Dottrina sociale cattolica e moralismo politico

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ROMA, mercoledì, 20 aprile 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’editoriale di Claudio Gentili apparso su “La Società” (www.fondazionetoniolo.it/lasocieta), la rivista di studi e documentazione della Fondazione Toniolo sulla Dottrina sociale della Chiesa.

 

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L’Italia, di cui abbiamo celebrato il 17 marzo i 150 anni dall’Unità, è oggi un paese profondamente diviso. Due narrazioni si contendono gli italiani. Molti pensano che il ventennio berlusconiano volga ormai alla sua conclusione fisiologica. Vi è una parte che ritiene che il premier vada mandato a casa con ogni mezzo. E se sono insufficienti i mezzi democratici del voto popolare possono essere utili anche altri mezzi, compreso il naturale decorso dei numerosi processi che la magistratura sta conducendo a suo carico. Vi è un’altra parte che ritiene che nel 1994 si sia consumato in Italia un golpe mediatico-giudiziario che ha decapitato l’intero sistema politico italiano, fatta eccezione per gli eredi del Partito Comunista, che oggi rischiano di trasformarsi negli eredi del giustizialismo e sono inadatti a governare l’Italia. Le simpatie di molti cattolici si riconoscono in queste due narrazioni, con molte sfumature. Ma queste due narrazioni sono entrambe inadeguate per deficit di analisi antropologica e tengono poco conto della realtà del nostro Paese. Se si esce dal furore degli scontri ideologici e dal clima moralistico a cui giornali come Repubblica (o come i suoi imitatori dell’altra sponda) ci spingono quotidianamente, ci si accorge che l’Italia non è solo un paese diviso ma è anche un paese fermo. Anzi, un paese bloccato.

Assomigliamo a una barca che da vent’anni è bloccata in rada. Si litiga e quindi si ha l’impressione di muoversi. Ma si sta sempre fermi. Il Pil è fermo. La produttività è in calo. Le riforme non si riescono a fare. E quelle che si fanno trovano resistenza a essere applicate. Le performance degli studenti e la qualità della scuola non danno segni di significativo miglioramento. Le infrastrutture e i lavori pubblici sono caratterizzate da endemica lentezza di messa in opera. Non solo aspettiamo da vent’anni il raddoppio della Salerno-Reggio Calabria ma non riusciamo neppure a fare la pedemontana nel Nord efficiente e produttivo. Il nostro debito pubblico non cala. E quindi non possiamo abbassare il carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese. Ben 2 milioni di giovani non studiano e non lavorano. La disoccupazione giovanile ha raggiunto cifre record ma le imprese non trovano ben 110mila tecnici e se si cercano artigiani spesso si trovano solo extracomunitari disponibili. L’età’ media di ingresso al lavoro dei nostri figli è di 6 anni più’ elevata della media europea (da noi si comincia a 28 anni, in Europa a 22). L’età media dei membri dei CdA delle banche è di 15 anni più elevata della media OCSE. Da noi gli over-65 hanno ormai superato gli under-15. Assistiamo a una vera e propria “emergenza educativa” che ha spinto la CEI ha dedicare alla sfida dell’educazione il programma pastorale del prossimo decennio. La fisiologia dialettica politica è diventata scontro tra istituzioni. Lo spirito civile si va indebolendo (l’età media di chi fa volontariato si è alzata in modo esponenziale). Le virtù pubbliche sono neglette. Domina una visione clientelare dei rapporti sociali e politici. Un continuo mercanteggiamento ha indebolito l’etica pubblica e anche molti parlamentari sono ormai (come al tempo del trasformismo giolittiano) pronti a continui passaggi di campo.

Il bipolarismo selvaggio ha accentuato la personalizzazione della vita pubblica, segnata da una crescente esposizione televisiva, da una concentrazione della politica nei talk-show e da un allontanamento dalla vita reale dei territori, salvo la discussa ma reale eccezione della Lega, forse l’unico partito organizzato rimasto nel Paese. Il federalismo va avanti con continui stop and go. Prevale (con un forte valore antieducativo per i nostri figli) la logica del “così fan tutti”. Viene sempre più trascurata la dimensione della formazione morale e della autonomia morale della persona. C’è stato – diciamolo senza timori reverenziali verso il pensiero unico relativista dominante – un deficit di dottrina sociale. I principi basici che la fondano (il principio-persona, la solidarietà, la sussidiarietà, il bene comune) sono quotidianamente disattesi nella pratica. Tutta colpa di Berlusconi? Basta mandare a casa il premier per far ripartire l’Italia? Sarebbe troppo semplice. Questo deficit di dottrina sociale ha riguardato sia chi ci ha governato che chi ha fatto in questi anni opposizione. Non tutto è ascrivibile insomma ai comportamenti di chi ignora che ogni funzione pubblica necessita di una rigorosa vita privata. Per troppo tempo si sono intesi i richiami etici come privi di efficacia. Dietro questa concezione si cela la convinzione che l’attività’ dell’uomo non è determinata in ultima analisi dalla sua libertà morale ma da leggi di natura economica e sociale. Perché il pensiero progressista (a cui tanto sta a cuore la dignità delle persone) è stato così miope da svalutare per anni il valore pedagogico della morale sessuale? Perché il pensiero conservatore si è trasformato radicalmente in cultura dell’audience, in acquiescenza totale ai dogmi dell’apparire e alla insostenibile leggerezza dell’essere? Come hanno fatto i maitre à penser del cambiamento sociale a trascurare per anni la necessità di un ‘etica privata dopo essere diventati i paladini dell’etica pubblica? Tutti ci ricordiamo l’epoca di “Porci con le ali” e dell’opzione libertina della sinistra sessantottina e il disprezzo per i gli immigrati della destra. Pochi invece ricordano che negli anni Cinquanta, quando l’ethos di Peppone e Don Camillo affondava le sue radici nell’humus cristiano che ha edificato l’Europa e fondato le teorie dei diritti umani, Enrico Berlinguer indicava come modello, alle ragazze del FGCI Maria Goretti e non per un sussulto di devozionismo cattolico, ma “contro l’uso consumistico della sessualità tipico dell’ideologia borghese e il conseguente mancato rispetto della dignità della donna”.

Oggi è meno credibile per i suoi eredi dell’opposizione imbarcarsi (dal caso Noemi al caso Ruby) in continue battaglie sulla morale dopo aver esaltato l’indifferentismo morale di chi ripete che ognuno sotto le lenzuola fa quello che vuole, compreso Roman Polansky. Un’opposizione che ha fatto dopo il 1994 della morale la sua più usata arma di battaglia politica, avrebbe dovuto accorgersi molto tempo prima, che la libertà si trasformava in licenza, e la società aperta in casa chiusa. Per il bene della democrazia italiana la destra faccia i conti fino in fondo con i residui di razzismo che albergano nelle sue fila, e la sinistra faccia i conti con la propria impotenza politica e con la propria ipocrisia morale. L’enorme potere che in questi vent’anni Berlusconi ha esercitato sugli italiani è stato un potere ipnotico. Essendo lui l’espressione, nel bene e nel male, di più di una metà dell’inconscio degli italiani ha fatto perdere la testa sia a chi lo vuole che a chi lo rifiuta. Chi vota per il centro-destra non è cieco di fronte ai difetti di Berlusconi. E chi non lo vota in molti casi non si lascia andare all’odio e al rancore ma cerca di continuare a pensare. Il silenzio pensoso di molti cattolici di fronte a queste vicende (lo ha spiegato molto bene De Rita in un coraggioso editoriale sul Corriere) non è il segno di una fuga dalle responsabilità ma esprime l’esigenza di ricominciare a ragionare politicamente fuori dai fanatismi, ascoltando i richiami delle alte indicazioni del Capo dello Stato. Essere miti in politica, ragionare senza insultare, sembra talora il pragmatismo degli imbelli. Il grido che reclama la pulizia morale (gonfio di risentimento) ha spesso la vibrazione del moralismo.

Ma perch
é chi parla di morale cade nel moralismo? Perché si è smarrito il rapporto con Dio e non si coltiva la vita spirituale. Al contrario di quanto aveva profetizzato Feuerbach, il primo servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dai miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo. La morale politica consiste nel resistere alla seduzione dei grandi proclami. E al tempo stesso apprestarsi, sulle orme di chi ha scritto il Codice di Camaldoli, a preparare una Italia nuova, come chi porta avanti nei territori l’Agenda Sociale dopo la Settimana di Reggio Calabria o partecipa ai Gruppi della DSC. I cattolici possono farsi strumento di una più solida unità del Paese e far ritrovare anche a chi non condivide i principi della dottrina sociale, i fondamenti di una politica davvero rispettosa della dignità della persona. Alexis de Tocqueville ha sostenuto nella sua penetrante analisi della nascita della democrazia in America, che la democrazia si fonda assai più sull’ethos che sulle istituzioni. La libertà, ignota al mondo animale, che ci costituisce come persone, poggia su una relazione con la verità. Al fondo della questione morale troviamo dunque la relazione delle persone alla verità. La capacità di autenticare un ethos, che nella nostra cultura è indubitabilmente fondato sulla esperienza cristiana del popolo italiano, è fonte di autonomia morale ed è la via d’uscita dal nichilismo di chi dice che non ci sono più valori.

Al fondo dello scetticismo etico che ha attraversato il XX secolo noi troviamo una dissociazione tanto radicale quanto ingiustificata tra i valori, la vita autentica e la ragione. Una dissociazione che affonda le sue radici nella pace di Westfalia, nella laicité, nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese ma soprattutto nel pensiero di quel gigante della filosofia che è stato Immanuel Kant. Da quell’epoca esercizio della ragione e esperienza del valore si guardano in cagnesco, generando scetticismo. E la riconciliazione di verità e ragione, di ragione ed etica, con una fede ragionevole e con una ragione non chiusa al trascendente, è il leit motiv della ricerca filosofica e poi del magistero di Ratzinger. L’invito di Papa Benedetto al mondo laico a vivere come se Dio ci fosse (rovesciando il paradigma di Grozio) va preso in seria considerazione da tutti, ma soprattutto da chi negli ultimi anni ha, sia pur tardivamente, scoperto l’importanza dei valori morali. Questo ci aiuta ad abbandonare i fanatismi e a ricominciare a pensare politicamente. Sapendo che il moralismo è una delle tante varianti del fanatismo e spesso ha poco a che fare con la moralità.

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ZENIT Staff

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