Tenere i profughi lontani dalle coste, un'illusione di pace

Il Card. Bagnasco commenta l’effetto domino delle rivolte in Africa

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ROMA, lunedì, 28 marzo 2011 (ZENIT.org).- “È un’illusione pensare di vivere in pace, tenendo a distanza popoli giovani, stremati dalle privazioni, e in cerca di un soddisfacimento legittimo per la propria fame”. E’ la riflessione fatta questo lunedì dal Card. Angelo Bagnasco nella prolusione al Consiglio episcopale permanente in programma a Roma fino al 31 marzo. 

Nel suo intervento il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha parlato con preoccupazione dei risvolti legati alla “rivoluzione araba” che partita dapprima dalla Tunisia – dopo il gesto di Mohamed Bouazizi, di 26 anni, che di fronte alle ingiustizie sociali del suo paese il 17 dicembre scorso si è dato fuoco innescando una rivolta popolare che ha portato alla cacciata del presidente Zine el Abidine Ben Ali – si è poi allargata all’Algeria, all’Egitto e infine a tutti i Paesi situati sulla costa africana del Mediterraneo, in particolare la Libia. Per poi toccare almeno un’altra decina di Paesi, perlopiù nella penisola arabica a cominciare dallo Yemen, ma anche in Giordania e specialmente in Siria.

A questo proposito, ha affermato che se da una parte siamo di fronte a un “intreccio tra emergenze concretissime, obiettivi politico-ideologici ed interessi economici” dall’altra “di evidente ed indubitabile c’è a tutt’oggi il patire di tanta povera gente! E non ci si può non rammaricare per il ricorso alla forza che, contrapponendo tra loro i figli poveri di uno stesso popolo e di uno stesso continente, provoca dolore più grande e lutti – se possibile – ancora più drammatici”.

E considerando la particolarità geografica dell’Italia che la colloca al centro del Mediterraneo come “ponte verso altri continenti e altri popoli”, ha sottolineato il porporato, “non ci è consentito di disinteressarci di quel che avviene fuori di noi, nelle coste non lontane dalle nostre. Coinvolgerci, e sentirci in qualche modo parte, rientra nell’unica strategia plausibile dal punto di vista morale ma − riteniamo − anche sotto il profilo economico-politico”.

“L’interdipendenza – ha evidenziato ancora – è condizione ormai fuori discussione ed essa si fa ancora più cruciale e ineluttabile in forza delle vicinanze geografiche. Che però, nel nostro caso, riguardano l’Italia alla stessa stregua con cui riguardano l’Europa, di cui siamo parte: i confini costieri della prima infatti coincidono con i confini meridionali della seconda”.

“L’emergenza dunque è comunitaria – ha tenuto a precisare –, e va affrontata nell’ottica di destinare risorse per uno sforzo di sviluppo straordinario, che non potrà non raccogliere poi benefici in termini di sicurezza complessiva. Continuare a ritenere interi popoli poveri come fastidiosi importuni non porterà lontano”.

“Essi – ha aggiunto – domandano, a loro modo, di partecipare alla fruizione dei beni materiali, mettendo a frutto la loro capacità di lavoro, e intanto chiedono ciò che finora non hanno potuto produrre. Nei nuovi scenari, è un’illusione riuscire a piantonare le coste di un continente intero. È l’ora dunque di attuare quelle politiche di vera cooperazione che sole possono convincere i nostri fratelli a restare nella loro terra, rendendola produttiva”.

Accennando poi alle “comprensibili difficoltà” ma anche a “qualche resistenza” nel cercare di offrire una prima accoglienza a quanti arrivano dall’Africa, il Cardinale Bagnasco ha quindi ribadito l’urgenza “oltre che dell’apporto generoso delle singole Regioni d’Italia, anche della convergenza dell’Europa comunitaria, chiamata a passare – come giustamente si è detto – da una ‘partnership della convenienza’ a quella della ‘convivenza’”.

Il Presidente della CEI ha poi accennato alla situazione disperata che domina l’isola di Lampedusa, “avamposto sospirato di tanti profughi”, dove “gli immigrati […] superano ormai la popolazione locale determinando − involontariamente − una condizione di generalizzato, profondo disagio”. A Lampedusa, infatti, solo negli ultimi giorni sono sbarcati circa 6.200 tunisini (1.933 solo nelle ultime 24 ore).

A questo proposito, il porporato ha notato che “l’attività lavorativa della piccola comunità rischia di finire seriamente compromessa, tra le crescenti preoccupazioni delle famiglie”, per questo ha invitato i responsabili politici a “un ulteriore sforzo perché, avvalendosi di tutti gli strumenti anche comunitari, si dia sollievo all’isola e ai suoi abitanti. Non devono infatti sentirsi soli”.

“Si ha conferma che la stragrande maggioranza di coloro che arrivano sono giovani, al pari di quanti, attraverso le immagini della televisione, si sono visti e si vedono manifestare nelle piazze – ha affermato il Cardinale –. In tal modo si profila un sottile problema di interfaccia tra coloro che, vogliosi di vita, spingono per entrare e la vecchia Europa che tenta di difendere i propri bastioni. Ma proprio qui si annida anche, sotto il profilo culturale, la carica più dirompente di questa emergenza”.

Il porporato è quindi tornato a ribadire che la Chiesa non cessa di rivolgere il suo appello perché la società si apra sempre più alla tolleranza e alla convivenza, nel ricordare “alcuni episodi luttuosi che hanno visto amaramente soccombere persone disagiate che avevano cercato rifugio in siti di fortuna”, in riferimento soprattutto ai quattro bambini che, alla periferia di Roma, hanno trovato la morte nel rogo divampato il 6 febbraio scorso nella loro baracca, in un campo Rom.

Richiamando le parole del Papa all’Angelus del 13 febbraio, il Cardinale Bagnasco ha detto che l’episodio “impone di domandarci se una società più solidale e fraterna, più coerente nell’amore, cioè più cristiana, non avrebbe potuto evitare tale tragico fatto” e ripropone “l’annoso tema dell’accoglienza, nella nostra società e nelle nostre città, delle popolazioni Rom, che non possono essere percepite come uno sorta di scarto razziale dell’evoluta Europa”.

“Esperienze illuminanti – in cui lo Stato e gli Enti locali convergono con l’associazionismo privato-sociale – ci avvertono che un inserimento, attraverso piani graduali di accompagnamento, con tappe successive e successivi controlli sul versante della legalità, è possibile”.

“Occorre – ha concluso – che nei diversi territori si sappia prendere l’iniziativa, e si tratti per definire i termini di uno scambio in cui si equilibrano diritti e doveri reciproci”.

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ZENIT Staff

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