di Luca Marcolivio
ROMA, sabato, 21 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Don Arturo Cattaneo, Ordinario di Diritto canonico a Venezia e professore invitato alla Facoltà di Teologia di Lugano, ha pubblicato un manuale sui Fondamenti ecclesiologici del Diritto canonico (Marcianum Press, Venezia 2011), in cui non si limita a riflettere su necessità, senso e valore del Diritto nella Chiesa, ma aiuta anche a comprendere adeguatamente la realtà giuridica nell’ambito della società civile, superando le strettoie di una visione meramente positivistica del diritto.
Per meglio comprendere le implicazioni che il diritto canonico ha nella vita della Chiesa e non solo, ZENIT lo ha intervistato.
Nel suo manuale Lei auspica che esso contribuisca «a formare canonisti che sappiano comprendere, apprezzare e configurare il diritto della Chiesa in una prospettiva di fede, al servizio del Popolo di Dio». In alcuni ambienti ecclesiali sembra che il Diritto canonico continui ad essere mal tollerato o poco apprezzato: per quali ragioni?
Don Cattaneo: Le ragioni sono molteplici e derivano fondamentalmente da una falsa comprensione o del Diritto o della Chiesa. Nel primo caso, per il diffondersi di un’idea positivistica o legalista e formalista del Diritto, che tende a ridurlo a un mero strumento nelle mani di chi ha il potere; nel secondo per una visione spiritualistica o meramente carismatica della Chiesa. Questi due errori sono a volte concomitanti, come si osserva soprattutto in alcuni teorici della concezione protestante, il più noto dei quali è Rudolf Sohm, secondo cui esisterebbe una radicale incompatibilità fra Chiesa e Diritto.
Ci potrebbe spiegare cosa si intende per «positivismo giuridico» e perché lei è così critico nei suoi confronti?
Don Cattaneo: Secondo ilpositivismo giuridico l’unico diritto è quello positivo, ossia quello promulgato dal legislatore, con esclusione quindi del diritto naturale. Il contenuto delle norme sarebbe in questo caso determinato da mere scelte di politica legislativa, che si limita a rispecchiare il consenso sociale esistente sui valori e sui comportamenti da promuovere e da evitare. Si tratterebbe pertanto di valori relativi, quindi sempre mutevoli. L’enfasi è posta sul carattere democratico delle procedure per costituire e modificare il sistema giuridico. Inteso così, il diritto è frutto soprattutto dell’equilibrio dei poteri o della lotta per far prevalere i propri interessi individuali o collettivi, e viene a perdere la sua naturale connessione con l’etica.
Quali allora le conseguenze di questa separazione fra etica e diritto?
Don Cattaneo: Vengono smarriti proprio i valori che il diritto dovrebbe garantire. Infatti, solo un diritto ancorato all’etica potrà tutelare le fondamentali esigenze di libertà dell’individuo e i suoi diritti fondamentali. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno spesso ricordato che un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Oggi c’è il pericolo reale di un’alleanza fra democrazia e relativismo etico e questo toglierebbe alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento etico. Benedetto XVI ha ricordato come «la storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare». Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, nessuna legge umana può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell’uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile.
Allora Lei auspica un ritorno al giusnaturalismo classico e cristiano?
Don Cattaneo: In effetti, penso che esso vada riscoperto e rivalutato, non solo per il bene della Chiesa, ma anzitutto per quello della società civile. Il giusnaturalismo classico e cristiano – così chiamato per distinguerlo da quello illuministico –segue la tradizione del pensiero giuridico greco e romano, sviluppato poi dalla prassi giuridica cristiana, che concepisce il diritto umano e quello naturale come due modalità necessarie di una medesima realtà: il diritto, fondato su una qualità intrinseca, abitualmente chiamata giustizia, vista come costitutivo ultimo della giuridicità.
Se ho capito bene, Lei fonda il diritto sulla dignità della persona umana. Ci può dire in che senso?
Don Cattaneo: Nel senso che il diritto, come ciò che è giusto, è qualcosa che attiene alla persona umana, poiché essasola è titolare di diritti. Solo le persone (oppure le collettività composte in definitiva da persone) sono esseri dotati di una dignità tale – capaci cioè di un certo dominio sul proprio essere, sui propri atti e sugli oggetti esterni –, che non consente una loro mera strumentalizzazione per il bene di altri o della comunità stessa.
Lei sottolinea la profonda diversità fra la Chiesa e lo Stato. Che rilevanza ha tale considerazione e quali ne sono le principali conseguenze?
Don Cattaneo: Conseguenza di questa consapevolezza dovrebbe essere l’attenzione nell’evitare di introdurre nel Diritto canonico concetti e istituzioni del Diritto secolare non conformi alla realtà ecclesiale. Così, ad esempio, i princìpi della democrazia rappresentativa, l’appartenenza alla Chiesa quale mera adesione ad un’associazione senza tener conto della condizione ontologica di battezzato, la separazione di poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Eugenio Corecco ha giustamente spesso sottolineato che la fondazione divina della Chiesa comporta l’esistenza di un nuovo ambito di rapporti di giustizia, il quale non è deducibile da nessuna realtà naturale previa, e rimane essenzialmente distinto da qualunque realtà giuridica situata sul piano naturale.
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