Dalla foresta amazzonica a Dio

di padre Piero Gheddo*

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ROMA, lunedì, 28 marzo 2011 (ZENIT.org).- Ieri, terza domenica di Quaresima (Anno A), ho celebrato la S. Messa nell’ospedale delle Missionarie Cabriniane a Milano (Columbus), commentando il Vangelo dell’incontro di Gesù con la samaritana (Giov. 4, 5-15), una donna che portava nel suo cuore la sete di Dio. Gesù leggeva in profondità nel cuore umano e conosceva la sua vita disordinata, ma vedeva in lei la sete di Dio, il desiderio di purezza, di perdono, di incontrare Dio. Le chiede da bere, poi le parla dell’acqua spirituale che disseta per sempre e quella donna gli chiede di darla anche a lei.

La samaritana sentiva nel profondo questa sete di Dio, che non riusciva ad emergere per una vita superficiale e le molte emergenze quotidiane. Basta una parola di Gesù per portare alla superficie questa sete di Dio. L’incontro col Signore cambia la vita di questa donna.     

Anche noi incontriamo spesso Gesù nella Messa, nella Comunione, nelle preghiere. Ma non abbiamo ci siamo ancora convertiti, la Quaresima è il tempo opportuno per risvegliare in noi il senso di Dio, di conoscere il suo amore e il suo perdono. Noi crediamo di conoscere Dio, ma non lo conosciamo, non lo contempliamo nel suo immenso amore per noi, non sentiamo ancora profondamente la sete di Dio, il desiderio di conoscere Dio.  

1) Lasciatemi raccontare una parabola moderna. Nel 1966 ho fatto un viaggio avventuroso in Amazzonia con un missionario del Pime, padre Giorgio Basile. Su un barcone a motore siamo partiti da Oyapoque ai confini con la Guyana francese per risalire la corrente di tre fiumi, Oyapoque, Uaçà e Cumarumà, per visitare diversi villaggi di indios cattolici o catecumeni. Un viaggio durato undici giorni, poi è venuto a prenderci il piccolo aereo della missione nell’ultimo villaggio. Ci siamo fermati in tre villaggi, dove erano venuti gli indios anche da regioni vicine per incontrarci.  

All’inizio non volevo partire perché mi pareva di perdere tempo. Infatti il primo giorno su quel barcone che avanzava lento contro-corrente, mi sono un po’ pentito. Il padre Giorgio, uomo spirituale e abituato a quei viaggi, mi dice: “Questo è un viaggio spirituale, dobbiamo pregare e meditare”. Così è stato. Pregando, distaccandomi dal mondo e avanzando nell’esplorazione di quel mondo di foresta e di acque, ho pensato: se è così bella la natura, pensa Piero come dev’essere bello Dio!  

Erano scene da diluvio universale come nella Genesi quando Dio creò il cielo e la terra. La foresta amazzonica, vista dall’aereo, è un tappeto granuloso di verde cupo, solcato dai nastri grigio-azzurri dei fiumi. Vista dal fiume presenta molti aspetti interessanti, stupefacenti, avventurosi: la massa di alberi che s’intrecciano e non lasciano passaggi, le giravolte di fiumi e gli “igarapé” (i loro affluenti), la fauna sempre nuova e varia degli animali che incontrate, le “garças”, uccelli acquatici come i nostri aironi che volano maestosi, i “botos”, delfini d’acqua dolce che saltano dietro alla scia del barcone, i “jacaré” (caimani), i voraci “piranhas” e i molti pesci che si pescano dal barcone per mangiarli poco dopo. Foreste e fiumi, fiumi e foreste, panorami sempre diversi che rivelano la bellezza della natura.  

L’Amazzonia brasiliana, estesa 14 volte la nostra Italia, è un continente ancora quasi inesplorato. Perchè ricordo spesso questo viaggio? Perché l’uomo, che non ha ancora finito di esplorare l’universo creato, è chiamato a vivere un’altra avventura: l’esplorazione del mistero e dell’amore di Dio! Se è così appassionante l’esplorazione dei fiumi amazzonici che riservano sorprese ad ogni svolta, molto più l’amore di Dio, di Gesù Cristo che s’è fatto uomo per amarci e per salvarci. A volte dico a  me stesso: “Piero, la vita cristiana è sentire il desiderio di conoscere Dio, di amare Dio, di raggiungere la visione di DIO nel beato Paradiso”.  

Cari amici, noi tutti siamo orfani di Dio, la Quaresima è il tempo opportuno per conoscere Dio, con la preghiera, la mortificazione, la generosità per le opere di carità. Quanto più ci distacchiamo da noi stessi, tanto più ci avviciniamo a Dio e ci innamoriamo di Dio. Viviamo tutti una vita superficiale, il mondo moderno ci travolge con tutte le sue occasioni, informazioni, emergenze. Dobbiamo dare tempo a Dio, al suo amore, rinunziare a qualcosa per questa meravigliosa esplorazione dell’amore e del mistero di Dio, molto più avventurosa che esplorare la foresta amazzonica.  

2) La seconda riflessione è questa: Gesù incontra quella donna e si mette in una posizione di inferiorità, di umiltà, le chiede da bere, per poi portare il discorso sull’acqua della vita, sulla ricerca del volto di Dio. Io prete mi chiedo se la Chiesa che vuol evangelizzare l’umanità, cioè noi stessi che rappresentiamo la Chiesa, diamo ai non credenti questa immagine di umiltà, di ascolto, oppure l’immagine di sapere già tutto e di non aver bisogno di nient’altro.   

Anni fa in Sri Lanka, paese buddhista, ho chiesto ad un prete singalese se la Chiesa locale fa l’annunzio esplicito della salvezza in Cristo. Mi ha risposto: in questo paese l’annunzio di Cristo viene dopo. Prima dobbiamo farci accettare, metterci alla pari con gli altri, mostrare di aver bisogno degli altri. Ed è vero.   

Ma questo, cari amici, vale anche per noi come cristiani. Pensate a quante persone avviciniamo, che hanno bisogno di Dio, di Gesù Cristo. Dobbiamo uscire da noi stessi, interessarci all’altro, partecipare ai suoi problemi, alle sue sofferenze, non essere chiusi. Tutti siamo chiamati ad essere evangelizzatori, tutti possiamo dire una buona parola. La secolarizzazione ci impedisce di esprimere il sentimento religioso che tutti portano nel cuore. A Gesù è bastato un cenno sull’acqua spirituale, per toccare il cuore della donna. Anche noi dobbiamo essere capaci di dire una buona parola, richiamandoci alla fede, all’amore di Dio.  

Io come prete medito spesso quelle parole di Gesù: “Voi siete la luce del mondo, voi siete il lievito che deve fermentare la pasta”. Chissà quante persone hanno bisogno di Dio! Incontrando me che sono prete, da questo incontro può scoccare una scintilla che li porta a Dio, oppure un cattivo esempio che li allontana da Dio. Io prete, io cristiano conosciuto come tale, ho una responsabilità. Di dare buon esempio, di dire una buona parola. Signore, rendimi un’immagine credibile di Te.   

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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