Papa Giovanni Paolo II, “un polacco che è stato universale”

Parla il postulatore della sua causa (III)

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ROMA, venerdì, 8 aprile 2011 (ZENIT.org).- La beatificazione di Giovanni Paolo II sarà un grande evento per la Polonia, ma anche per il resto del mondo, perché questo Pontefice ha saputo coniugare un grande amore per la sua patria e un’apertura universale.

Lo afferma, in questa terza e ultima parte dell’intervista concessa a ZENIT, monsignor Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione di Papa Karol Wojtyła.

La celebrazione del prossimo 1° maggio non pone fine al lavoro di padre Oder, perché come ha spiegato a ZENIT ha il mandato del Cardinal vicario, Agostino Vallini, anche per preparare la canonizzazione.

La prima parte dell’intervista è stata pubblicata mercoledì 6 aprile, la seconda questo giovedì.

Si sente ora “disoccupato” o continua la causa di canonizzazione con un miracolo già riconosciuto?

Mons. Oder: Come ho detto, questo lavoro di postulazione si aggiunge alle altre cose, perciò assolutamente, non penso di rimanere disoccupato. Comunque sì, adesso è in corso tutta la preparazione dell’evento della beatificazione che, naturalmente, vede coinvolta anche la figura del postulatore per alcuni aspetti. Ma il mandato che mi è stato concesso dal Cardinal vicario è quello per il processo di beatificazione e di canonizzazione. Ciò vuol dire che la tappa della beatificazione è stata raggiunta; questo primo momento è fatto, ma il processo procede fino al suo compimento con la canonizzazione.

A proposito della beatificazione, in che modo può prepararsi a quest’evento un cristiano che vuole partecipare?

Mons. Oder: Questo tempo che ci è stato dato, come tutto il tempo del processo di beatificazione, per me personalmente è stato un tempo di esercizi spirituali che mi ha permesso di approfondire sia le ragioni della mia fede che l’entusiasmo della mia risposta alla chiamata del Signore a diventare sacerdote, perché è stato un incontro splendido con un esempio di un sacerdote realizzato, pieno, felice, che ha dato la sua vita per Cristo e per la Chiesa. E penso che quel tempo che noi abbiamo a disposizione adesso è quello che, fortunatamente, coincide con la Quaresima, perciò compiamo il nostro cammino spirituale, il nostro cammino di conversione, il nostro cammino di approfondimento della fede e dell’amore per Cristo, per vivere veramente un’esperienza particolare con la Pasqua del Signore che, in qualche modo, verrà ancora prolungata in questo evento di beatificazione, perché poi, in fin dei conti, la Pasqua del Signore è il punto di riferimento per la vita di tutti cristiani che deve realizzarsi nella vita di ognuno di noi. È la conclusione della vita cristiana, quella Pasqua felice e, appunto, il raggiungimento della santità, arrivare in cielo. Possiamo allora dire che quest’anno, veramente, abbiamo la fortuna di vivere la Quaresima guardando la Pasqua del Signore. È uno splendido testimone di questa Pasqua.

Si è parlato di quest’eredità spirituale del Santo Padre che è la misericordia, ma si definisce poco che cosa sia la misericordia e come la intendesse lui…

Mons. Oder: Sono tanti i suoi interventi che riguardano proprio quest’aspetto della misericordia, della magnanimità, della capacità di imitare la grandezza dell’amore di Dio che si china sull’uomo debole e fragile. Affermava che il perdono – e questo l’ha detto nella lettera che pensava di pubblicare, la lettera aperta ad Ali Agca dopo l’attentato, e che poi non è stata pubblicata – è il fondamento di ogni vero progresso della società umana. La misericordia, essenzialmente, significa comprensione per la debolezza, capacità di perdono. Significa anche l’impegno di non sprecare la grazia che il Signore dà, ma di produrre con la propria vita i frutti degni di chi è stato graziato e rivestito dalla misericordia di Dio.

Vedeva, quindi, nel perdono anche uno strumento politico o il motore della storia?

Mons. Oder: Assolutamente sì, perche aveva una visione cristiana della storia, teologica, in cui non tutto è riportabile soltanto ad un mero calcolo economico o politico, in cui l’elemento dell’umanità, la compassione, la comprensione, il pentimento, il perdono, l’accoglienza, la solidarietà, l’amore diventano gli elementi fondamentali per fare una vera politica di Dio.

La Polonia si è sentita orfana quando ci ha lasciati. Adesso che ci viene restituito come beato, ci sarà qualche impatto sulla Chiesa polacca?

Mons. Oder: Sicuramente. Per la Polonia è stato una pietra miliare ed è un momento fortissimo, importantissimo, però Giovanni Paolo II non è un fenomeno polacco. La cosa straordinaria, che mi ha colpito moltissimo, è che uno degli elementi di fascino di Giovanni Paolo II era il fatto che non aveva vergogna di parlare della sua patria, della propria storia, di usare la propria lingua, di identificarsi anche con la religiosità popolare della Polonia, di parlare dei suoi connazionali. Ebbene, quell’uomo che così fortemente sentiva l’appartenenza alla propria Nazione ha saputo anche essere un dono per gli altri, e Giovanni Paolo II è un dono per l’umanità. E non soltanto la Polonia ha pianto (ha gioito prima e pianto dopo), basti pensare al Messico, ma non solo… il mondo intero! E’ diventato veramente un dono per l’umanità. La sua grandezza è proprio questa. Pur rimanendo nella propria identità, ha saputo dare un respiro universale. E forse perché era così autentico nel suo amore per la patria ha saputo dare anche un incentivo forte perché ognuno possa riconoscere la propria identità, la propria storia, le proprie radici e, in qualche modo, portare dentro la realtà dell’umanità, della Chiesa, questa ricchezza per creare una qualità nuova, un sentirsi tutti Figli di Dio o sentirsi tutti fratelli.

Il secondo aspetto che riguarda proprio la Polonia, e che è stato per me molto edificante, è che al momento dell’elezione di Benedetto XVI i fedeli polacchi in Piazza san Pietro – e ce n’erano tanti venuti ai funerali e poi rimasti perché in questi anni per noi polacchi Roma era diventata come per Giovanni Paolo II un po’ la seconda patria – hanno gridato “viva il Papa” in italiano e in polacco. E questo veramente mi ha fatto capire com’era cresciuta e maturata la fede di questa gente, di questa Chiesa, accanto a questo grande Papa che ha saputo vivere il proprio ministero con una personalità così forte, così carismatica, e nello stesso tempo ha saputo dare il giusto valore al suo ministero come Pietro, Vicario di Cristo. Ecco, lui non c’è più, ma c’è la Chiesa, c’è Pietro, c’è il nuovo Papa, un Papa tedesco.

Qualcuno ha mai guardato con diffidenza la decisione di Giovanni Paolo II di istituire la Giornata Mondiale della Gioventù, per le situazioni di promiscuità che si potevano venire a creare tra i ragazzi?

Mons. Oder: Non c’era diffidenza né da parte del Papa né da parte dei giovani che pensavano ancora in modo vecchio. Lui pensava in modo molto moderno. Era un prete che sentiva. Egli stesso ha detto questa cosa, che il dono è un mistero, che il prete non deve cercare di essere alla moda perché è sempre alla moda, è sempre aggiornato, perche quello che un sacerdote rappresenta è Cristo, e Cristo è sempre lo stesso. Perciò la vera novità che porta un sacerdote è Cristo. E lui ha saputo convocare questi giovani proprio giocando sulla novità che è Cristo.

Poi ha fatto dormire nei corridoi del Pontificio Consiglio per i Laici, non c’era posto per accogliere i giovani alla prima GMG nell’85; con i sacchi a pelo sui parquet sotto gli affreschi…

Mons. Oder: Chi mai avrebbe pensato una rivoluzione di quel genere? Ma questo si vedeva dal primo giorno, dell’inizio del pontificato, quando ha innalzato la croce contro ogni protocollo, q
uando si è avvicinato alla gente, contro ogni tradizione. Già si vedeva questa sua novità il giorno dell’elezione, quando dal balcone, oltre alla benedizione, ha poi parlato. Figuriamoci lo sconvolgimento!

I giovani che non hanno conosciuto Giovanni Paolo II ci chiederanno che cosa trasmettere di lui?

Mons. Oder: Penso che saranno i giovani della generazione di Giovanni Paolo II a dover parlare ormai ai loro figli di quel padre, perché effettivamente la figura di Papa Wojtyła per quella generazione incarnava la paternità. Era un padre, l’hanno amato, hanno litigato con lui. Mi ricordo, credo che fosse in Messico, di un incontro in cui il Papa ha tenuto un dialogo con i giovani, e diceva: “Rinunciate alla ricchezza?”, e loro “Sì , rinunciamo”, “Rinunciate alla prepotenza?”, e loro “Sì, rinunciamo”; e ancora “Rinunciate al sesso?” e “No, questo no!”, hanno urlato.

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ZENIT Staff

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