Lo sviluppo integrale dell’uomo

Dalla Populorum progressio alla Caritas in veritate

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di mons. Giampaolo Crepaldi*

ROMA, giovedì, 7 aprile 2011 (ZENIT.org).- Lo sviluppo integrale dell’uomo è la tematica al centro sia della Populorum progressio sia della Caritas in veritate. Questa ultima affronta il tema alla luce della Populorum progressio ma nello stesso tempo esamina fenomeni storici e sociali nuovi, che ai tempi in cui Paolo VI scriveva la sua enciclica sullo sviluppo o non erano ancora emersi oppure lo erano in forme limitate o addirittura embrionali. Cosa vuol dire questo nel concreto? Significa che tra le due encicliche sono successi dei fatti nuovi di cui la Caritas in veritate tiene conto, ma ne tiene conto alla luce della Populorum progressio e dell’intera storia del magistero sociale. Questo permette che i fatti vengano letti alla luce del Vangelo e della Tradizione apostolica, di cui pure la Populorum progressio era espressione. La Dottrina sociale della Chiesa non si interessa mai dei puri fatti, empiricamente intesi. Essa se ne interessa alla luce della Parola di Dio e della tradizione viva della Chiesa, che li rende significanti ed espressivi di un Senso, li rende “segni dei tempi”.

Questo è vero soprattutto per il tema dello sviluppo integrale. Mi sembra che la Caritas in veritate approfondisca questo concetto rispetto alla Populorum progressio soprattutto in tre sensi. C’è prima di tutto una più approfondita considerazione delle opportunità ed anche delle minacce che derivano dal processo di globalizzazione. Secondariamente c’è una esplicita dichiarazione che il tema del diritto alla vita non può essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli. Infine viene esaminato in modo deciso il diritto alla libertà religiosa come collegato in modo sostanziale al tema dello sviluppo. Ritengo che questo rappresenti una autentica novità della Caritas in veritate, prima di essa, infatti, le tre dimensioni ora accennate non erano emerse con tanta forza a qualificare il tema dello sviluppo umano.

Il tema della globalizzazione è condotto sulla scia della convinzione espressa nella Populorum progressio che la questione sociale è diventata mondiale. Benedetto XVI coglie, tra gli altri, un elemento di particolare novità legato alla globalizzazione: essa impone un ripensamento dello Stato e, contemporaneamente e in conseguenza di ciò, della società civile e del suo ruolo. Il fatto che le ricchezze siano prodotte in un luogo ma poi prendano altre strade e non rimangano nel luogo che le ha prodotte pone la necessità di una lunga serie di riforme di cui la Caritas in veritate fornisce la chiave sintetica: bisogna che la ridistribuzione che prima veniva fatta alla fine del processo produttivo da parte dello Stato venga ora fatta lungo tutto il processo produttivo anche da parte di altri soggetti economici e sociali. E’ una chiave veramente nuova nell’interpretare le esigenze di una società in vista di uno sviluppo veramente umano e per tutti, integrale e solidale. Nasce qui la necessità, su cui l’enciclica si sofferma a lungo, di introdurre la ratio del dono e della gratuità dentro la stessa attività economica e non solo ai suoi margini. Una proposta fortemente innovativa e nello stesso tempo in continuità con lo spirito e la lettera della Populorum progressio che aveva chiesto di dilatare la carità fino a comprendere tutti i popoli. Una chiave capace di aprire molte porte dello sviluppo. Ne indico qualcuna: la responsabilità sociale delle imprese; il protagonismo economico della società civile secondo il principio di necessità; aiuti allo sviluppo condotti a partire dal basso e fondati sull’accompagnamento; la riforma degli sprechi del welfare dei paesi ricchi per finanziare in questo modo lo sviluppo di quelli poveri; nuove forme di impresa non primariamente a scopo di lucro; solidarietà tra imprenditori del Nord e del Sud del mondo; una finanza votata allo sviluppo dell’economia reale.

Il tema del diritto alla vita non è una novità in sé, ma lo è l’intensità con cui la Caritas in veritate lo applica allo sviluppo dei popoli. Anche qui è evidente l’approfondimento di orientamenti della Populorum progressio e nello stesso tempo l’accostamento sapienziale di tematiche decisamente nuove. La pianificazione forzata delle nascite, la pressione di organismi e lobbies internazionali perché vengano approvate in ogni dove legislazioni che permettono l’aborto, la sterilizzazione in massa di donne dei paesi poveri, la drammatica politica del figlio unico, la persistente ideologia malthusiana secondo cui la causa principale della povertà sarebbe la crescita della popolazione: ecco alcuni esempi segnalati dalla Caritas in Veritate di come il tema della vita freni lo sviluppo anziché favorirlo. La negazione della vita indica debolezza morale e sfiducia nell’uomo, non permette di coltivare la virtù dell’accoglienza e della disponibilità, mina alla radice l’amicizia civica tra i cittadini, indebolisce la legge e il suo valore normativo del bene umano, trasforma l’uomo in un “prodotto” seminando così una mentalità cinica che pervade anche altri aspetti della vita sociale, distoglie risorse materiali ed umane al vero sviluppo, indirizza la ricerca verso vicoli ciechi dal punto di vista etico anziché favorire scoperte a vantaggio dell’umanità, dissemina una mentalità di dominio dell’uomo sull’uomo improntata allo strapotere della tecnica. Devo riconoscere che questo collegamento tra etica della vita ed etica dello sviluppo, così forte nella proposta della Caritas in Veritate, stenta a venire recepito nelle comunità cristiane. Eppure è così importante e, direi, decisivo. Si leggono ancora documenti di alcuni episcopati ove vengono trattati temi chiave dello sviluppo integrale, come quello dell’ambiente o quello della violenza e della pace, senza che si faccia cenno alcuno alla lotta contro la vita, vista sia come attentato alla natura creata sia come forma suprema di violenza. L’accostamento fatto già dalla Evangelium vitae tra gli operai ai tempi della Rerum novarum e i feti umani viventi nel ventre materno ai nostri giorni in pericolo di vita – i deboli tra i deboli di allora e di adesso -, accostamento recepito e rilanciato dalla Caritas in Veritate non sempre viene adeguatamente fatto proprio.

Infine il terso ambito, quello della libertà religiosa. Anche questo fortemente anticipato dalla Populorum progressio, soprattutto quando Paolo VI afferma che non esiste autentico umanesimo se non aperto verso l’assoluto, viene declinato in forme nuove dalla Caritas in Veritate. Essa infatti ha di fronte una drammatica doppia realtà: quella delle persecuzioni dei cristiani nei regimi ove vigono religioni fondamentaliste e quella di una sottile ma spietata persecuzione della fede cristiana condotta nei paesi del nichilismo realizzato, come molti paesi occidentali. Ove questo avviene anche il bene dell’uomo si incrina e viene meno e si perde di vista il vero senso del bene comune e degli stessi diritti della persona. E’ questo un punto molto importante dell’enciclica, secondo la quale quando si perde di vista la sopranatura anche la natura subisce una involuzione. Senza la fede la ragione si avvita su se stessa, senza il cristianesimo la dignità della persona umana viene persa di vista, senza la legge cristiana dell’amore anche la legge morale naturale viene dimenticata, trascurata e perfino negata.

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*Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

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ZENIT Staff

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