di Robert Cheaib
ROMA, mercoledì, 20 ottobre 2010 (ZENIT.org).- L’esodo dei cristiani dal Medio Oriente è un dilemma, ma può anche essere un kairos, a condizione che i cristiani mantengano vivo il fuoco della fede nel loro cuore.
In questa seconda parte dell’intervista, padre Samir Khalil, facendo tesoro della sua ampia conoscenza della situazione mediorientale nelle sue sfumature religiose, politiche e culturali, spiega la necessità della presenza cristiana in Medio Oriente non solo per la Chiesa universale ma anche per gli stessi musulmani.
La prima parte dell’intervista è stata pubblicata il 19 ottobre.
La proposta di «laicità positiva» non può avere successo in ambito islamico perché la laicità – ‘elmaniyya in arabo – suona come allontanamento da e abbandono di Dio a favore della mondanità. Crede che l’altro concetto proposto, ossia lo «Stato civico» avrà più fortuna, o l’Oriente sceglierà la proposta islamista il cui slogan è «al-islam huwa l-ḥall», [l’islam è la soluzione/risposta], deluso dal fallimento religioso, morale e identitario dell’Occidente?
Samir Khalil: L’Occidente, a dire il vero, è andato troppo lontano fino a dissolvere le radici della propria identità. Ricordiamoci del discorso del Papa a Regensburg nel 2006 dove la critica era essenzialmente alla cultura occidentale che è andata oltre l’Illuminismo fino a identificare la cultura con il materialismo.
La sua domanda fa riferimento alla forza dell’islam integralista. Il ragionamento degli integralisti è il seguente: l’Occidente ha un progetto di civiltà, ma il suo modello è un modello di corruzione: la perversione e il libertinaggio sessuale, l’adulterio, la dissoluzione della famiglia, l’aborto… è un progetto inaccettabile per l’islam che lo vede come corrotto e lontano da Dio. La modernità predicata dall’Occidente è ormai sinonimo di ateismo e immoralità. Per loro il cristianesimo, identificato a sua volta con l’Occidente, è finito. Similmente, il marxismo e il socialismo hanno fallito agli occhi di tutti. La soluzione è l’islam, e la prova è che quando in passato abbiamo applicato l’islam alla lettera abbiamo conquistato tutto il mediterraneo. È questo il ragionamento che ha fatto Gheddafi quando ha visitato l’Italia di recente: «L’Europa nel 2050 sarà a maggioranza musulmana». La sua previsione si avvererà se l’atteggiamento dei cristiani non cambia.
Tanti cristiani orientali sono stanchi delle esortazioni a rimanere nelle loro terre, soprattutto perché queste esortazioni vengono da chi vive nell’Occidente ricco e libero. Gli atti degli apostoli al capitolo ottavo parlano della prima persecuzione dei cristiani, che disperse la comunità (ad eccezione degli apostoli). Questo evento negativo, si rivelò successivamente come un kairos che permise ai cristiani di diffondere il Vangelo altrove. Non crede che la situazione attuale che sta causando l’esodo e la fuga dei cristiani possa essere un segno dei tempi?
Samir Khalil: Tante persone in Medio Oriente mi dicono: «Rimanere qui diventa sempre più difficile. E sebbene ancora ce la facciamo, non sappiamo però come sarà per i nostri figli». Io do una riposta in tre punti: in primo luogo, nessuno ti può obbligare a rimanere. Ogni famiglia ha il diritto di decidere dove vivere e come. Non tocca a noi perché siamo preti dire loro se devono rimanere. Aggiungo, però, un secondo punto: se a livello personale, forse è meglio per te emigrare in Canada o in Australia o in Francia, non lo è a livello comunitario e generale: se tutti facessero come te, questa regione si ritroverebbe presto senza cristiani; proprio nella terra della nascita del cristianesimo non ci sarebbero più cristiani. Abbiamo quindi una grande vocazione e responsabilità.
Il terzo punto: se ci troviamo tutti nella diaspora, possiamo ancora mantenere la nostra identità orientale? È difficile mantenere la cultura e la tradizione d’origine più di due o tre generazioni. E questo, di nuovo, non è un problema personale, ma un problema a livello di Chiesa universale: se una tradizione orientale sparisce, questo costituisce per tutta la Chiesa una grande perdita. Giovanni Paolo II diceva che la Chiesa ha due polmoni, la Chiesa orientale e la Chiesa occidentale. Se una di queste realtà venisse a mancare, la Chiesa si ridurrebbe a un solo polmone e le mancherebbe il respiro.
Pertanto, dico ai cristiani: che voi emigriate o rimaniate, non è questa la vera questione; la cosa essenziale è mantenere la vostra fede. Proponete la fede ai vostri figli; e se vedete dove andate che molti cristiani non hanno più fede trasmettetegliela.
Ciò che lei dice a partire dal libro degli Atti è che la missione è partita da un evento difficile imprevisto, e che si è rivelato come una chance per la fede stessa. Ma questo è accaduto a una sola condizione: avevano il fuoco della fede nel cuore. Se noi, invece, partiamo avendo nel cuore la brama del denaro, la nostra emigrazione non porterà a nulla. L’essenziale è che questo fuoco del Vangelo rimanga nel cuore. Se rimani in Egitto, Libano e Siria mantieni questo fuoco per trasmetterlo ai fratelli dell’islam. Se vai in America o altri Paesi, trasmettilo ai tuoi nuovi concittadini.
È sufficiente dare consigli e orientamenti pastorali ai cristiani d’Oriente per farli rimanere in Oriente? Non crede piuttosto che sia necessario sostenerli economicamente, sapendo che in Libano, ad esempio, gli sciiti sono stati fortemente sostenuti economicamente dall’Iran e i sunniti dai paesi del Golfo, e questo fatto gli ha permesso di migliorare la loro condizione sociale e politica?
Samir Khalil: Credo che il nostro problema in Medio Oriente non sia finanziario. Prendiamo il caso del Libano: nel Paese abbiamo dei miliardari in ogni quartiere di Beirut. Ci sono tante opere di carità in Libano lanciate dai cristiani. Gli aiuti pervenuti dall’estero, cui lei accenna, vengono come parte di una propaganda politica che la Chiesa non può fare perché essa non è una nazione. E non esiste nessuna nazione cristiana per farlo. Certamente gli immigrati possono aiutare, e sappiamo che molti immigrati contribuiscono al sostentamento dei loro familiari. Questo aiuto può essere migliorato, ma non è ciò che risolve il problema. C’è bisogno di progettazione, di offrire progetti chiari e sicuri, di modo che i soldi da chiedere ai benefattori cristiani abbiano un percorso rintracciabile, e non vengano rubati lungo il loro percorso fino alle opere concrete. E in questo il nostro clero non dona bei esempi di affidabilità visto l’attaccamento poco evangelico alle apparenze e alle ricchezze. Quindi risuona di nuovo l’invito alla conversione, a purificare la nostra vita per renderla più consona al Vangelo.
Il Sinodo è stato coperto principalmente da due sole reti televisive mediorientali (entrambe libanesi). Si lamenta pure la scarsa copertura dei media italiani. A che cosa è dovuto questo fatto: al pregiudizio che quello che i Vescovi diranno rimarrà solo inchiostro su carta? All’indifferenza verso ciò che vive e dice la Chiesa? Oppure al disinteresse riguardo al Medio Oriente?
Samir Khalil: Mi domando forse se il fatto sia semplicemente dovuto alla presenza di pochi giornalisti arabi che seguono le notizie a Roma. O forse si sono chiesti: ma che cosa può fare un Vescovo per cambiare la situazione in Iraq, in Palestina o in Libano? I cattolici sono una piccola minoranza in Egitto quindi i copti e i musulmani se ne disinteressano. Gli unici che possono seguire il Sinodo sia per interesse sia per capacità sono i giornalisti del Libano.
Per quanto riguarda i giornali occidentali credo che partano da un concetto di consumismo: non confezionano un prodotto se non sanno che venderà e che porterà guadagno. Le testate
purtroppo non valutano l’importanza degli argomenti e degli eventi in sé ma si lasciano condizionare dall’audience. Uno scoop scandalistico o sessuale vende molto di più di un Sinodo che cerca lentamente la sua strada. Alcune volte la colpa è nostra. La gente non viene informata né sugli eventi né sul loro senso e neppure sulla loro importanza. Credo che in questo ambito il Libano faccia tanto: tramite ZENIT, Télé Lumière o Lbc. Questo contributo mediatico dona al Libano il suo posto d’avanguardia per tutti i cristiani in Medio Oriente.
Per concludere, secondo lei quali sono gli atteggiamenti che renderanno fruttuoso l’investimento di risorse umane ed economiche in questo Sinodo?
Samir Khalil: Credo che l’atteggiamento principale che devono assumere i partecipanti sia la sincerità, e il senso critico per puntualizzare con schiettezza e chiarezza ciò che non va, ciò che va e ciò che è migliorabile. Per quanto riguarda l’atteggiamento che auspico per i cristiani d’Oriente, credo che debbano avere a priori uno sguardo favorevole. In fondo, nel Sinodo si investono tante risorse positive: si parla di migliaia di ore di lavoro e di fatica che coinvolgono un gran numero di persone impegnate a fare del loro meglio. Perciò direi che l’atteggiamento corrispondente dei cristiani debba essere la serietà: si tratta del nostro futuro, non del futuro dei Vescovi, ma del futuro di diversi milioni di cristiani e non solo dei cattolici.
Nel suo intervento il signor Mohammad Sammak ha ribadito il ruolo che i cristiani hanno giocato nel formare l’identità del Medio Oriente, affermando che senza di loro la nostra società non sarebbe più quella che è. I cristiani hanno giocato nella storia passata e recente un ruolo fondamentale arricchendo la società araba, culturalmente sociologicamente, politicamente e spiritualmente. Affinché questo ruolo non sia un ricordo del passato ma una realtà del presente i cristiani – Vescovi e fedeli – devono privilegiare la comunione – non solo tra di loro ma anche con gli altri, con i musulmani. E devono anche vivere la missione, non nel senso di un proselitismo sbiadito, ma vivere l’essenza del Vangelo che è un annuncio, una bella notizia di cui noi, modestamente, siamo araldi.