ROMA, venerdì, 15 aprile 2011 (ZENIT.org).- L’amore cristiano non deve essere solo sincero ma anche fattivo, cioè tradursi in gesti concreti di carità capaci di incarnare uno spirito di servizio. E’ quanto ha detto questo venerdì padre Raniero Cantalamessa, O.F.M., predicatore della Casa pontificia, in occasione della quarta e ultima predica quaresimale, svoltasi nella cappella “Redemptoris Mater” in Vaticano, alla presenza di Benedetto XVI e della Curia romana.
In questa occasione il religioso cappuccino ha affrontato il tema della rilevanza sociale del Vangelo, partendo dallo spiegare come nella comunità primitiva di Gerusalemme l’esigenza di un amore concreto si traducesse nella condivisione, tanto che i primi cristiani “vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”.
“Gli storici della Chiesa – ha proseguito padre Cantalamessa – vedono in questo spirito di solidarietà fraterna uno dei fattori principali” della missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli.
Tutto ciò “si tradusse in iniziative – e più tardi in istituzioni – apposite per la cura degli infermi, sostegno alle vedove e agli orfani, aiuto ai carcerati, mense per i poveri, assistenza ai forestieri”.
L’epoca moderna, soprattutto l’Ottocento, ha quindi segnato “una svolta, portando alla ribalta il problema sociale. Si è preso atto che non basta provvedere caso per caso al bisogno dei poveri e degli oppressi, ma che occorre agire sulle strutture che creano i poveri e gli oppressi”. Da qui ha avuto origine la dottrina sociale della Chiesa.
“Il Vangelo – ha tuttavia ricordato padre Cantalamessa – non fornisce soluzioni dirette ai problemi sociali”, ma contiene “dei principi che si prestano a elaborare risposte concrete alle diverse situazione storiche”. E poiché “le situazioni e i problemi sociali cambiano di epoca in epoca, il cristiano è chiamato a incarnare di volta in volta i principi del Vangelo nella situazione del momento”.
A questo punto ripercorrendo gli itinerari proposti dalle encicliche sociali dei Pontefici – dalla Rerum novarum di Leone XIII alla Caritas in veritate di Benedetto XVI – padre Cantalamessa ha spiegato che la loro particolarità è stata proprio quella di aggiornare il magistero “in base alle istanze nuove emerse in una società” e “anche in base a una interrogazione sempre nuova della Parola di Dio”.
Il religioso cappuccino ha poi tratto spunto dalle considerazioni di Nietzsche sulla rilevanza sociale del Vangelo, che per per lui non era altro che il frutto di “una rivoluzione in negativo” ovvero della “rivincita dei deboli contro i forti”. Egli stigmatizzava infatti “la preferenza data al servire sul dominare, al farsi piccoli sul volere emergere e aspirare a cose grandi”.
Tuttavia, ha continuato padre Cantalamessa, “uno dei doni più belli” che il cristianesimo ha fatto al mondo è proprio il principio del servizio che si applica a ogni aspetto della vita: “lo stato dovrebbe essere a servizio dei cittadini, il politico a servizio dello stato, il medico a servizio dei malati, l’insegnante a servizio degli alunni”. Un principio questo, ha sottolineato, che si applica “in maniera tutta speciale ai servitori della Chiesa”.
“Il servizio – ha spiegato ancora – non è, in sé stesso, una virtù […], ma scaturisce da diverse virtù, soprattutto dall’umiltà e dalla carità. E’ un modo di manifestarsi di quell’amore che ‘non cerca il proprio interesse, ma anche quello degli altri’ (Fil 2,4), che dona senza cercare il contraccambio”.
“Il servizio evangelico, all’opposto di quello del mondo – ha detto poi –, non è proprio dell’inferiore, del bisognoso, ma piuttosto del superiore, di chi è posto in alto. Gesù dice che, nella sua Chiesa, è soprattutto ‘chi governa’ che deve essere ‘come colui che serve’ (Lc 22, 26), il primo deve essere ‘il servo di tutti’ (Mc 10,44)”.
“Terminiamo – ha concluso – ascoltando come rivolte a noi ora e qui le parole che Gesù disse ai suoi discepoli subito dopo aver loro lavato i piedi: ‘Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io’ (Gv 13 12-15)”.