Rogo del Corano negli USA: protesta il Pakistan

Paul Bhatti nominato “Consigliere speciale” per le minoranze religiose

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di Paul De Maeyer 

ROMA, venerdì, 25 marzo 2011 (ZENIT.org).- “Chi semina vento, raccoglie tempesta”. Così dice un detto basato sul libro del profeta Osea (8,7). E di vento ne ha seminato il controverso reverendo evangelico statunitense Terry Jones, quando domenica 20 marzo ha messo in atto la sua tremenda minaccia e organizzato a Gainesville (Florida) un “processo” contro il Corano. Alla fine della seduta, il libro sacro dell’islam è stato giudicato “colpevole” di crimini contro l’umanità e di essere promotore di atti di terrorismo “contro persone il cui unico crimine era di non condividere la fede islamica”. Come “punizione”, un esemplare del Corano è stato poi bruciato pubblicamente dal pastore Wayne Sapp. All’evento ha assistito una ventina di persone (Agence France-Presse, 20 marzo).

Nel settembre scorso, Jones aveva già minacciato di bruciare una copia del Corano in occasione dell’anniversario degli attentati alle Torri Gemelle di New York – l’11 settembre 2001 -, ma alla fine aveva desistito dai suoi propositi dopo una pioggia di condanne internazionali e nazionali, in particolare da parte del presidente Barack Obama e di numerosissimi esponenti cristiani, fra cui anche il cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan. Parlando con la Radio Vaticana (9 settembre 2010), il porporato aveva dichiarato che il progetto del “Burn a Koran Day” del reverendo era “contro la Bibbia, contro la pura religione e la pura fede”.

Terry Jones ha descritto d’altronde la sua azione come una “once-in-a-lifetime experience”, cioè “un’esperienza che capita una volta nella vita”. Forse ha ragione. Perché anche se il pastore della comunità del Dove World Outreach Center ha annunciato che vorrebbe ripetere il suo gesto sacrilego il 22 aprile prossimo davanti ad una delle più grandi moschee degli USA, l’Islamic Center of America, a Dearborn (Michigan), sulla sua testa pende già una “fatwa” e una grossa taglia di 100 milioni di rupie, promessa dal movimento estremista pachistano (messa al bando) Jamaat-ud-Dawa (JuD) a chiunque riesca ad eliminare il pastore oltranzista.

Infatti, le reazioni rabbiose da parte della comunità musulmana alla provocatoria mossa del duo Jones-Sapp non si sono fatte attendere. Specialmente in Pakistan, che secondo alcune proiezioni potrebbe superare nel 2030 l’Indonesia come nazione musulmana più popolosa al mondo, il rogo del Corano ha suscitato forti reazioni. In questi giorni si sono svolte manifestazioni di protesta in numerose città del Paese, ad esempio a Lahore, capoluogo della provincia del Punjab, dove manifestanti hanno bruciato venerdì 25 marzo un pupazzo rappresentando il reverendo Jones (The DailyTimes).

Sempre a Lahore, gruppi di manifestanti musulmani hanno cercato di attaccare martedì 22 marzo la chiesa e la casa del pastore della Full Gospel Assembly. Come riferisce l’agenzia UCA News (24 marzo), a provocare la violenza è stata la voce sparsa da alcune moschee locali che membri della chiesa avessero bruciato “deliberatemente” e gettato nella spazzatura una copia del Corano proprio per imitare il folle gesto del pastore Jones. “Gli estremisti non possono arrivare a Jones, ma noi siamo un facile bersaglio”, ha osservato il direttore del coro della chiesa, Irshad Shaheen.

Il gesto di Jones è stato denunciato dalle più alte autorità del Paese. “Condanno fermamente a nome del popolo del Pakistan e a nome mio la deliberata dissacrazione del Sacro Corano da parte di un fanatico in Florida”, ha detto martedì il presidente Asif Ali Zardari all’inizio del suo discorso annuale al Parlamento di Islamabad (Reuters, 22 marzo). Assieme con il primo ministro Syed Yusuf Raza Gilani, Zardari ha incaricato anche il ministero degli Esteri di denunciare presso tutti gli organismi internazionali la profanazione.

Anche l’ambasciatore statunitense ad Islamabad, Cameron P. Munter, si è affrettato martedì a condannare questo gesto provocatorio. Per il diplomatico USA, il rogo del Corano è stato “un atto isolato condotto da un piccolo gruppo di persone che è contrario alle tradizioni americane. Non rispecchia il sentimento generale nei confronti dell’islam da parte del popolo degli Stati Uniti” (The News, 23 marzo).

Emblematico è il commento di un lettore pubblicato giovedì 24 marzo sul sito di PakTribune. “E’ un atto fortemente condannabile. È molto triste ed orrendo. L’incidente ha schernito più di un miliardo di musulmani in tutto il globo”, scrive Hafiz Muhamad Irfan. “La maggior parte delle volte i musulmani vengono accusati di essere estremisti ma ho qualche domanda per la comunità internazionale. L’azione dei pastori (Jones e Sapp) non è palese estremismo? Non è immorale? Non è una violazione dei diritti umani?”, ha chiesto il lettore.

Anche la Chiesa cattolica del Pakistan ha denunciato l’accaduto. “A nome dei vescovi cattolici e dei cristiani del Pakistan, condanno questo atto di follia pura, che non rappresenta i valori cristiani né gli insegnamenti della Chiesa”, così si legge in un comunicato firmato da monsignor Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore e presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici del Pakistan (AsiaNews, 23 marzo). “Ci dispiace constatare che qualcuno che si definisce pastore sia così ignorante in quella che è la sua religione, oltre che della normale decenza”, continua il testo dai toni insolitamente duri.

Parole altrettanto nette sono state pronunciate da esponenti cristiani nella vicina India. “Tali riprovevoli atti non possono mai essere giustificati in nessuna circostanza”, ha detto secondo il Times of India (24 marzo) l’attivista John Dayal, presidente della All-India Catholic Union. Da parte sua, il presidente dell’Indian Christian Voice e vice presidente della Maharashtra State Minorities Commission, Abraham Mathai, ha definito il rogo “un atto folle e privo di ragione”, ed ha avvertito inoltre che il gesto avrà “disastrose ed ampie implicazionii” per la pace universale e il dialogo interreligioso.

Il gesto di Jones avviene in un momento particolarmente delicato per la minoranza cristiana in Pakistan, ancora sotto shock per l’uccisione il 2 marzo scorso all’età di 42 anni del ministro federale per le minoranze religiose, il cattolico Shahbaz Bhatti. Questo mese almeno altri tre cristiani sono morti in circostanze sospette o sono stati uccisi. In circostanze non ancora chiarite è deceduto martedì 15 marzo in un carcere del capoluogo della provincia di Sindh, Karachi, un cristiano condannato all’ergastolo per presunta blasfemia, David Qamar. Per le autorità carcerarie, l’uomo è morto in seguito a un attacco cardiaco, ma la famiglia dell’imbianchino respinge la versione ufficiale e sostiene invece che è stato assassinato o torturato. Altri due cristiani, Younis Masih, 47 anni, e Jameel Masih, 22 anni, sono stati uccisi la sera del 21 marzo a Hyderabad, sempre nella provincia di Sindh, dopo un diverbio con alcuni musulmani che davano fastidio alle donne che volevano entrare nella chiesa dell’Esercito della Salvezza, nel quartiere di Hurr Camp (Compass Direct News, 22 marzo).

Dal Pakistan è arrivato comunque anche un “segno di speranza” per le minoranze religiose, anche se manca ancora la conferma ufficiale. Secondo quanto riferito dall’Agenzia Fides, Paul Bhatti, cioè il fratello maggiore del ministro cattolico ucciso tre settimane fa in un agguato, è stato nominato giovedì 24 marzo “consigliere speciale” del primo ministro Gilani per le Minoranze religiose. Dopo la morte di suo fratello, Paul Bhatti era stato eletto anche alla guida della All Pakistan Minorities Alliance (APMA), cioè la rete per la difesa delle minoranze fondata da Shahbaz Bhatti nel 2002.

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ZENIT Staff

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