Card. Tauran: “Non esiste un cristianesimo senza la croce”

Messa in suffragio del Ministro pakistano Shahbaz Bhatti

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ROMA, lunedì, 7 marzo 2011 (ZENIT.org).- “Non esiste un cristianesimo senza la croce”, e quest’ultima è la sede dell’“autentica speranza”, ha affermato il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, questa domenica presiedendo una Messa in suffragio di Shahbaz Bhatti, il Ministro pakistano ucciso il 2 marzo.

“La Croce ci spinge a dare la nostra vita per i fratelli”, ha ricordato il porporato nell’omelia della celebrazione, svoltasi presso il Pontificio Collegio San Pietro Apostolo di Roma. “Ci ricorda che l’amore è più forte dell’odio”, “ci fa comprendere meglio che c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

“La Croce significa che Dio è sempre più grande di noi uomini, e soprattutto che la vita è più forte della morte”, ha aggiunto.

In Gesù crocifisso, ha proseguito il Cardinale, “scopriamo anche un po’ dell’immensità dell’amore divino che redime. La croce ci rivela il volto misericordioso di Cristo, che ci apre sempre il cammino della speranza”.

Agire

“Essere cristiani è sempre fare una scelta”, ha ricordato: “tra la luce e le tenebre, tra la fede e la legge, tra la vita e la morte, tra il Dio rivelato da Gesù e la sapienza umana, tra servire e dominare”.

“Non si tratta però solo di ascoltare la Parola di Dio, di ricevere i sacramenti o di acquisire una buona conoscenza”, perché Gesù “desidera che il ‘dire’ sia accompagnato dal ‘fare’”.
 
“Se ci accontentassimo di essere cristiani solo sociologicamente, o peggio, cristiani la cui vita fosse in contraddizione con ciò che diciamo di Gesù, allora correremmo il rischio di sentirci dire un giorno: ‘Via da me, non vi conosco’”.
 
Per il Cardinale, “la vita luminosa di Shahbaz Bhatti” si pone come esempio: “aveva scelto Cristo come salvatore, la Chiesa come madre, ogni essere umano come fratello. Fu coerente fino alla fine. La sua vita fu e rimarrà per sempre una vita immolata, un sacrificio offerto a Dio”.

“Poiché, da bambino e da uomo, Shahbaz ha fatto sì che Gesù incrociasse il suo sguardo e aprisse il suo cuore, egli non ha più avuto alcuna paura, anzi ha avuto il coraggio di servire i suoi fratelli cristiani e non cristiani, il proprio Paese, di offrire i suoi servizi alla Chiesa, a rischio della propria vita”.

“Dobbiamo rendere grazie a Dio per aver messo sulla nostra strada quest’autentico ‘martire’, cioè ‘testimone’ della fede cristiana, che ha saputo ‘dire’ e ‘fare’”.

“Se Gesù ha detto ‘Nessuno mi toglie la mia vita, ma sono io che la offro’ (Gv 10, 18), Shahbaz Bhatti ha potuto dire: ‘Non ho più parole da dire, dedico la mia vita a Gesù!’”.

Testimone esemplare

“Non esiste un cristianesimo senza la croce”, ha ricordato il Cardinal Tauran.

“Il messaggio evangelico disturberà sempre. Ma l’amore dei cristiani per tutti sarà sempre luce, consolazione e solidarietà in mezzo alla violenza”, ha indicato.

“Non mancheranno mai cristiani capaci di portare la luce del Vangelo nell’umano senza distruggerlo, ma purificandolo”.

Il porporato ha quindi ricordato le due Eucaristie che ha celebrato a Islamabad e a Lahore, nel novembre scorso.

“Domenica 28 novembre, il ministro Bhatti venne a salutarmi all’aeroporto di Lahore e mi disse: ‘So che mi uccideranno. Offro la mia vita per Cristo e per il dialogo interreligioso’”, ha confessato.

In questo contesto, il Cardinal Tauran ha esortato alla solidarietà con i cattolici pakistani, ai quali ha chiesto di far giungere un “messaggio di comunione nella fede, la speranza e la carità”.

“Spesso si sentono soli, senza protezione. Aspettano molto dalla comunità internazionale”, ha aggiunto.

Allo stesso modo, ha chiesto a Dio di far capire meglio cosa vuol dire “dare la propria vita per i fratelli”.

“In fondo – ha concluso –, il peccato, il mistero del male che sembra dominare la scena del mondo, ha forse molto semplicemente la funzione di dare a Dio la gioia di perdonare, e ci sprona ad essere, sulle strade della vita dove Gesù ci precede, araldi della sua presenza, convinti che da Lui riceviamo adesso la riconciliazione, per essere a nostra volta riconciliatori degli uomini con Dio per mezzo della Croce”.

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ZENIT Staff

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