RIMINI, venerdì, 26 agosto 2011 (ZENIT.org).- Il suo nome è Giulia, ha 8 anni ed è luce degli occhi di mamma e papà. Eppure, poco prima della sua nascita, a causa di una diagnosi di microcefalia e polimicrogiria, i medici avevano consigliato ai suoi genitori di non farla nascere.
La storia di Giulia è stata raccontata mercoledì al Meeting di Rimini, dai suoi genitori, Riccardo Ribera d’Alcalà e Mariangela Fontanini, e da Bernard Dan, il neurologo che l’ha in cura. Sono intervenuti all’incontro i giornalisti Davide Perillo, direttore di Tracce, in qualità di moderatore, e Fabio Cavallari, collaboratore di Tempi.
Mariangela e Riccardo hanno spiegato come la diagnosi della malattia sul feto di Giulia, non li abbia scoraggiati nemmeno per un minuto dal far nascere la loro terzogenita. La famiglia Ribera d’Alcalà, che da più di dieci anni risiede a Bruxelles, essendo entrambi i coniugi funzionari del Parlamento Europeo, ha rifiutato di vedere nella malattia della figlia una disgrazia, accogliendola – per usare le parole del filosofo Emmanuel Mounier – come “la visita di Qualcuno di molto grande”.
Verso la fine del 2002, quando Mariangela è all’ottavo mese di gravidanza, la risonanza magnetica dà il terribile responso sulla bimba. Il medico emette la sua fredda sentenza: nella peggiore delle ipotesi Giulia avrà un’esistenza da “vegetale”, nella peggiore, morirà poco dopo la nascita.
Il consiglio è quello di abortirla di lì a tre giorni ma Mariangela e Riccardo, ascoltato tale responso, si guardano negli occhi e non hanno dubbi: Giulia nascerà e vivrà finché Dio vorrà. “Ci siamo chiesti: perché proprio a noi e non ad altri? – ha raccontato Mariangela -. Ma alla fine questa esperienza è diventata una grazia e un’occasione di crescita per noi”.
Il parto avviene normalmente ma, poco dopo la nascita, Giulia inizia a manifestare i propri problemi: non si muove e non parla. Lo stesso neurologo che aveva consigliato l’aborto alla madre, suggerisce l’accompagnamento di uno psicologo.
Alla fine il coraggio di Mariangela e Riccardo sarà ripagato: il loro caso incontrerà la solidarietà di molti amici vecchi e nuovi e della competenza ed umanità di due medici specialisti: la dottoressa Marilena Pedrinazzi, terapista della riabilitazione a Milano, e il professor Bernard Dan, neuropsichiatra, direttore della Clinica universitaria “Regina Fabiola” di Bruxelles e presidente dell’Accademia europea di disabilità infantile.
“Grazie anche all’aiuto dei nostri medici, Giulia ha imparato a strisciare, gattonare, fino ad arrivare a reggersi sulle ginocchia – ha raccontato mamma Mariangela -. Comunica in modo efficace in tre lingue ed ha anche imparato a sciare…”.
“Abbiamo una certezza – ha proseguito la signora Fontanini -. Giulia non è nostra, ci è stata affidata ed è un dono meraviglioso per noi genitori, per le sue sorelle maggiori e per chiunque la conosca. Mi viene in mente una frase di San Paolo: Dio ha scelto i deboli per confondere i forti (1Cor 1,26-34)”.
Parlando da medico e neurologo, il professor Dan – che si professa non credente – rifiuta l’utilizzo di espressioni come vegetale riferito ai pazienti o di stato vegetativo. “Non possiamo stabilire tutto partendo dal patrimonio genetico – ha affermato lo specialista -. Sullo sviluppo influiscono le cellule ma anche l’esperienza e il caso. Con riferimento a Giulia preferisco parlare di sfida piuttosto che di problema”.
Per papà Riccardo, quello di Giulia è un “disegno buono del Signore” ed è insensato pensare “alla felicità soltanto come sinonimo di salute e perfezione”.
Il signor Ribera d’Alcalà ha poi raccontato il proprio commovente incontro con Giovanni Paolo II, avvenuto nel 2003, durante una visita ufficiale di una delegazione del Parlamento Europeo in Vaticano. “Saputa la nostra storia, il Santo Padre volle ricevermi – ha detto Riccardo – ci esortò a rimanere fiduciosi e a pregare. Quando poi Giulia nacque, ci arrivò il suo messaggio di felicitazioni”.
Fabio Cavallari ha raccontato la storia di Giulia nel suo volume Vivi. Storie di uomini e donne più forti della malattia (Lindau). “Giulia non è un mito né voglio trasformare i suoi genitori e i volontari in eroi – ha affermato il giornalista e scrittore -. Questa storia dimostra solo che l’uomo è fatto per la vita e che la morte va contro il desiderio di tutti gli uomini, credenti o meno”.
Cavallari ha inoltre sottolineato che non è stato il sistema sanitario belga (peraltro tra i più efficienti ed avanzati d’Europa) a permettere a Giulia di sopravvivere ma l’umanità dei suoi genitori e dei medici curanti. I parametri della dignità, secondo il giornalista e scrittore, sono mistificati da un “buonismo che vorrebbe far fuori quelli che non rispondono a certi standard psico-fisici perché tanto non sarebbero mai felici…”.
A conclusione della testimonianza Davide Perillo ha commentato: “La realtà è testarda ed è lì a chiederci di essere leali con il nostro cuore. E più si è leali e più si fa esperienza della certezza”.