di Andrea Kirk Assaf
ROMA, giovedì, 14 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Mentre i padri sinodali, riuniti in Vaticano, iniziavano il secondo giorno di incontri sul Medio Oriente, un’altra convegno si è svolto Oltretevere, con la presentazione e la discussione di argomenti non dissimili da quelli al cento del Sinodo.
L’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede e la Pontificia Università Gregoriana hanno ospitato un incontro dal titolo “Building Bridges of Hope: Success Stories and Strategies for Interfaith Action”.
Tra i relatori del convegno, selezionati per rappresentare le tre fedi abramitiche – Cristianesimo, Islam ed Ebraismo -, vi era anche monsignor Elias Chacour, Arcivescovo di Akka, San Giovanni d’Acri, Tolemaide dei Greco-Melkiti (Israele) che si trova a Roma per il Sinodo dei Vescovi.
In rappresentanza dell’Amministrazione del presidente Obama era presente, come relatore principale, Joshua DuBois, direttore dell’Ufficio della Casa Bianca per le partnership religiose e di vicinato. ZENIT ha parlato con l’organizzatore dell’evento, l’ambasciatore Miguel Díaz.
Questo convegno è stato pianificato proprio perché coincidesse con il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente?
Díaz: La coincidenza del convegno con i giorni del Sinodo è stata meravigliosa. Inizialmente avevamo scelto la data per poter svolgere il convegno insieme all’Università Gregoriana, in questo bellissimo spazio, e per questo dovevamo farlo prima dell’inizio dell’anno accademico a ottobre. E poi è andata benissimo che il tema del nostro convegno si legasse perfettamente con i lavori del Sinodo per le Chiese orientali del Medio Oriente.
Quali sono le motivazioni dietro la scelta del tema e del titolo sulla costruzione di ponti?
Díaz: In parte, le motivazioni di questo convegno risalgono a poco più di un anno fa, quando il presidente Obama ha pronunciato, al Cairo, un discorso in cui ha invitato le comunità religiose a passare dal dialogo all’azione. Abbiamo pensato che un modo per dare seguito a questo invito fosse di organizzare un convegno sull’azione interreligiosa.
Dovevamo mettere insieme cristiani, musulmani ed ebrei per affrontare ciò che ritengono siano le tre grandi sfide dei nostri tempi: sviluppo equo, risoluzione dei conflitti e cura dell’ambiente. D’altra parte, questi sono anche tre temi centrali dell’enciclica Caritas in veritate di Papa Benedetto.
In questo modo è stato possibile mettere insieme i segni dei nostri tempi, le questioni identificate dal Santo Padre e l’invito del presidente Obama alle diverse comunità religiose di entrare in dialogo e di impegnarsi in azioni comuni.
Come è stato strutturato il convegno al fine di creare un dialogo costruttivo tra i rappresentanti delle diversi fedi?
Díaz: Abbiamo iniziato condividendo le esperienze positive, come abbiamo fatto questa mattina, per poi passare a delineare strategie che possano favorire la collaborazione e l’amicizia tra i rappresentanti dei diversi gruppi religiosi in queste tre aree dei cambiamenti climatici, dello sviluppo, e della soluzione dei conflitti.
Direi quindi che in sostanza, ciò che stiamo facendo, è creare ponti, ponti di speranza, condividendo le esperienze ed elaborando strategie comuni su specifiche questioni. Devo dire che questo è un inizio, non una conclusione, ed è un umile inizio. Dovremo coinvolgere più partner, più uomini e donne di buona volontà, che si impegnino in questo progetto.
Proprio mentre i padri sinodali si stanno riunendo, insieme ad osservatori non cattolici, crede che il suo convegno rappresenti un punto d’incontro per coloro che svolgono un lavoro comune pur appartenendo a tradizioni religiose diverse?
Díaz: Il lavoro che i padri sinodali stanno facendo sul Medio Oriente è cruciale per la costruzione della pace e per il rispetto della libertà religiosa. D’altra parte, con questo convegno stiamo costruendo la pace e favorendo il rispetto della libertà religiosa, consentendo a ciascuno degli oratori di esporre le convinzioni religiose che hanno dato forma alle loro idee e azioni e di farlo in modo non distruttivo, come purtroppo sentiamo troppo spesso, ma piuttosto nel solco di un programma costruttivo.