Kushpur, il villaggio del martire Shahbaz Bhatti

di padre Piero Gheddo*

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ROMA, mercoledì, 9 marzo 2011 (ZENIT.org).- Dopo l’uccisione del governatore del Punjab, Salman Tasser, nel gennaio scorso, il 2 marzo scorso è stato ucciso a Islamabad, capitale del Pakistan, il ministro (da tre anni) per le minoranze religiose, il cattolico Shahbaz Bhatti, 43 anni, ambedue impegnati per abolire la “legge contro la bestemmia”, che ha portato alla condanna a morte di Asia Bibi, una giovane mamma cattolica, per aver offeso il profeta Maometto. Ma ormai è assodato che con quella legge qualunque cristiano (o indù) che dà fastidio può essere condannato a morte se due testimoni confermano l’accusa pretestuosa.

La stampa di tutto il mondo ha dato risalto a queste due uccisioni e le pressioni esercitate sul governo pakistano per abolire la legge assassina si sono moltiplicate. Ma ormai è chiaro a tutti che “chi tocca la legge antiblasfemia muore”. Il Pakistan si merita la definizione di “Stato canaglia”, poiché la persecuzione contro i cristiani non è un problema di oggi. Quando sono stato in Pakistan nel 1982, avevo visto in due città (Islamabad e Karachi) gruppi di famiglie cristiane che abitavano in baracche e casupole di periferia mandate via senza alcun risarcimento, che si erano rifugiate nella cattedrale cattolica e nei cortili del centro cattolico in città. E mi dicevano che questo non riguardava tutti gli abitanti di una certa periferia, ma solo quelli del quartiere cristiano.

Negli ambienti rurali, i rapporti fra musulmani e cristiani non erano ancora conflittuali, ma c’erano già i segni perché lo diventassero. Sono stato alcuni giorni a Kushpur, il paese natale di Shahbaz Bhatti. Quella visita mi ha impressionato e l’ho sempre ricordata perché mi aveva fatto capire da dove nasce, anche a livello di popolo, lo spirito anti-cristiano che ha portato alla legge contro la bestemmia. Kushpur si trova nella pianura del Punjab, tra Lahore e Faisalabad, un paese del tutto cattolico con 5.000 abitanti, fondato dai missionari cappuccini belgi che all’inizio del Novecento avevano comperato un vasto territorio forestale per raccogliere le famiglie cristiane disperse nel mare islamico circostante. Da Kushpur ha origine, nei tempi moderni, la cristianità pakistana attuale, cioè cristiani poveri e paria della società, venuti a disboscare la foreste e a farsi il proprio villaggio, che poi si diffondono in tutto il paese.

Nel 1982 la differenza tra Kuspur e i villaggi musulmani vicini era scioccante per vari motivi: la pulizia delle strade e delle case, la libertà delle donne che sorridono, si fermano, parlano, si lasciano persino fotografare (questo era considerato un crimine altrove), la vivacità dei ragazzi e ragazze nel gioco, l’unità delle famiglie (rigorosamente monogamiche) che ha permesso la fondazione di organismi cooperativistici per lo scavo dei pozzi, la canalizzazione dell’acqua, l’acquisto di trattori e altre macchine agricole, la commercializzazione dei prodotti delle terre, ecc. Soprattutto la presenza in Kushpur delle scuole anche medie. Nei villaggi musulmani vicini e lontani (ne ho visitati alcuni in varie regioni) era tutto il contrario di quanto ho detto. Le donne ad esempio, non si vedevano per le strade, la sporcizia regnava sovrana, ecc. Un missionario domenicano toscano, padre Schiavone incontrato a Faisalabad, mi diceva: “Kushpur, che in lingua punjabi significa ‘villaggio della felicità’, con la sua tradizione ed educazione cristiana, è un esempio concreto e ben visibile della differenza cha passa tra cristianesimo e islam e questo dà fastidio a molti”.

Sempre a Kushpur, il parroco locale don Anthony Rufin, mi diceva: “La fama che hanno i nostri cristiani presso i musulmani è di essere gente di cui ci si può fidare perché sono onesti. A Kushpur siamo riusciti a creare un certo benessere diffuso, a livello pakistano, ma negli altri villaggi ci sono casi di vera miseria e molti altri di pura sopravivenza. Nei villaggi islamici ci sono tante lotte e tante divisioni, clan familiari, invidie, vendette”. E raccontava che venivano anche da lontano gruppi di musulmani a vedere il villaggio cattolico, si scandalizzavano per le donne non velate e sorridenti, le ragazze che andavano a scuola e dicevano agli uomini che lavoravano la terra: “Ma voi, siete così stupidi che lavorate quando avete la moglie e i figli? Sono loco che debbono lavorare per voi”. A Kushpur le donne avevano una loro cooperativa (“Santa Caterina da Siena”), che si interessava di problemi femminili e dell’infanzia prendendo iniziative. Tutto questo, e molto altro, può far capire perché i cristiani, in Pakistan come in altri paesi islamici, danno fastidio.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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