Il portavoce vaticano denuncia la legge anti-blasfemia in Pakistan

“Una legge che in sé è veramente blasfema”, afferma padre Lombardi

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ROMA, domenica, 6 marzo 2011 (ZENIT.org).- Opporsi alla legge anti-blasfemia in Pakistan può costare la vita sia ai musulmani che ai cristiani. E’ la denuncia fatta da padre Federico Lombardi, Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, nell’editoriale di questa settimana di “Octava Dies”, del Centro Televisivo Vaticano. 

In questo modo il sacerdote gesuita è voluto intervenire nel dibattito suscitato dall’uccisione in Pakistan del musulmano, Salman Taseer, governatore del Punjab (il 4 gennaio scorso dalla propria guardia del corpo) e del cattolico, Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze del Governo pakistano (il 2 marzo per mano di gruppo di uomini armati).

“Tutti e due sono stati uccisi per lo stesso motivo: perché si opponevano alla legge sulla blasfemia, una legge che in sé è veramente blasfema, perché in nome di Dio è causa di ingiustizia e di morte”, ha spiegato padre Lombardi.

“Tutti e due – ha aggiunto – sapevano bene che rischiavano la vita, perché erano stati esplicitamente minacciati di morte. E tuttavia non hanno rinunciato alla loro lotta per la libertà religiosa, contro il fanatismo violento, e ne hanno pagato il prezzo più alto con il loro sangue”.

Il portavoce vaticano ha quindi ricordato che nel discorso al Corpo diplomatico sulla libertà religiosa, in gennaio, Benedetto XVI aveva reso omaggio al sacrificio coraggioso del musulmano Taseer e che poche settimane fa il ministro Bhatti aveva dichiarato: “Pregate per me. Sono un uomo che ha bruciato le sue navi alle sue spalle: non posso e non voglio tornare indietro in questo impegno. Combatterò l’estremismo e mi batterò per la difesa dei cristiani fino alla morte”.

“Ora la sua figura già grandeggia come quella di un valoroso testimone della fede e della giustizia”, ha commentato Lombardi. E infatti, secondo quanto riferito dall’agenzia Fides, la Conferenza episcopale del Pakistan, che si riunirà per la sua Assemblea generale a Multan, in Punjab, dal 20 al 25 marzo, esaminerà la proposta di inoltrare ufficialmente alla Santa Sede la richiesta di dichiarare “martire” Shahbaz Bhatti.

“Mentre questi due assassinii ci riempiono d’orrore e d’angoscia per la sorte dei cristiani del Pakistan – ha affermato il portavoce vaticano –, allo stesso tempo ci ispirano paradossalmente anche un sussulto di speranza, perché associano un musulmano e un cristiano nel sangue versato per la stessa causa”.

“Non vi è più solo dialogo di conoscenza reciproca o dialogo negli impegni comuni per il bene delle persone. Dal dialogo nella vita si passa al dialogo della testimonianza nella morte, a prezzo del proprio sangue, perché il nome di Dio non sia stravolto a strumento d’ingiustizia”.

“Nella memoria di Taseer e di Bhatti – ha aggiunto –, nella commossa gratitudine per come hanno vissuto e come sono morti, i veri adoratori di Dio continueranno a lottare – e se necessario a morire – per la libertà religiosa, la giustizia e la pace”.

“Quale più forte incoraggiamento a camminare insieme verso Assisi?”, si è chiesto infine.

Le norme sulla blasfemia – per la precisione gli articoli 295B e 295C del Codice Penale pakistano – sono state introdotte in Pakistan tra il 1980 e il 1986 per garantire il rispetto verso la religione musulmana e prevedono pene tra cui la pena di morte per chi insulta il profeta Maometto e l’ergastolo per la profanazione del Corano. In base a questa normativa, sono stati censurati anche alcuni siti Internet.

Secondo i dati pubblicati dalla Commissione nazionale Giustizia e Pace della Conferenza episcopale del Paese, dal 1986 al 2009, 964 persone sono state arestate con l’accusa di aver profanato il Corano o insultato il profeta Maometto. Di questi 479 sono musulmani, 119 cristiani, 340 della setta ahmadi (che il Governo non riconosce come musulmana), 14 indù e 10 di altre religioni.

La legge anti-blasfemia viene utilizzata di frequente come pretesto per risolvere questioni private o da parte dei fondamentalisti islamici per colpire con violenze e intimidazioni le minoranze religiose, che in Pakistan costituiscono il 4% della popolazione.

Finora nessuno è stato giustiziato per blasfemia dallo Stato ma oltre 20 persone sono state uccise fuori dal sistema giudiziario, anche se alcune erano state formalmente assolte dai giudici, perché l’accusa di blasfemia suscita spesso reazioni molto forti che possono spingere gruppi estremisti o fanatici a farsi giustizia da sé.

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ZENIT Staff

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