Quaresima: il “risveglio” dell’anima

X Domenica del Tempo Ordinario, 13 marzo 2011

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 11 marzo 2011 (ZENIT.org).- Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: “Se tu sei figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei il Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra”. Gesù gli rispose: Sta scritto anche: “non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darà, se gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Allora Gesù gli rispose: “Vattene satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano (Mt 4,1-11).

Nel Messaggio per la Quaresima 2011, intitolato “Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti”, Benedetto XVI sintetizza così il significato di questo Vangelo: “Il combattimento vittorioso contro le tentazioni, che da’ inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità e vita. E’ un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male”.

All’inizio della sua missione, anche Gesù è ben consapevole della propria fragilità, infatti: “…egli fu crocifisso per la sua debolezza” (2Cor 13,4). Perciò la Quaresima è un cammino di solidarietà e di comunione con Colui che, venuto nel mondo per sanare la natura umana ferita dal peccato, ne sperimentò prima tutta la fragilità, escluso il peccato.

Dunque il primo impegno del percorso quaresimale, al termine del quale ci aspetta la Grazia pasquale “che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo” è questo: prendere coscienza della nostra fragilità. Detto diversamente si tratta di questo: la coscienza morale deve riemergere dal sonno, risvegliarsi ed esercitare tutte le sue funzioni di giudizio e retto sentire. Non si tratta solamente della concupiscenza dei sensi, ma di quella fragilità mentale e spirituale per causa della quale cadiamo facilmente nell’insensibilità e nell’inganno, quanto alla Carità e alla Verità della vita.

Infatti la coscienza, organo spirituale mirabile e delicatissimo che il Creatore dona ad ogni essere umano, nel contesto culturale attuale che pretende di vivere come se Dio non ci fosse, è caduta in un vero e proprio stato di “incoscienza”, avendo perduto il senso della peccato e il senso della vita. E’ questa la condizione drammatica in cui è caduta la società nel mondo intero, dalla quale è assolutamente necessario che venga “risvegliata”, pena l’autodistruzione dell’umanità.

La parola “risveglio” fa pensare, per contrasto, allo stato delle persone in coma ed alle questioni attuali legate al così detto “fine vita”. E’ chiaro che, al riguardo, è anzitutto chiamata in causa la coscienza personale.

I fatti sempre attuali di Eluana Englaro, dimostrano ed insegnano che la consapevolezza dell’umana fragilità deve essere molto di più che uno sguardo rivolto alla propria o altrui debolezza, fisica o morale. Infatti, la fragilità cui si riferisce Benedetto XVI (a commento dell’impressionante scena evangelica che mostra Gesù in balìa di satana), è una fragilità relativa: relativa ad un avversario sovrumano e molteplice, la cui forza è assolutamente preponderante sulla nostra buona volontà, trovandosi questa a lottare non semplicemente contro la propria debolezza, ma contro i dominatori di questo mondo tenebroso (Ef 6,12), cioè “il diavolo”.

Due anni fa, a vincere la partita contro la vita di Eluana non è stata solamente la cattiveria degli uomini, ma il diavolo, che per mezzo della menzogna ha fatto entrare la morte nella sua stanza, lei, infinitamente degna di vivere in quanto persona pienamente realizzata davanti a Dio nell’amore da cui era avvolta a Lecco (cfr Sap 2,24).

Del diavolo, Benedetto XVI ha affermato due cose: che “è all’opera”, e che “non si stanca”, caratteristiche entrambe facilmente riconoscibili nelle tentazioni odierne di Gesù. Vediamo infatti che, nel deserto, l’opera del diavolo ha preso di mira addirittura il Figlio dell’Altissimo, e che a satana non è bastata una prima sconfitta da parte di Gesù, poiché per ben tre volte lo incalza giungendo persino a volergli far rinnegare il Padre col proporre se stesso quale dio da adorare.

Ovviamente satana sa bene che non può nulla contro il Figlio di Dio, dal quale sarà in seguito più volte costretto all’obbedienza, tuttavia tale è l’odio e l’invidia che nutre per l’uomo, da voler indurre e far cadere nella tentazione, in Gesù, la debolezza di quell’umana natura che il Verbo incarnato ha assunto con tutta la sua fragilità.

E Gesù alla fine lo respinge decisamente: “Vattene satana!” (Mt 4,10). Apparentemente sembra che sia stato facile al Signore vincere, ma il particolare della visita degli angeli che “si avvicinarono e lo servivano” (Mt 4,11), ci fa supporre che il combattimento spirituale di Gesù sia stato un’agonia simile a quella dell’Orto degli Ulivi, dove “gli apparve un angelo dal cielo per confortarlo” (Lc 22,43) mentre era angosciato fino al sudore del sangue.

Alla luce di tutto ciò, possiamo comprendere che “prendere consapevolezza della nostra fragilità” significa fare nostra la coscienza del fanciullo Davide di fronte al gigante Golia: non c’è forza o abilità umana che possa sconfiggere un tale avversario, che sarà abbattuto non dalla mano di Davide, ma da quella di Dio che guiderà la pietra scagliata dalla sua fionda, come Davide stesso predice a Golia che lo disprezza prima del combattimento (1Sam 17,45s).

Perciò la coscienza della nostra fragilità davanti a Dio, non conduce certo alla pusillanimità o alla paura, ma alla fiducia totale nella sua onnipotenza. E’ una coscienza audace, lieta e determinata, certa com’è della vittoria divina, come esclama il salmista: “Ora so che il Signore da’ vittoria al suo consacrato; gli risponde dal suo cielo santo con la forza vittoriosa della sua destra” (Sal 20/19, 7).

Una simile coscienza deve infiammare gli apostoli della vita, consapevoli come sono (e devono essere), che: “la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Il drago vuole divorare “il bambino appena nato”(Ap 12,4), figura di Cristo, che Maria genera nella pienezza del tempo” (Gal 4,4)…ma in qualche modo anche figura di ogni uomo, di ogni bambino, specie di ogni creatura debole e minacciata…” (Enciclica Evangelium vitae, n. 104).

L’affermazione c
he “la vita è sempre al centro” di questa lotta diabolica, è un chiaro riferimento all’intero suo arco: dal primo istante del suo concepimento, all’ultimo del suo naturale ritorno a Dio, e la intendiamo sia dal punto di vista fisico oggettivo, sia da quello soggettivo dell’esperienza morale personale.

Nel Messaggio quaresimale, il Papa ricorda che il Battesimo “non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo” (id.).

Il fatto è che tale “forma” nuova, non ha completamente sostituito quella vecchia nemmeno nei battezzati, così che la misura della Grazia accolta è spesso insufficiente a vincere le seduzioni del male, cioè le tentazioni del diavolo.

Come si spiega e come si rimedia al prevalere, anche nei battezzati, dell’esperienza drammatica descritta per tutti da Paolo: “Nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra” (Rm 7,23)? Il motivo sta in una verità dimenticata: che la buona salute della coscienza dipende essenzialmente dalla preghiera, e oggi, anche molti tra gli stessi credenti non sanno o non vogliono più pregare.

Ascoltiamo questa riflessione quaresimale di san Giovanni Crisostomo: “La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. E’ infatti una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima – la coscienza – che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno” (Dalle “Omelie”, seconda lettura del Breviario, venerdì dopo le Ceneri).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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