La luce della Verità che illumina la storia

Una prima lettura della seconda parte del “Gesù di Nazareth”

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di Stefano Fontana*
 

ROMA, giovedì, 10 marzo 2011 (ZENIT.org).- Finalmente possiamo porci davanti all’intera opera su Gesù di Nazaret di Benedetto XVI. La seconda parte potrà illuminare così la prima e viceversa. Un’opera è sempre un tutto unitario e non un semplice assemblaggio perché è sempre il tutto che dà luce alle parti.

Non abbiamo così potuto non rifarci la domanda: perché Benedetto XVI ha deciso di scrivere questo libro? La risposta è ora uguale ad allora: per mostrare che Gesù è il Messia e che questa verità di fede e di ragione ad un tempo è oggi come sempre la Via verso la Verità e quindi verso la salvezza. Niente di meno di questo? Niente di meno.

Benedetto persegue questo scopo in ogni riga del suo libro, dalla Introduzione alla esposizione della passione, della morte e della resurrezione. Per poterlo seguire, però, e quindi per poter comprendere e godere della brillantezza delle sue osservazioni e della genialità delle sue ricostruzioni bisogna cogliere il suo punto di vista, che non è mai solo storico, ma presuppone sempre la verità della fede. La grande pretesa di questo libro è di mostrare come la luce della fede permetta di comprendere fino in fondo anche i fatti della storia e che non è tanto Gesù a mostrare il Messia ma il Messia a mostrare Gesù. I fatti rimarrebbero incomprensibili senza la luce della fede. Ratzinger lo aveva già espresso nella Introduzione del primo volume e poi vi si era attenuto in tutta la prima parte dell’opera. In questa seconda parte conferma questa prospettiva.

Facciamo il caso delle sue riflessioni sulla cronologia del racconto della Pasqua. I Vangeli sinottici propongono una cronologia degli avvenimenti diversa da quella del Vangelo di Giovanni. Per quest’ultimo la morte di Gesù avvenne all’ora nona del venerdì, alla vigilia della Pasqua ebraica, in concomitanza con il sacrificio degli agnelli nel Tempio di Gerusalemme. Per i Sinottici, invece, sarebbe avvenuta nel giorno della Pasqua ebraica. Dal punto di vista della verità di fede, la versione di Giovanni è più densa di significato: la Pasqua di Gesù non è la Pasqua di Israele, è una “nuova Pasqua” perché ora l’Agnello è lui stesso. Il fatto che il suo sacrificio avvenga nello stesso momento in cui avviene nel tempio quello degli agnelli è quindi teologicamente molto significativo. E questo dà un aiuto anche alla ricostruzione storica in quanto le tesi dei Sinottici, apparentemente più verosimili, possono venire contestate con argomenti ragionevoli, a favore della versione giovannea. La cronologia teologica illumina anche la cronologia storica.

Da ciò consegue anche che tutto il libro è un serrato confronto con l’Antico Testamento e con la religione ebraica. Ratzinger si cura di mostrare sia come Gesù Cristo non sia comprensibile senza il Vecchio Testamento, sia come Egli lo superi, proponendo se stesso come “Nuovo Israele”. Non è possibile eliminare la Legge antica: essa permane, inverata e superata, nella Legge Nuova, che è Gesù stesso. La dimensione sociale delle norme sul Sabato non viene negata dal divieto di anteporre il Sabato all’uomo, ma ripresa e confermata in una Nuova Alleanza, a dimostrazione che Gesù si pone come Dio. Lo stesso accade nel racconto del processo a Gesù condotto da Pilato che Benedetto racconta in questa seconda parte. Secondo Ratzinger l’attribuzione della colpa della morte del Messia ai “giudei” intesi come “popolo intero” è sbagliata. Il “deicidio” non è da far ricadere sui giudei e suoi loro discendenti. Il motivo di queste sue affermazioni è storico o teologico? Benedetto parte dalla luce della visione teologica: il sangue versato da Gesù non è di condanna ma di riconciliazione. Non richiede vendette ma l’amore incondizionato. Da questa luce egli poi scende anche all’analisi storica, linguistica, filologica per riscontrare, anche su questi terreni diciamo così profani, la conferma scientifica. Questa analisi scientifica dimostrerebbe che l’accusa dei Vangeli sarebbe indirizzata “ai sacerdoti del tempio” e non ai giudei in quanto popolo. Come si vede, la visione teologica e di fede non si aggiunge dopo che il metodo storico-critico ha fatto il suo corso e messo insieme i suoi dati, ma lo anticipa e instaura con esso un dialogo circolare.

Grandiose, in questo senso, le riflessioni sulla Verità a proposito del dialogo di Gesù con Pilato, che gli chiede appunto cosa sia la verità. La risposta di Gesù è che Lui, Cristo stesso, è la verità e che il suo Regno non è di questo mondo. Ratzinger qui approfitta sia per chiedersi perché Pilato lo abbia condannato, sia per impostare il rapporto tra la Verità di Dio e la società umana. Pilato non può aver condannato Gesù ritenendolo un pericolo politico: egli aveva detto con chiarezza che il suo regno non era di questo mondo. Più probabilmente – e realisticamente – Pilato deve essere stato condizionato da un timore superstizioso riscontrando in Gesù qualcosa i strano e dal pericolo di perdere la sua posizione nel caso di un eventuale evento nefasto. Quanto alla società umana, dice Benedetto, essa si accorge davanti a Gesù – che dice di essere la Verità – di averne bisogno, per non rimanere in balia del più forte. Anche in questo caso, quindi, l’annuncio della verità di fede diventa luce per illuminare – in un rapporto di circolarità – anche le realtà storiche ed umane.

Questo libro di Benedetto XVI è allora molto importante. Egli ha affermato più volte che lo ha scritto non da Papa ma da teologo e che quindi può anche venire contraddetto dagli studiosi. Eppure, nonostante questa diminutio, il libro svolge un ruolo molto importante non solo per dare un indirizzo ai teologi e agli esegeti, ma anche per farci capire meglio questo Papa e perfino la natura del suo pontificato.

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*Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa (http://www.vanthuanobservatory.org/).

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ZENIT Staff

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