La fantascienza tra monachesimo, nucleare e filosofia

Walter M. Miller Jr. nel suo “Un cantico per Leibowitz”

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di Paolo Pegoraro*

ROMA, martedì, 22 marzo 2011 (ZENIT.org).-

A spiritu fornicationis,

Domine, libera nos.

Dal lampo e dalla tempesta,

Liberaci, Signore.

Dal flagello del terremoto,

Liberaci, Signore.

Dalla peste, dalla carestia e dalla guerra,

Liberaci, Signore.

Dal luogo del ground zero,

Liberaci, Signore.

Dalla pioggia del cobalto,

Liberaci, Signore.

Dalla pioggia dello stronzio,

Liberaci, Signore.

Dalla caduta del cesio,

Liberaci, Signore.

Dalla maledizione del Fallout,

Liberaci, Signore.

A morte perpetua,

Domine, libera nos.

Mentre in questi giorni seguiamo con apprensione la vicenda della centrale di Fukushima Daiichi, mi sono tornare alla mente le litanie che Walter M. Miller Jr. (1923-1996) poneva sulle labbra di una immaginaria congregazione monastica futura, l’Ordine Albertiano di San Leibowitz. Il romanzo dal quale sono tratte – Un cantico per Leibowitz (riedito lo scorso anno nella collana Urania Collezione n. 084, Mondadori, pp. 432, € 5,50) – è annoverato tra i capolavori della fantascienza, o meglio, della “fantateologia”, come ebbe a scrivere Umberto Eco. Ma dietro le etichette dei generi si nasconde la vicenda traumatica di Walter Miller, un giovane elettrotecnico americano che nel febbraio del ’44 venne inviato in spedizione su un bombardiere senza conoscere la destinazione della propria missione. Lo scoprirà troppo tardi. L’obiettivo è Montecassino: le truppe naziste vanno stanate a costo di radere al suo suolo l’antica abbazia fondata da san Benedetto. La vicenda segnerà profondamente Miller. L’anno successivo (1945) Hiroshima e Nagasaki vengono incenerite: con l’ingresso dell’atomica sullo scenario mondiale comincia la Guerra fredda. Nel 1947 Miller si converte al cattolicesimo e nel 1959, infine, compare Un cantico per Leibowitz, un romanzo che rielabora tre suoi racconti precedentementi pubblicati.

Un cantico per Leibowitz è ambientato in un mondo a stento sopravvissuto al conflitto nucleare, del quale si è fatta ricadere l’intera colpa sugli scienziati. Gli agitatori guidano sommosse, i libri sono messi al rogo, i fisici linciati, la conoscenza smarrita. Le poche tracce sopravvissute della precedente civiltà vengono cancellate da un movimento polare che promuove la “Semplificazione”. Il pianeta diventa una landa calpestata da predoni e antropofagi mostruosamente deformati dalle radiazioni. In questo scenario si muove il neonato Ordine Albertiano di San Leibowitz, costituito da Fratelli Contrabbandieri di Libri e Fratelli Memorizzatori che – come gli antichi ordini monastici – si votano a preservare la memoria dell’antico mondo. Il riferimento, non a caso, è a sant’Alberto Magno, il Doctor Universalis proclamato patrono degli scienziati che insegnò a Tommaso d’Aquino la profonda armonia tra ragione e fede.

Nella prima parte del romanzo (Fiat Lux) ci troviamo in un nuovo Medioevo. Sei secoli dopo il disastro nucleare, il novizio Francis scopre accidentalmente – durante il digiuno quaresimale nel deserto – il bunker antiatomico dove riposano le spoglie del loro fondatore, il beato Leibowitz (che si scoprirà essere un fisico del governo che si fece sacerdote dopo la catastrofe). I suoi misteriosi scritti, dei quali nessuno conosce il significato (ma che noi intuiamo essere schemi di circuiti elettrici), sono pazientemente copiati, miniati e conservati nell’abbazia. E il novizio Francis, tra presunti miracoli e processi di canonizzazione, imparerà cosa significa avere fede secondo ragione.

La seconda parte (Fiat Homo) ci porta avanti di altri sei secoli. Alle soglie di un nuovo Rinascimento si sta consumando il braccio di ferro tra il potere temporale (l’Imperatore di Texarkana) e quello spirituale (papa Benedetto XXII). Naturalmente il possesso della conoscenza è una pedina fondamentale sulla scacchiera politica. Il thon Taddeo Pfardentrott, uno scienziato laico fedele all’Imperatore, giunge all’Abbazia di San Leibowitz per consultare le preziose pergamene che vi sono conservate. Contemporaneamente una squadra di monaci riavvia una dinamo al ritmo di inni in latino e torna a far splendere la luce elettrica dopo dodici secoli di tenebra. Tra il thon Taddeo e l’abate Dom Paulo si sviluppa una forte dialettica sul senso e le finalità del progresso tecnologico. Ma è ormai innegabile il parricidio della scienza nei confronti della teologia.

Balziamo avanti di altri sei secoli. Eccoci nella terza parte (Fiat Voluntas Tua), in un mondo ben più evoluto del nostro, dove il cielo è solcato da astronavi e il conflitto nucleare tra due superpotenze pronto a riaccendersi. Il vertice dello sviluppo umano pare di nuovo micidialmente vicino al suo annicchilimento. Il cristianesimo è tornato ad essere una minoranza e si decide d’inviare una colonia di fedeli su Alfa Centauri perché qualcuno sopravviva all’ineluttabile apocalisse atomica. Il vigoroso abate Zerchi si trova incuneato tra l’esodo di profughi colpiti dalle radiazioni e l’alternativa medica dei “Campi di Misericordia” dove si pratica l’eutanasia. L’escalation giunge al punto di non ritorno. E mentre – come in una nuova arca di Noè – si chiude lo sportello dell’astronave per Alfa Centauri, una luce abbagliante brucia l’orizzonte… «il volto di Lucifero crebbe come un fungo orribile al di sopra del banco di nubi, alzandosi lentamente come un titano che si levasse in piedi dopo anni di prigionia nella Terra». Eppure nello stesso istante, proprio dalle viscere di una delle vittime delle radiazioni, fa la sua comparsa una creatura nuova, innocente, che pare non conoscere il peccato originale…

Costruito con perizia narrativa magistrale e su un sapiente tessuto di citazioni, Un cantico per Leibowitz non va scambiato per un romanzo pessimista che propugna la ciclicità della storia. Quello che Miller afferma, molto più semplicemente, è la permanenza della natura umana. Con i suoi limiti e le sue ricorrenti tentazioni, poiché – come afferma l’abate Zerchi – «l’inferno ha una immaginazione limitata». E tende a ripetere i propri passi. Anche quando vorrebbe farci credere che basta sviluppare la tecnica per progredire altrettanto meccanicamente nella morale.

Più di vent’anni dopo Un cantico per Leibowitz, il filosofo scozzese Alasdair MacIntyre aprirà il suo più celebre saggio di teoria morale proponendo un “esperimento mentale” ispirato esplicitamente dallo «straordinario romanzo» di Miller (cfr. Dopo la virtù, Prefazione alla seconda edizione italiana, Armando, Roma 2007, p. 23). Ipotizziamo un mondo in cui si sia persa qualunque traccia del sapere organico e ne sopravvivano soltanto brandelli, frammenti, informazioni scollegate delle quali non si comprende il senso né s’intuisce la visione unitaria. Ipotizziamo che questo sapere non sia quello scientifico, ma quello morale, e che ad averne persa la percezione globale sia stata proprio la nostra civiltà. Di cosa necessiterebbe un simile mondo? Il ragionamento di MacIntyre si conclude con un’affermazione divenuta celebre… «Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro san Benedetto, senza dubbio assai diverso». Un san Benedetto molto simile a san Leibowitz. Quel san Benedetto immaginato dallo scrittore che, senza volerlo, aveva bombardato Montecassino.

Un assaggio dell’opera

Nel sotterraneo, gli occhi dello studioso brillavano dell’esuberanza di uno specialista che invade il campo di un altro specialista allo scopo di chiarire una grande confusione. – In realtà, sì! – disse, in risposta alla domanda di un novizio. – Io ho individuato una fonte, qui, che dovrebbe secondo me, essere di grande interesse per il Thon Mario. Naturalmente, non sono uno storic
o, ma…

– Thon Maho? È quello che, ehm, sta cercando di correggere la Genesi? – chiese maliziosamente Padre Gault.

– Sì, è lui… – Lo studioso si interruppe, lanciando uno sguardo un po’ sorpreso a Gault.

– Benissimo – disse il prete, ridacchiando. – Molti di noi pensano che la Genesi sia più o meno allegorica. Che cosa avete scoperto?

– Abbiamo individuato un frammento prediluviale che suggerisce un concetto molto rivoluzionario, secondo me. Se interpreto correttamente il frammento, l’Uomo non fu creato se non poco tempo prima della caduta dell’ultima civiltà.

– Co-o-sa? E allora da dove veniva la civiltà?

– Non dall’umanità. Fu sviluppata da una razza precedente che si estinse durante il Diluvium Ignis.

– Ma la Sacra Scrittura risale a migliaia di anni prima del Diluvium!

Il Thon Taddeo conservò un silenzio significativo.

– Voi proponete – disse Gault, improvvisamente sgomento – l’ipotesi che noi non siamo discendenti di Adamo? Che non siamo legati all’umanità storica?

– Aspettate! Io propongo soltanto la congettura che la razza prediluviale, che si definiva umana, riuscisse a creare la vita. Poco prima della distruzione della loro civiltà, quegli esseri riuscirono a creare gli antenati dell’umanità attuale… “a loro immagine”… come una razza di schiavi.

– Ma anche se voi respingete completamente la Rivelazione, questa è una complicazione assolutamente non necessaria, alla luce del semplice buon senso! – protestò Gault.

L’abate aveva sceso quietamente le scale. Si fermò sull’ultimo pianerottolo e ascoltò, incredulo.

– Potrebbe sembrare così – affermò il Thon Taddeo – fino a che non considerate quante cose spiegherebbe, questa ipotesi. Voi conoscete le leggende della Semplificazione. Assumono tutte un significato, mi sembra, se si considera la Semplificazione come una ribellione di una razza schiava contro l’originale specie dei creatori, così come suggerisce il frammento di cui parlo. E spiegherebbe anche perché l’umanità di oggi sembra così inferiore a quella antica, perché i nostri antenati precipitarono nella barbarie, quando i loro padroni si estinsero, perché…

– Dio abbia misericordia di questa casa! – gridò Don Paulo, avanzando verso l’alcova. – Risparmiaci, o Signore… noi non sappiamo quello che facciamo.

– Io dovrei saperlo – mormorò lo studioso, rivolto a tutto il mondo lontano.

Il vecchio prete avanzò come una nemesi verso il suo ospite.

– Dunque noi siamo soltanto creature di altre creature, Signor Filosofo? Siamo stati fatti da dèi inferiori a Dio, e di conseguenza comprensibilmente meno che perfetti… senza nostra colpa, naturalmente.

– È soltanto una congettura che spiegherebbe molte cose – disse impettito il thon, non disposto a cedere.

– E che assolverebbe da molte colpe, non è vero? La ribellione dell’Uomo contro i suoi creatori era, senza dubbio, soltanto un giustificabile tirannicidio contro gli infinitamente malvagi figli di Adamo, dunque.

– Io non ho detto…

– Mostratemi, Signor Filosofo, questo brano straordinario!

Il Thon Taddeo si affrettò a frugare fra i suoi appunti. La luce cominciò ad ammiccare, quando i novizi che azionavano la dinamo si tesero per ascoltare. Il piccolo pubblico dello studioso era rimasto in uno stato di trauma fino a che l’ingresso tempestoso dell’abate non aveva mandato in frantumi l’ottuso sbigottimento degli ascoltatori. I monaci sussurravano tra loro; qualcuno osò ridere.

– Ecco qui – annunciò il Thon Taddeo, porgendo a Don Paulo parecchie pagine.

L’abate gli lanciò una breve occhiata fulminante e cominciò a leggere. Il silenzio era impacciato. – L’avete trovato nella sezione “Non classificati”, vero? – chiese, dopo pochi secondi.

– Sì, ma…

L’abate continuò a leggere.

– Bene, penso che dovrei finire di preparare i bagagli – mormorò lo studioso, e ricominciò a dividere i documenti. I monaci si agitavano irrequieti, come se desiderassero allontanarsi senza farsi notare. Kornhoer meditava, tutto solo.

Dopo pochi minuti di lettura, Don Paulo porse bruscamente gli appunti al priore. – Lege! – ordinò, burbero.

– Ma cosa…?

– Un frammento di commedia, o un dialogo, sembra. L’ho già visto prima. È qualcosa che parla di qualcuno che aveva creato alcuni esseri artificiali come schiavi. E gli schiavi si rivoltano contro il loro creatore. Se il Thon Taddeo avesse letto il De Inanibus del Venerabile Boedullus, avrebbe trovato questo frammento classificato come “probabile favola o allegoria”. Ma forse al thon non importerebbe molto la valutazione del Venerabile Boedullus, quando può darne una propria.

– Ma che specie di…

Lege!

Gault si trasse in disparte con gli appunti. Paulo si volse verso lo studioso e parlò con tono educato, informativo, enfatico: – “A immagine di Dio Egli li creò: maschio e femmina Egli li creò”.

– Le mie osservazioni erano pure congetture – disse il Thon Taddeo. – La libertà di speculare è necessaria…

– “E il Signore Iddio prese l’uomo, e lo mise nel paradiso di delizie, perché lo curasse. E…”

– …per il progresso della scienza. Se volete intralciarci la via con la cieca osservanza, con un dogma non ragionato, allora voi preferite…

– “Dio lo comandò, dicendo: Di ogni albero del paradiso tu potrai mangiare; ma non mangerai i frutti dell’albero della conoscenza del bene…”

– …lasciare il mondo nella stessa ignoranza e superstizione contro cui affermate che il vostro Ordine…

– “…e del male. Perché nel giorno in cui tu ne mangerai, tu morirai”.

– …ha lottato. Non potremmo neppure combattere la carestia, le malattie, le malformazioni, o rendere il mondo un po’ migliore di quanto è stato per…

– “E il serpente disse alla donna: Dio sa che nel giorno in cui voi ne mangerete, i vostri occhi saranno aperti, e voi sarete come Dèi, e conoscerete il bene e il male”.

– …dodici secoli, se ogni via di speculazione deve essere sbarrata e ogni pensiero nuovo denunciato…

– Non è mai stato migliore, e non sarà mai migliore. Sarà soltanto più ricco o più povero, più triste, ma non più saggio, fino all’ultimo giorno.

Lo studioso scrollò le spalle, in segno di impotenza. – Vedete? Sapevo che vi sareste offeso, ma mi avevate detto… Oh, a che serve? Voi avete la vostra versione!

– La “versione” che io stavo citando, Signor Filosofo, non era una versione del modo della creazione, ma una versione del modo in cui la tentazione portò alla Caduta. Questo vi è sfuggito? “E il serpente disse alla donna…”.

– Sì, sì. Ma la libertà di speculare è essenziale…

– Nessuno ha tentato di privarvene. E nessuno si è offeso. Ma abusare dell’intelletto per ragioni dell’orgoglio e della vanità, o per sfuggire alla responsabilità, è il frutto dello stesso albero.

– Mettete in dubbio l’onorabilità dei miei motivi? – chiese il Thon oscurandosi.

– Qualche volta metto in dubbio i miei. Non vi accuso di nulla. Ma chiedete questo a voi stesso: perché vi prendete diletto di balzare a una simile bizzarra congettura da un trampolino così fragile? Perché volete screditare il passato, fino al punto di disumanizzare l’ultima civiltà? Perché non avete bisogno di imparare dagli errori degli antichi? O forse non sopportate di essere soltanto un “riscopritore” e dovete convincervi di essere anche voi un “creatore”?

Il thon sibilò un’imprecazione. – Questi documenti dovrebbero essere affidati nelle mani di persone competenti – disse, incollerito. – Ch
e ironia è questa!

La luce vacillò e si spense.

———–

*Paolo Pegoraro (Vicenza, 1977) si è laureato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e in Letterature comparate presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Collabora da anni alle pagine culturali di numerose riviste, tra cui L’Osservatore Romano, La Civiltà Cattolica e Famiglia Cristiana.

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ZENIT Staff

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