
Gesù è il nostro riscatto, il premio promesso più “alto” che ci sia: il regno dei cieli.
Ora, per celebrare con autenticità di fede e d’impegno la Pasqua dobbiamo riconoscere l’opera di Gesù:
«Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!» (1 Cor 5, 7b).
San Paolo esortava la Comunità di Corinto a «celebrare la festa con pani di sincerità e di verità» (cf 1 Cor 5, 8).
Non c’è altro modo di onorare Cristo, il suo corpo e il suo sangue offerti per la nostra salvezza, se non lasciando passare la verità del Vangelo di Gesù nella nostra vita: solo così noi moriamo a noi stessi e risorgiamo in lui.
È questa la Pasqua, il passaggio del Signore nella nostra vita che ci è chiesto di festeggiare.
La Pasqua che ha inizio con la risurrezione di Gesù deve continuare nella nostra vita. Il suo passaggio, infatti, non è soltanto “dalla morte alla vita”, ma “dalla Sua vita alla nostra vita”: è così che la Pasqua non oltrepassa i confini della storia e interessa ogni uomo.
Gesù vuole rinnovare la sua Pasqua in noi, cioè passare incessantemente in tutti i pensieri, in tutte le parole e in tutte le opere della nostra vita. Per questo ci è chiesto di vivere la Pasqua con “sincerità”: ci stiamo affrettando a lasciarlo entrare nella nostra vita terrena, perché egli ci introduca in quella celeste? Esprimiamo nelle nostre preghiere il desiderio sincero di vivere uniti intimamente a Lui?
San Paolo afferma:
«Se dunque siete risorti con Cristo […] siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!» (Col 3, 1a.3).
E ancora:
«Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2, 6).
Questa notizia, quale entusiasmo aggiunge ai giorni stanchi della nostra vita? Con quale convinzione faremo della nostra vita un ininterrotto “tempo pasquale”?
C’è uno scritto di sant’Agostino che ci viene in soccorso:
“Non solo non dobbiamo provare vergogna per la morte di Dio nostro Signore, ma dobbiamo ricavarne la più grande fiducia e la più grande fierezza. Nel ricevere da noi la morte che ha trovato in noi, ci ha fedelmente promesso di darci la vita in lui, quella vita che non potevamo avere da noi stessi. Come non ci darà ciò che è giustizia, lui che ci giustifica e ci discolpa? Come non darà ai giusti la loro ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse?” (in Discorso 218/C sulla Passione del Signore).
Pasqua: “grazia” agli uomini, “gloria” a Dio
Se Cristo è risorto, cosa dobbiamo temere? Che cosa non deve aspettarsi dalla grazia divina il cuore di chi crede?
Quanto sono grandi le promesse del Signore! E quanto fragili siamo noi e i convincimenti con i quali alimentiamo la nostra fede ogni giorno.
Gesù ha offerto per noi la sua morte: come e perché dubitare che darà ai credenti anche la sua vita?
La più grande debolezza umana, da sempre esistita, è stata quella di rinunciare a credere che verrà un giorno in cui gli uomini vivranno con Dio e di Dio.
Molti si chiedono: sarà mai possibile e, soprattutto, potrò mai essere io tra questi? Eppure Gesù, nei suoi discorsi dell’addio, punta decisamente su questa “novità”, consegnandola a tutti i suoi discepoli sotto forma di preghiera rivolta al Padre:
«Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato» (Gv 17, 24a).
La gloria di Dio è senza limiti.
Non si manifesta secondo i nostri meriti, ma per rendere permanentemente accesa nel mondo la luce pasquale e il potere della luce sulle tenebre del male. Non in astratto, ma nella nostra vita, per fare di noi lo splendore della Pasqua, di noi stessi parte della gloria di Cristo da partecipare a ogni uomo.
Uno dei più antichi Padri della Chiesa, Ireneo di Lione, ben ce lo spiega:
“Seguire il Salvatore è partecipare alla salvezza. Seguire la luce è godere della luce. Chi di noi è nella luce non la illumina, ma ne viene illuminato e rischiarato; nulla dà alla luce, per parte sua, ma solo ottiene da essa il beneficio di essere illuminato. Così l’uomo: nulla dà a Dio, poiché egli non ha bisogno dell’ossequio umano; ma chi segue Dio e lo serve, da Dio riceve vita, incorruttibilità e la gloria eterna” (Contro le eresie).
Così la Pasqua si perpetua in ogni tempo; così la gloria di Dio riempie l’universo.
Chi provvede a questo miracolo? Lo Spirito Santo!
Ci ricorda, infatti, san Pietro:
«Su di voi riposa lo Spirito della gloria» (cf 1 Pt, 4, 14).
È lo Spirito che ci fa sollevare lo sguardo per anticipare nelle preghiere il canto della gloria di Dio, la gloria del cielo che deve venire.
È lo Spirito che ci ispira una condotta di vita “gloriosa”, cioè piena, ordinata, felice, propria di chi lascia riposare Cristo nella propria vita.
Se lui riposa in noi, la nostra vita è al sicuro!
Se lui riposa in noi, noi non ci addormentiamo, perché viviamo in lui e di lui: tutto riprende vita, tutto produce vita, tutto porta alla vita!
Così la Pasqua rifiorisce; così Dio non muore.
Per ogni approfondimento si consiglia la lettura del libro di Salvatore Martinez : “Ridire la Fede ridare la speranza, rifare la carità” Edizioni RnS 2011