Il Vietnam stringe la morsa sui dissidenti

Arrestati e malmenati attivisti per i diritti umani

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di Paul De Maeyer

ROMA, giovedì, 21 aprile 2011 (ZENIT.org).- Forse non siamo ancora ai livelli della Cina, ma quando si tratta della repressione ai danni dei dissidenti o delle voci critiche al regime, anche il Vietnam non scherza. Basta ad esempio voler seguire fuori dall’aula del tribunale il processo contro un altro dissidente per essere arrestati a propria volta.

Ed è infatti quello che è capitato a due attivisti per i diritti umani – l’avvocato cattolico Le Quoc Quan e il medico Pham Hong Son, un non cattolico – quando assieme ad altri simpatizzanti, tra cui anche numerosi cattolici, hanno voluto assistere la mattina del 4 aprile nella capitale Hanoi al processo davanti al Tribunale popolare contro un altro noto avvocato e dissidente, il cinquantatreenne Cu Huy Ha Vu. Quest’ultimo – figlio del noto poeta Cu Huy Can, molto legato al “padre” della Rivoluzione vietnamita, Ho Chi Minh – è stato condannato lo stesso giorno dal giudice Nguyen Huu Chinh a sette anni di carcere seguiti da tre anni di arresti domiciliari “per propaganda antigovernativa”. Vu, che in passato aveva difeso vari dissidenti (anche cattolici), aveva chiesto ad esempio la fine del sistema monopartitico nel Paese.

Come riportato dall’agenzia AsiaNews (5 aprile), a finire in manette sono stati non solo Le Quoc Quan e Pham Hong Son. La polizia ha arrestato almeno 29 cattolici, tra cui Paulus Le Son, un blogger che scrive anche sul sito Internet dei padri redentoristi, e John Nguyen Van Tam, leader di un gruppo studentesco cattolico. La polizia ha agito del resto in modo brutale: gli arrestati sono stati malmenati dagli agenti, che hanno preso a botte anche chi cercava di venire in loro soccorso. “La polizia lo ha catturato e ha picchiato chiunque cercava di difenderlo. Hanno usato i bastoni per stordire una donna che ha rischiato la vita nel tentativo di allontanare il legale”, così ha raccontato nei giorni successivi un testimone, fratel Nguyen Tang (AsiaNews, 11 aprile).

In particolare l’arresto di Le Quoc Quan ha destato un’ondata di indignazione nella comunità cattolica del Vietnam, la quale ha reagito alla notizia diffusa dall’Associazione dei giovani cattolici della diocesi di Vinh con una grande mobilitazione ed una raffica di iniziative a favore dell’avvocato: lettere di protesta, comunicati, assemblee e veglie di preghiere. Secondo quanto riferito da Églises d’Asie (8 aprile), la più spettacolare manifestazione di solidarietà nei confronti dell’attivista si è svolta la sera del 10 aprile nella chiesa della parrocchia di Thai Ha, a Hanoi, cioè la stessa che negli anni scorsi è stata al centro di un duro braccio di ferro con le autorità per la restituzione di terreni espropriati alla Chiesa. L’evento, a cui hanno partecipato più di 4.000 cattolici, è stato organizzato dall’associazione Doanh Tri cong Giao (Movimento degli intellettuali e degli imprenditori cattolici), di cui l’attivista è uno dei responsabili.

Molto attiva è stata la diocesi di Vinh (nella parte settentrionale del Paese), che con 500.000 cattolici e decine di migliaia di fedeli sparsi in tutto il mondo è una delle più importanti ed “unite” del Vietnam. Originario proprio di Vinh, Le Quoc Quan è membro della Commissione “Giustizia e Pace” locale. Nell’ambito di un colloquio organizzato dalla Commissione nazionale “Giustizia e Pace”, l’attivista dovrebbe pronunciare il 27 maggio prossimo a Ho Chi Minh City (ex Saigon) una conferenza intitolata “La giustizia e la pace nel contesto della società vietnamita”, come rivelato sempre da Églises d’Asie. Proprio la comunità dei cattolici di Vinh residenti nella capitale Hanoi ha pubblicato due comunicati per denunciare l’arbitrarietà della detenzione di Le Quoc Quan.

La mobilitazione ha sortito l’effetto desiderato. Le Quoc Quan e il medico Pham Hong Son sono stati scarcerati la sera di mercoledì 13 aprile. Come ribadito da AsiaNews (14 aprile), il rilascio, annunciato da Le Quoc Quan stesso ad un fratello durante una conversazione telefonica, è avvenuto poche ore dopo un incontro tra l’arcivescovo di Hanoi, monsignor Peter Nguyen Van Nhon, e il vescovo di Vinh, monsignor Paul Nguyen Thai Hop, con una delegazione del ministro della Pubblica sicurezza, durante il quale i presuli avevano chiesto l’immediata liberazione come precondizione per ulteriori colloqui. Mentre subito dopo la loro liberazione gli attivisti si sono recati con le loro mogli in varie chiese della capitale per ringraziare la comunità cattolica, per il portavoce del movimento oppositore Viet Tan (Vietnam Reform Party, con base negli USA), Duy Hoang, il rilascio dovrebbe “servire come precedente che i vietnamiti hanno il diritto di riunirsi pacificamente, persino fuori dalle aule dei processi politici” (Radio Free Asia, 13 aprile).

Quando si tratta della libertà di religione, la repressione colpisce non solo i singoli dissidenti, come ad esempio il sacerdote Nguyen Van Ly, o alcune parrocchie, come quella di Thai Ha appunto, ma anche intere comunità. Lo dimostra un nuovo rapporto (1) della nota organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch (HRW). Pubblicato il 30 marzo scorso sotto il titolo “Montagnard Christians in Vietnam: A Case Study in Religious Repression”, il documento denuncia la continua persecuzione religiosa nei confronti dei “Montagnards” (montanari), cioè la popolazione aborigena della regione degli Altipiani, lungo il confine con la Cambogia e il Laos.

Fra i Montagnards, che si autodefiniscono “Degar” (figli delle montagne) ma vengono chiamati spregiativamente “moi” (selvaggi) in vietnamita, il cristianesimo è molto diffuso. Molti appartengono però a chiese protestanti indipendenti (le cosiddette “chiese domestiche” o “House churches”), particolarmente malviste dal governo comunista di Hanoi, che accetta solo comunità affiliate alla Chiesa protestante riconosciuta, cioè la Southern Evangelical Church of Vietnam (SECV).

La persecuzione nei confronti dei “montanari” è stata descritta come “dura” e “sistematica” da Phil Robertson, vice direttore per l’Asia di HRW, che ha presentato e commentato il rapporto (Radio Free Asia, 30 marzo). Dalla ricerca emerge che nel solo 2010 più di 70 Montagnards sono stati arrestati e che dal 2001 ben 25 sono morti in carcere o in detenzione. I “montanari” attualmente dietro le sbarre per motivi legati alla “sicurezza nazionale” sono almeno 250. Per questo motivo, l’organizzazione ha chiesto agli USA di reinserire il Vietnam nella lista dei “Paesi di particolare preoccupazione” (CPC in acronimo inglese) per le continue violazioni delle libertà di religione, da cui era stato tolto nel 2006. Secondo HRW, Hanoi cerca ad esempio di costringere i Montagnards ad abbandonare la loro fede. Non mancano inoltre le notizie di torture, con scosse elettriche o i tentativi di rompere i timpani con colpi sulle orecchie.

La pressione sui Montagnards non si limita al Vietnam, ma si presenta anche nella vicina Cambogia, dove le autorità di Phnom Penh hanno deciso nel febbraio scorso di chiudere un campo profughi delle Nazioni Unite, che accoglieva Montagnards fuggiti dal Vietnam. Mentre la mossa ha suscitato la preoccupazione di HRW – l’organismo teme infatti che i rifugiati verrano rispediti in patria -, i responsabili del Jesuit Refugees Service (JRS) hanno accolto favorevolmente la chiusura. Il campo non era altro che “l’equivalente di un centro di detenzione”, così hanno detto (BBC, 15 febbraio).

Dal canto suo, la diocesi cattolica di Kontum, la quale include le province di Gia Lai e di Kontum, dove si concentrano le minoranze etniche, ha lanciato di recente una serie di iniziative a favore dei Montagnards. Come ha raccontato un sacerdote ad AsiaNews (7 febbraio), molti giovani sacerdoti sono stati mandati nelle zone più remote della diocesi e le suore domenicane hanno fondato ad esempio sei nuovi ostelli per accogliere orfani di diverse etnie. Più a sud, anche la diocesi di B
an Me Thuot sta rafforzando il suo impegno pastorale e sociale tra i Montagnards. Ad annunciarlo era stato il nuovo vescovo della diocesi, monsignor Vincent Nguyen Van Ban, in occasione della sua consacrazione avvenuta nel maggio del 2009.

La questione della libertà di religione e dei rapporti fra Chiesa e Stato sarà senz’altro uno dei temi che domineranno la prima visita al Paese di monsignor Leopoldo Girelli, nunzio a Singapore, nominato il 13 gennaio scorso da Papa Benedetto XVI rappresentante non residente in Vietnam. Arrivato lunedì 18 aprile a Hanoi, il diplomatico vaticano celebrerà la Pasqua nella capitale e parteciperà anche all’incontro biennale della Conferenza episcopale vietnamita, in programma a Ho Chi Minh City (Saigon) dal 25 al 28 aprile. Prima di ripartire per Singapore il 2 maggio, il presule visiterà anche varie diocesi nel sud del Paese. Secondo quanto fatto sapere da AsiaNews (21 aprile), la nomina di monsignor Girelli è il primo risultato concreto dei negoziati in corso fra il Vaticano e il governo vietnamita. Al suo arrivo all’arcivescovado di Hanoi, il presule sembra aver ricevuto una lettera da alcuni fedeli, di cui si ignora tuttavia il contenuto.

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1) scaricabile all’indirizzo web: http://www.hrw.org/sites/default/files/reports/vietnam0311Web.pdf

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ZENIT Staff

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