Eucarestia e servizio della carità

di don Michele Coppa*

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ROMA, mercoledì, 20 aprile 2011 (ZENIT.org).- Gesù Eucarestia spesso è un “discorso” che si fa nelle chiese, nei gruppi di catechismo, nelle famiglie ed è destinato a rimanere un discorso più o meno efficace, ma sicuramente abbastanza sterile. Ho imparato Gesù eucarestia come incontro tra persone: la “bella” Sua Persona in relazione con la mia persona, a volte “accettabile”, “sorridente”, “positiva”, a volte “rotta”, “piena di rughe” e “stanca”.

Solo questo incontro mi sorprende e mi rimette in cammino. Per questo non amo teorizzare su Gesù Eucarestia, ma voglio raccontare ciò che questo incontro opera in me. Infatti l’incontro con l’Eucarestia costringe tutto di me, della mia persona, a percepire la bellezza del mistero di amore che mi inonda di luce piena e viva. E’ percepire con gli occhi la profondità dello sguardo di amore del Padre che mi raggiunge attraverso suo Figlio che continua a farsi “piccolo” in poco pane e poco vino perché io lo possa guardare senza paura e senza perdermi in ragionamenti astratti: è la concretezza del pane che mi fa percepire la concretezza di Dio. E’ toccare con le mani la bontà di Colui che si rende presente nella fragilità del pane e del vino perché io possa toccare la fragilità del mio essere, perché possa mettere le mie mani a disposizione piena della fragilità dell’uomo. E’ accogliere nel cuore l’Amore di misericordia che mi libera dalla paura, dal senso di colpa e mi fa percepire ancora una volta l’abbraccio tenero del Padre.

Stare davanti a Gesù Eucarestia è stare davanti al fuoco dell’amore, è lasciarmi rinnovare il cuore ed illuminare la mente perché tutta la persona si muova per vivere la dimensione verticale ed orizzontale del “voler bene”. Gesù educa, cioè fa venir fuori il bene che il Padre ha seminato in me fin dal concepimento, anzi fin da quando mi ha pensato, cioè da sempre. Inoltre il suo calore rafforza la capacità d’amare, corregge ogni deviazione, elimina ogni egoismo o tentativo di menzogna o strumentalizzazione del bene.

Il primo frutto dell’irradiazione di amore dell’eucarestia è la “comunione” come desiderio, come realtà, come prospettiva ed impegno. La “comunione” come desiderio muove tutta la persona perché si lasci attirare dal Padre, grazie alla forza dello Spirito: la via è Gesù.

La “comunione” come realtà concretizza il desiderio nell’incontro vero con l’Essere e con i “figli” dello stesso Padre con i quali si entra in relazione: è l’interiorità dell’uomo che si lascia cercare, cerca e s’incontra l’Interiorità di Dio e dei suoi figli. E’ lo star bene con Lui, con se stessi, con ogni persona; è il gustare la concordia anche nella diversità; è il sentirsi parte di un tutto in armonia. La vivo in famiglia, nella comunità parrocchiale, nella società civile, nelle contraddizioni che questo mondo invita a gestire e superare.

La “comunione” come prospettiva ed impegno è il presente che viene superato sempre ad un livello più alto, in una logica di speranza che anima ogni parola, ogni movimento, ogni gesto concreto. E’ come se Dio mettesse nelle mie mani il progetto di “perfezionamento” del mondo, attraverso la costruzione quotidiana del suo regno: ogni futuro è da progettare nell’amore trinitario, mettendo me stesso e le cose a servizio del “bene” di tutti.

Il secondo frutto dell’eucarestia è la “missione”. E’ come se mi dicesse: vivi ogni attimo ed ogni incontro come dono gratuito di te e della tua vita.

Gesù dona se stesso completamente a me: Egli è cibo per la vita, è Parola che illumina e guida, è Corpo e Sangue per la nuova ed eterna Alleanza dell’umanità con Dio. Nella misura in cui comprendo la preziosità di questo dono che fa di me e degli altri un tutt’uno con Lui, avverto profondamente vera la chiamata ad essere uomo eucaristico cioè pronto a dare me stesso agli altri.

Alla scuola del dono totale di Gesù ognuno di noi impara la bellezza del “dono” di sé: Eccomi, anch’io, come Gesù, sono a vostra completa disposizione; dono il tempo, la vita, le capacità, le cose. Da Gesù s’impara il senso del “gratuito”: dare senza alcuna condizione, gratis, sempre e tutto.

Ecco allora il secondo frutto dell’Eucarestia: donare se stessi per essere mangiati e bevuti dagli altri. E’ questo il primo servizio della carità, fondamento di ogni altro gesto di attenzione e di amore. Pertanto l’Eucarestia è sacramento di amore. Questo aspetto é sottolineato molto bene nel Vangelo secondo Giovanni, attraverso il racconto della lavanda dei piedi, nel contesto eucaristico: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque Io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi” (Gv 13,13-15).

Gesù non è venuto “per essere servito, ma per servire”. E io, suo discepolo, suo amico, se sono in comunione con Lui, devo fare altrettanto: è’ la logica dell’amore incarnato. Dal contesto eucaristico, da Gesù che serve e si dona imparo l’agape, l’amore incondizionato e gratuito.

Ma come si concretizza questo amore che nasce dal cuore di Cristo, che viene alimentato dall’ascolto della Parola, dalla comunione con Lui, dall’appartenenza alla chiesa, dall’intimità adorante stabilita tra Gesù Eucarestia e l’uomo in ginocchio davanti a Lui?

Si concretizza nell’incontro col bisogno condiviso: la carità moltiplica i legami con gli altri, apre la porta allo sconosciuto, condivide la gioia e la sofferenza, promuove la persona, la vita, fa emergere la dignità di ogni uomo, posto in una condizione di uguaglianza e non di dipendenza, fa della logica del “farsi prossimo” la logica della vita.

La pratica della carità, che scaturisce dalla conoscenza dell’amore di Dio, è fatta di gesti, di parole, di comportamenti, d’impegno che mi fanno diventare prossimo degli altri, mi fa scoprire il senso autentico della fraternità, mi fa impegnare perché cambi il volto di questo mondo a tal punto che sia abitabile per chiunque abbia ricevuto la preziosità del dono dell’esistenza.

L’esercizio della carità corrisponde ad un metodo, che s’ impara da Gesù: saper vedere, sapersi commuovere, saper agire. Non si tratta di essere eroi, ma comuni pellegrini d’amore in un pezzo di storia che il buon Dio ha “progettato” per ciascuno di noi.

Porre i miei occhi in quelli di Gesù Eucarestia che continuamente impazzisce di amore per me, significa concretamente guardare me stesso, gli altri, soprattutto gli ultimi, gli ammalati, gli esclusi, i peccatori non con la sufficienza di chi sta al riparo nella propria sicurezza, ma con la pochezza e la povertà di chi si mette in gioco, si fa compagnia e fa strada insieme a tanti altri fratelli e sorelle perché si possa sognare la felicità costruita con mani che si sporcano, con occhi che piangono, con cuore di carne.

Quali sono i campi di azione della carità? I documenti del magistero indicano queste piste:

1) Carità e cultura perché si riconosca all’uomo la dignità di persona che si colloca tra un’origine ed una finalità: la cultura al servizio della promozione umana.

2) Carità e impegno sociale e politico: chiamati a costruire la città degli uomini in modo tale che essi possano beneficiare di tutti i doni che Dio ha messo nel creato; e così tutti abbiano la casa, il lavoro, le opportunità di sviluppare le capacità insite in ognuno.

3) Carità e attenzione ai poveri: è una scelta prettamente evangelica che interpella fortemente la nostra società decisamente legata al benessere ed al consumismo.

4) Carità e famiglia. Chiamati ad investire sulla famiglia come comunità di amore e di relazioni di forte solidarietà umana e sociale, dove ogni bisogno può trovare risposte.

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*Don Michele Coppa è parroco a Roggiano Gravina

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ZENIT Staff

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