Padre Pio e la storia di una falsa persecuzione

Giovanni XXIII non credette mai alle accuse costruite sul frate

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di Mariaelena Finessi

ROMA, giovedì, 24 marzo 2011 (ZENIT.org).- Non fu persecuzione quella di Papa Giovanni XXIII nei confronti di padre Pio da Pietrelcina. La tesi è di Stefano Campanella, che ha provato a documentarla nel libro “Oboedientia et pax. La vera storia di una falsa persecuzione”. Direttore di Tele Radio Padre Pio, l’autore ha spiegato il suo lavoro a Roma lo scorso 22 marzo presso la sede della Radio Vaticana.

Presenti anche il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Gian Maria Vian, direttore de L’Osservarvatore Romano, i coeditori don Giuseppe Costa della Libreria Editrice Vaticana e frate Mariano Di Vito delle Edizioni Padre Pio da Pietrelcina. A moderare l’incontro il giornalista Luigi Accattoli, storica firma del Corriere della Sera.

Il volume ricostruisce un periodo della vita di padre Pio mai entrato, prima d’ora, nelle biografie ufficiali, e che demolisce le capziose ipotesi lanciate da alcune recenti pubblicazioni. Oggetto delle ricerche di Campanella sono quelle che, nella prefazione, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano, definisce «vicende fatte oggetto di surrettizie interpretazioni storiche», vale a dire il mito di un santo «persecutore», il Papa buono, e di un santo «perseguitato», padre Pio.

È storia che il Cappuccino sia stato fatto bersaglio di calunnie tanto gravi da giungere al Sant’Uffizio e, per il suo tramite, riferite a Roncalli. Eppure, i provvedimenti adottati dal Pontefice – questo dimostrerebbero i documenti – rivelano una sua benevola predisposizione nei confronti del frate, come pure una certa fiducia nelle testimonianze a sua difesa.

All’origine della cosiddetta «seconda persecuzione» di padre Pio, avvenuta tra il 1960 e il 1961, c’è don Umberto Terenzi, parroco romano del Divino Amore, il quale voleva proteggere il frate e la sua Casa Sollievo della Sofferenza, dalle ingerenze di coloro che mostravano troppo interesse per soldi. Don Terenzi ottenne dal Sant’Uffizio l’incarico verbale di indagare, ma presentandosi a San Giovanni Rotondo come rappresentante papale certamente esagerò: lasciò credere (ma così non era) di dover riferire i fatti al Pontefice. Vennero posizionati dei microfoni e un registratore là dove padre Pio – fuori dal confessionale – incontrava i fedeli e in un colloquio con tal Cleonice Morcaldi gli “intercettatori” credettero di ascoltare «un bacio».

La bobine vennero mandate al Sant’Uffizio. L’iniziativa irritò il Papa che, per questo, ordinò di sbarazzarsi dei microfoni. Non solo, da allora evitò ogni incontro con don Terenzi. Venne quindi nominato il visitatore apostolico Carlo Maccari. Anche lui – che invece aveva il mero compito di raccogliere informazioni da riferire al suo superiore – si sentì investito dal Papa, tanto da spingersi a parlare in suo nome. E finendo con l’accreditare le false accuse contro padre Pio, il frate che può dirsi accomunato a Roncalli «non solo dalla coincidenza della medesima data di ordinazione sacerdotale – ha spiegato Campanella -, ma soprattutto dalla identica concezione della missione e del ruolo del sacerdote e dallo stesso modo di porsi all’interno della Chiesa», che è quello di «trovare la pace interiore nell’obbedienza».

Il vero inedito, raccontato da Campanella, è però la visita apostolica di un solo giorno, fatta nel febbraio 1961 dal domenicano padre Paolo Philippe. Raggiunta la località Garganica, il futuro cardinale e consultore del Sant’Uffizio interrogò padre Pio. La relazione stilata non lascia spazio ad altre interpretazioni.

«P. Pio mi è apparso come un uomo di intelligenza limitata – scrisse padre Paolo Philippe -, ma molto astuto e ostinato, un contadino furbo che cammina per la sua strada senza urtare i Superiori di fronte, ma che non ha alcuna voglia di cambiare», «egli non è e non può essere un santo (…) e neppure un degno sacerdote».

«P. Pio è passato insensibilmente da manifestazioni minori di affettuosità ad atti sempre più gravi, fino all’atto carnale. E, adesso, dopo tanti anni di vita sacrilega, forse non si accorge più della gravità del male. Questa è la storia di tutti i falsi mistici che sono caduti nell’erotismo»

«P. Pio non è solo un falso mistico, che è consapevole che le sue stigmate non sono da dio, e ciò nonostante lascia costruire tutta la sua “fama sanctitatis” su di esse, ma, peggio ancora, egli è un disgraziato sacerdote, che approfitta della sua reputazione di santo per ingannare le sue vittime». In definitiva quello di Padre Pio era, per il domenicano, «la più colossale truffa che si possa trovare nella storia della chiesa».

E pensare che bastò un solo giorno di indagine, costruita esclusivamente sulle dicerie, per mettere su carta tanta acredine. Il Papa, titubante, chiamò a se per un consulto l’arcivescovo di Manfredonia. Dal colloquio, che Campanella riporta nel volume, si evince che Giovanni XXIII capì che le accuse rivolte a padre Pio erano state costruite artatamente e per questo ordinò al Sant’Uffizio di non inasprire ulteriormente le sanzioni verso il frate stigmatizzato. Se dunque persecuzione c’è stata, non fu certo Roncalli ad esserne il mandante.

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ZENIT Staff

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