“La fuga dei cristiani dal Medio Oriente è una catastrofe per l’islam”

Intervista al consigliere politico del Mufti della Repubblica Libanese

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di Tony Assaf e Robert Cheaib

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 16 ottobre 2010 (ZENIT.org).- L’immigrazione cristiana dal Medio Oriente e i suoi effetti sulla presenza musulmana e sull’identità della regione. Il bisogno che i musulmani mediorientali hanno dei cristiani per realizzare la loro vocazione storica come singoli e come comunità. Il documento storico trascurato che sancisce il dovere religioso di ogni musulmano credente di essere custode dei cristiani e dei loro luoghi di culto “sino al giorno della risurrezione”.

Questi e tanti altri sono gli argomenti al centro dell’intervista di ZENIT con il signor Muhammad al-Sammak, consigliere politico e religioso del Mufti della Repubblica Libanese, e invitato speciale al Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente.

Il contenuto del suo intervento al Sinodo rappresenta l’opinione di tutti i musulmani sunniti in Medio Oriente, o è solo la visione di una fazione? E che cosa si aspetta come musulmano dal Sinodo?

Muhammad al-Sammak: La posizione esposta nell’intervento sinodale rappresenta la dottrina islamica, e io sono un musulmano impegnato sia che parli in Vaticano sia che parli nella sacra Mecca. Ciò che ho detto è fedele all’insegnamento islamico, e non credo che un vero musulmano credente possa distanziarsi da questa posizione. Pertanto, anche nella fase preparatoria al discorso ho fatto un giro di consultazioni con il premier libanese, l’Associazione Mondiale della Chiamata islamica, nonché il consiglio generale dell’iniziativa del re Abdullah per il dialogo tra le culture e le religioni, visto che l’Arabia Saudita è il primo punto di riferimento nel mondo islamico. Per questo, credo che il testo esprima il parere del mondo islamico in generale.

Rimanendo nell’ambito del suo discorso nella congregazione sinodale dove lei afferma: “Facilitare l’emigrazione dei cristiani significa costringerli a emigrare. Ripiegarsi su se stessi significa soffocare lentamente”. Secondo lei, cosa dovrebbe fare concretamente il Sinodo per evitare l’emigrazione dei cristiani del Medio Oriente?

Muhammad al-Sammak: È chiaro che il testo del mio intervento è un invito, non solo a incoraggiare i cristiani a rimanere nei loro Paesi d’origine, ma anche ad aiutarli per rimanervi. E l’aiuto non dovrebbe venire soltanto da referenze come il Vaticano o il Sinodo dei Vescovi; dovrebbe venire anche dalle autorità politiche locali e dalle società civili delle quali i cristiani fanno parte. Vi è una responsabilità comune islamo-cristiana. A mio parere, i cristiani dovrebbero rinunciare all’idea dell’emigrazione dal Medio Oriente. E, d’altro canto, i musulmani dovrebbero rendersi conto che l’emigrazione cristiana costituisce in verità una catastrofe per loro in primo luogo. Pertanto, è dovere civico dei musulmani contribuire affinché la presenza cristiana in Medio Oriente riprenda la sua credibilità e il suo ruolo, e non rimanga solo una mera presenza, affinché il Medio Oriente ritorni a essere ciò che è stato nel corso dei secoli: culla della religione, della cultura e della civiltà.

Quale posizione devono prendere i cristiani come presenza sociale e politica in Libano riguardo alle divisioni interne nell’islam tra sunniti e sciiti? È sufficiente prendere una posizione di “neutralità positiva” come suggerisce, Sateh Nour ed-Din, un opinionista politico musulmano, che afferma: “I cristiani non devono fare altro che adottare una posizione di neutralità positiva tra i sunniti e gli sciiti”. La neutralità proposta non è piuttosto una posizione negativa, passiva e marginale?

Muhammad al-Sammak: I cristiani in Libano non sono dei meri spettatori, e non sono neppure un elemento esteriore per riconciliare degli elementi interni alla struttura nazionale come se fossero dei fattori esterni. Il Libano alla sua origine nasce come risposta al bisogno cristiano. E la costituzione della nazione libanese avviene nel 1920 quale responso a tale bisogno particolare. Il ruolo dei cristiani in Libano non può essere ridotto alla riconciliazione fra forze politiche o religiose. Il ruolo cristiano è fondatore ed essenziale. Non è possibile, quindi, immaginare i cristiani come passivi spettatori o consiglieri. La nazione li riguarda in ogni sua parte. E dobbiamo essere ben chiari che gran parte della sofferenza cristiana in Medio Oriente è dovuta alla diminuzione del ruolo cristiano in Libano, che si riflette negativamente sullo spirito dei cristiani nel resto della regione. Favorire la presenza cristiana in Medio Oriente deve partire necessariamente dal Libano che è la nazione-messaggio della convivenza civile tra musulmani e cristiani.

Lei afferma che il ruolo dei cristiani in Libano è “fondatore ed essenziale”, e durante il suo intervento al Sinodo dei Vescovi, ha detto: “Posso vivere il mio islam con qualunque altro musulmano di ogni stato ed etnia, ma in quanto arabo orientale, non posso vivere la mia essenza di arabo senza il cristiano arabo orientale”. Ma esistono altre visioni nell’islam del Medio Oriente che considerano i cristiani come residui delle Crociate da eliminare con ogni mezzo a disposizione, e guardano ai cristiani come ad alleati e spie dell’Occidente, considerato erroneamente il regno politico e religioso dei cristiani! Di fronte a questa duplicità, i cristiani si trovano davanti a un difficile crocevia. Quale di questi due volti è il vero islam?

Muhammad al-Sammak: Questo argomento richiede una lunga trattazione che non è possibile in questa sede. Ma partiamo dai dati storici. Il cristianesimo è più antico dell’islam in Oriente. Vi sono chiese che sussistono ancora e che sono state costruite molto prima della nascita del Profeta Mohammad e dell’avvento dell’islam. Vorrei riportare un episodio documentato che racconta la visita al Profeta da parte di una tribù cristiana in Najran nella penisola arabica. L’ambasceria venne per scoprire la nuova religione di cui ricevette notizia. Il Profeta li accolse nella sua casa che è il secondo luogo più sacro dell’islam, dove si erge adesso la moschea di Medina. Si intrattennero col Profeta per una giornata intera, pranzando e cenando insieme, e quando venne l’ora del vespro, il Profeta li invitò a pregare a casa sua, ma essi preferirono pregare fuori. L’esito dell’incontro è stato un documento chiamato “il patto di Najran”. Esso riguarda tutti i cristiani e impegna religiosamente i musulmani fino al giorno della risurrezione. Il dovere dei musulmani è rispettare i cristiani e proteggerli e tutelare i loro luoghi di culto. Il patto vieta al musulmano di costruire una casa o una moschea utilizzando pietre impiegate precedentemente da chiese cristiane. Vi sono anche altri temi interessanti che ho inserito in uno studio in 15 punti che riguardano ogni musulmano. Pertanto, quando qualcuno dice che i cristiani sono una novità aggiunta in Medio Oriente, io chiedo: come possono esserlo, e sono più antichi nella regione dei musulmani come documentano gli stessi scritti sacri della tradizione islamica?

Si dice poi che i cristiani in Medio Oriente siano residui delle Crociate. Ma come potrebbero esserlo, se in verità, sono stati loro stessi danneggiati da queste Crociate, a partire dal saccheggio di Costantinopoli fino alle coste occidentali del Mediterraneo. Queste affermazioni fatte da fazioni dell’islam sono mere supposizioni basate su una cultura erronea. Vi è poi un altro problema: alcuni musulmani guardano all’Occidente come se fosse la cristianità. Questo non è vero. So bene che il compianto Papa Giovanni Paolo II ha invocato con tenacia la menzione delle radici cristiane dell’Europa nella Costituzione unificata dell’Unione Europea. Ma il testo finale è uscito senza il minimo riferimento a queste radici. Non è quindi giusto far pesare sulle spalle del cristianesimo e dei cristiani le scelte dell’Occidente. Non è giusto aggravare i cristiani della responsabilità del conflitto tra islam e Occidente. Queste pro
blematice sono ignote per tanti musulmani che giungono a conclusioni sbagliate basandosi su presupposti errati. Per questo è fondamentale diffondere una corretta cultura che corregge questi preconcetti.

Parlando di emigrazione cristiana dal Medio Oriente, sentiamo diversi musulmani affermare che essa è una grande perdita in primo luogo per i musulmani. Cosa fate concretamente per evitare o mettere fine a questo fenomeno?

Muhammad al-Sammak: Nel limite delle nostre capacità cerchiamo di sensibilizzare i musulmani sulla grave perdita che la fuga e l’emigrazione dei cristiani infligge sul Medio Oriente. A causa di questo esodo, l’Oriente perde la sua identità, la sua pluralità, lo spirito di tolleranza e del rispetto reciproco. Anche a livello di pratica religiosa, il musulmano ha bisogno dell’altro cristiano per praticare i valori morali della sua fede, come la tolleranza e il rispetto. Pertanto, l’immigrazione lacera e sfibra il tessuto ricco di questo Oriente indebolendo le nostre società e conducendole a un pericoloso precipizio.

In aggiunta, se i cristiani emigrano, l’immagine che trasmettiamo è che i musulmani sono intolleranti verso i cristiani in Medio Oriente. Agli occidentali verrebbe naturale dedurre che i musulmani non sanno e non possono convivere con gli altri, e quindi come potranno convivere con noi? Questo si rifletterebbe molto negativamente sui circa 500 milioni di musulmani che vivono in società non musulmane. Quale sarà il loro destino? È quindi un vantaggio per i musulmani preservare la presenza cristiana in Medio Oriente.

Si è parlato nel Sinodo di “laicità positiva”, e alcuni prelati hanno suggerito di modificare la terminologia per essere più consona con la sensibilità islamica contemporanea, proponendo l’espressione “Stato civile”. È possibile dogmaticamente, in una religione come l’islam che si considera al contempo “religione e Stato” (D­­īn wa dunya), arrivare a una idea di nazione civile e pluralistica che sostituisce lo Stato teocratico?

Muhammad al-Sammak: Questo tipo di ricerca non è nuovo nell’islam. Da noi in Libano, il compianto imam Mohammad Shams el-Din aveva proposto a suo tempo il progetto dello Stato civile, ossia l’idea di una nazione credente dove lo Stato rispetta la pluralità delle fedi, e anche la non credenza. La fede infatti è una questione di coscienza, è il rapporto tra Dio e l’uomo, e Dio giudica ognuno. Il Corano dice: “Non c’è forzatura nella religione”. Questo versetto non significa solo “non forzare nessuno a credere”, ma anche “non vi può essere fede con costrizione”. Su questo principio possiamo costruire il concetto dello Stato civile. Lo Stato deve rispettare la religione, i riti religiosi divenendo allo stesso tempo una nazione per tutti. Di questo si è parlato già in tanti incontri musulmani, perciò è una questione sulla quale si può discutere.

Il dialogo religioso è un fenomeno in corso da diversi decenni. Alcuni, però, criticano tale dialogo affermando che esso avviene solo tra leader religiosi e che rimane solo come inchiostro su carta, senza incarnarsi nella vita quotidiana della gente normale. Quale è il suo parere come membro attivo nel cammino di dialogo islamo-cristiano? E quale lo stato di salute del dialogo oggi?

Muhammad al-Sammak: Credo innanzitutto che non vi è alternativa al dialogo. Quando qualcuno afferma: “il dialogo è inutile”, io ribatto: “qual è l’alternativa?!”. Questo è un punto di partenza fondamentale.

La mia teoria sul dialogo è la seguente: dialogare è l’arte di trovare la verità nell’opinione dell’altro. Io non possiedo la verità. Già il fatto di cominciare a dialogare con l’altro significa che io confesso di non avere il monopolio della verità, ma che sono un suo ricercatore. Significa anche che la potrei trovare nell’opinione e nella visione dell’altro, perciò rispetto l’altro e rispetto la sua visione. Tale concetto di dialogo costruisce ponti di reciprocità che si distingue dal rispetto vicendevole.

E il dialogo per noi non è solo teorico. Noi non perdiamo occasione per arrivare alla gente, tramite i centri culturali, le pubblicazioni, le trasmissioni televisive, le interviste, gli incontri. Organizziamo anche incontri residenziali ove raduniamo giovani cristiani e musulmani che trascorrono da una a tre settimane insieme, lavorando insieme, ascoltandosi gli uni gli altri, vedendo come ognuno prega e vive la sua vita e la sua fede. A questi incontri partecipano giovani da diversi Paesi del Medio Oriente ma anche dall’Europa. Negli incontri tematici tocchiamo argomenti molto attuali come la libertà di coscienza, il diritto di cittadinanza, la libertà religiosa. Tutto ciò non basta. Il lavoro deve essere più largo, ma questo è ciò che è in nostro potere e noi crediamo che è urgente diffondere questa cultura in tutte le fasce della società.

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ZENIT Staff

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