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Santo Padre,
Eminenze, Beatitudini, Eccellenze,
Delegati Fraterni delle Chiese Sorelle
e delle Comunità Ecclesiali
Care Sorelle e fratelli, invitati ed esperti
Ringrazio innanzitutto Sua Santità il Papa per avermi nominato Relatore Generale dell’Assemblea. È la prima volta che assumo un incarico così imponente. Cercherò di portarlo a termine facendo del mio meglio, contando sull’aiuto del Signore e sulla vostra indulgenza.
Prefazione
San Luca, negli Atti, ci dice che Gesù, al momento di lasciare i suoi, diede loro questa consegna: “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Gli Apostoli realizzarono questa missione appena ebbero ricevuto lo Spirito Santo e si misero ad annunciare senza paura la Buona Novella della vita, della morte e della risurrezione del Signore (cfr. At 2,32). Il frutto del primo annuncio di Pietro fu la conversione e il battesimo di circa tremila persone, cui seguirono molti altri. La loro vita si trasformò radicalmente. “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune” (At 4,32).
Sono questi eventi fondanti che hanno ispirato il tema e gli obiettivi della nostra Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi: Comunione e testimonianza, testimonianza comunitaria e personale, derivante da una vita ancorata in Cristo e vivificata dallo Spirito Santo. Questo esempio della Chiesa degli Apostoli è sempre stato il modello della Chiesa nei secoli. La nostra Assemblea sinodale vorrebbe aiutarci a ritornare a quell’ideale, per una revisione della vita che ci dia un nuovo slancio e una nuova vitalità, che ci purifichino, ci rinnovino e ci fortifichino.
È dalle mani del Santo Padre personalmente che abbiamo ricevuto l’Instrumentum laboris di questa Assemblea speciale, nel corso della sua Visita apostolica a Cipro, volendo, con questo, esprimere la sua particolare sollecitudine per le nostre Chiese. La solenne concelebrazione eucaristica presieduta da Sua Santità ieri mattina è la prova migliore della benedizione divina su questa Assemblea. Certi di questo sostegno e contando sull’aiuto e sull’accompagnamento della Madonna, intraprendiamo i nostri lavori con fiducia.
Introduzione
Tutti abbiamo accolto l’annuncio di questa Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi con grande gioia, entusiasmo, gratitudine e fervore. Vi abbiamo visto, da parte del Santo Padre, l’accoglienza paterna e comprensiva di un desiderio che ci era molto caro e la particolare sollecitudine del Vescovo di Roma verso le nostre Chiese, in quanto Pastore Supremo della Chiesa cattolica. Avevamo già sentito questa speciale attenzione in molte occasioni e con frequenza nei discorsi e nelle omelie di Sua Santità. L’abbiamo toccata in modo particolare nei suoi Viaggi Apostolici in Turchia (2006), poi in Giordania, Israele e Palestina (2009) e di recente a Cipro (2010). Ma la presenza odierna del Santo Padre in mezzo a noi viene a portarci l’amore, la solidarietà, la preghiera e il sostegno del Successore di Pietro, della Santa Sede e di tutta la Chiesa.
Subito dopo che il Santo Padre aveva annunciato l’evento, il 19 settembre 2009, la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ha preparato, con il Consiglio Presinodale per il Medio Oriente, innanzitutto il testo dei Lineamenta e poi quello dell’Instrumentum laboris. Quest’ultimo si basa in primo luogo sulla Sacra Scrittura e fa riferimento principalmente ai documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali e al Codice di Diritto Canonico. Una particolare attenzione è data anche alle dieci Lettere Pastorali del Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente. Credo che il lavoro sia stato portato a buon fine, nonostante la fretta dovuto al pochissimo tempo a disposizione.
Vorrei indicare i seguenti punti che possono essere approfonditi nel corso dei nostri lavori, con riferimento all’Instrumentum laboris</i>.
A. OBIETTIVO DEL SINODO (3-6)
Il duplice obiettivo del Sinodo è stato ben recepito e apprezzato dalle nostre Chiese:
1) Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità, grazie alla Parola di Dio e ai Sacramenti.
2) Rinnovare la comunione ecclesiale fra le Chiese sui iuris, affinché possano offrire una testimonianza di vita autentica ed efficace. Nel contesto in cui viviamo, la dimensione ecumenica, il dialogo interreligioso e l’aspetto missionario sono parte integrante di questa testimonianza.
Il documento insiste sulla necessità e sull’importanza che i Padri Sinodali diano ai cristiani dei nostri Paesi le ragioni della loro presenza, ciò per confermarli nella loro missione di essere e rimanere dei testimoni autentici di Cristo risorto in ciascuno dei loro Paesi. In condizioni di vita a volte molto difficili ma anche promettenti, essi sono l’icona di Cristo, l’incarnazione viva della Sua Chiesa e il canale tangibile dell’azione dello Spirito Santo.
B. RIFLESSIONE GUIDATA DALLE SACRE SCRITTURE (7-12)
Ci sentiamo fieri di appartenere a terre dove uomini ispirati dallo Spirito Santo hanno scritto i Libri Sacri in alcune delle nostre lingue. Ma questo fa sì che abbiamo anche degli obblighi esigenti. La Sacra Scrittura deve essere l’anima della nostra vita religiosa e della nostra testimonianza e, questo, sia comunitariamente che individualmente. La sacra Liturgia costituisce il centro e il punto culminante della nostra vita ecclesiale. In essa celebriamo e ascoltiamo regolarmente la Parola di Dio. Alla luce della Sacra Bibbia, letta, pregata e meditata in Chiesa, in piccoli gruppi o personalmente, dobbiamo cercare e trovare le risposte al senso della nostra presenza, della nostra comunione e della nostra testimonianza, adeguate al contesto e alle sfide di sempre nuove circostanze.
Il documento richiama l’attenzione sull’insufficienza della risposta alla grande sete che i nostri fedeli hanno della Parola di Dio, di comprenderla e radicarla nel loro cuore e nella loro vita. Si dovrebbero pensare, lanciare, incoraggiare e sostenere iniziative adeguate e proporzionate al bisogno, utilizzando anche i moderni media. Le persone che, in virtù della loro vocazione, sono più direttamente a contatto con la Parola di Dio, sono tenute ad un impegno di testimonianza e d’intercessione per il popolo di Dio. Sempre efficace e fruttuosa è la memorizzazione di testi.
Nell’esegesi e nella presentazione del senso delle Scritture deve essere messa in evidenza la “storia della Salvezza”. Essa rivela l’unico piano divino che si realizza nel tempo, in uno stretto legame fra l’Antico e il Nuovo Testamento, avente il suo centro e culmine in Cristo. Essendo il Libro della comunità cristiana, solo in essa il testo biblico può essere interpretato correttamente. La Tradizione e l’insegnamento della Chiesa, soprattutto nei nostri Paesi d’Oriente, sono dunque un riferimento insostituibile per la comprensione e l’interpretazione della Bibbia.
La Parola di Dio è la fonte della teologia, della spiritualità e della vitalità apostolica e missionaria. Essa illumina la vita, la trasforma, la guida e la rende solida. Qualche persona ignorante o malintenzionata usa la Bibbia come un libro di ricette o di pratiche superstiziose. Spetta a noi educare i nostri fedeli e non dare credito a queste cose. La Parola di Dio illumina anche le scelte comunitarie e personali, per rispondere alle sfide della vita, ispirare il dialogo ecumenico e interreligioso e riorientare l’impegno politico. Dovrebbe dunque essere il punto di riferimento dei cristiani nell’educazione e nella testimonianza. Essa aiuterà così gli uomini di buona volontà a trovare esito alla loro
ricerca di Dio.
I. LA CHIESA CATTOLICA IN MEDIO ORIENTE
A. SITUAZIONE DEI CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE
1. Breve excursus storico: unità nella molteplicità (13-18)
La conoscenza della storia del cristianesimo in Medio Oriente è importante sia per noi che per tutto il mondo cristiano. Su queste terre Dio ha scelto e guidato i Patriarchi, Mosè e il popolo dell’Antica Alleanza. Ha parlato attraverso i Profeti, i giudici, i re e le donne di fede. Nella pienezza dei tempi, Gesù Cristo, il Salvatore, vi si è incarnato, vi ha vissuto, vi ha scelto e formato i suoi discepoli e vi ha compiuto la sua opera di salvezza. La Chiesa di Gerusalemme, nata il giorno di Pentecoste, è stata l’origine di tutte le Chiese particolari, che hanno continuato e continuano attraverso il tempo l’azione di Cristo, per opera dello Spirito Santo, sotto la guida del Papa, successore di Pietro.
Dopo piccoli contrasti all’inizio del suo cammino, la Chiesa ha conosciuto successive divisioni nei Concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451). Così sono nate la “Chiesa Apostolica Assira d’Oriente” e le “Chiese Ortodosse Orientali”: copta, siriaca e armena. Nel secolo XI, vi fu una grande scissione fra Costantinopoli e Roma. Queste divisioni sono avvenute su questioni teologiche, ma i motivi politico-culturali hanno giocato il ruolo principale. Gli studi storici e teologici hanno il compito di illustrare meglio questi periodi e avvenimenti drammatici, per contribuire al dialogo ecumenico.
Frutto amaro del passato, tutte queste divisioni esistono ancora oggi nei nostri Paesi. Grazie a Dio, lo Spirito opera nelle Chiese perché si realizzi la preghiera di Cristo: “Siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
2. Apostolicità e vocazione missionaria (19-23)
Le nostre Chiese, benedette dalla presenza di Cristo e degli Apostoli, sono state la culla del cristianesimo e delle prime generazioni cristiane. Proprio per questo hanno la vocazione di mantenere viva in loro la memoria delle origini, di consolidare la fede dei propri fedeli e di vivificare in essi lo spirito del Vangelo affinché guidi la loro vita e i loro rapporti con gli altri, cristiani e non cristiani.
Essendo di origine apostolica, le nostre Chiese hanno, a loro volta, la particolare missione di cooperare all’annuncio del Vangelo. Lo studio della storia missionaria delle nostre Chiese aiuterebbe a spronare quello slancio evangelico che aveva caratterizzato le nostre origini. “L’essere missionari” è un dovere gratuito che s’impone a tutti, in quanto Chiese radicate nelle origini, e in virtù del nostro patrimonio, tanto ricco e differenziato. Di ciò che abbiamo ricevuto, dobbiamo far beneficiare quanti ne sono privati. Le nostre Chiese devono impegnarsi a vivificare al loro interno lo slancio evangelico missionario.
Questa apertura all’azione dello Spirito ci aiuterà a condividere con i nostri numerosi connazionali la ricchezza dell’amore e la luce della speranza che sono in noi (cfr. Rm 5,5). Infatti: “Siamo, in mezzo alla società in cui viviamo, un segno della presenza di Dio nel nostro mondo. Questo ci invita ad essere ‘con’, ‘dentro’, e ‘per’ la società in cui viviamo. È una richiesta essenziale della nostra fede, della nostra vocazione e della nostra missione” [1]. “La Chiesa non si misura statisticamente in base ai numeri, ma nella coscienza viva che i suoi figli hanno della loro vocazione e della loro missione” [2]
Per garantire il futuro delle nostre Comunità, i Pastori devono accordare una speciale attenzione alla pastorale delle vocazioni, attraverso strumenti adeguati ed efficaci, soprattutto fra i giovani e le famiglie. Grazie a Dio, le nostre Chiese hanno vocazioni ma alcune diocesi ed eparchie ne sono gravemente carenti. Forse, dobbiamo cominciare a vivere “l’essere missionari” fra le nostre eparchie/diocesi e fra le nostre Chiese della regione. L’esempio di sacerdoti, di religiosi e religiose fedeli, felici, aperti e uniti, è il mezzo migliore per attirare i giovani alla consacrazione totale a Dio. Questo Sinodo potrebbe essere l’occasione per rivedere lo stile, i metodi e i programmi nei seminari e nelle case di formazione.
Il coordinamento e l’aiuto reciproco fra le congregazioni, gli ordini religiosi e i Vescovi, contribuiscono a suscitare vocazioni. Sarà necessario anche trovare metodi appropriati per sostenere e rafforzare le congregazioni e gli istituti di vita consacrata. La vita contemplativa deve essere incoraggiata laddove essa c’è. Con la preghiera possiamo preparare il terreno all’azione dello Spirito per suscitarla laddove essa non c’è. Gli Ordini religiosi presenti nei nostri Paesi potrebbero prendere l’iniziativa di aprire delle comunità in altri luoghi o Paesi della regione.
3. Ruolo dei cristiani nella società, nonostante il loro numero esiguo (24-31)
Le nostre società, nonostante le differenze, hanno caratteristiche comuni: l’attaccamento alla tradizione, il modo tradizionale di vivere, il confessionalismo e la differenziazione in base alla religione. Questi fattori possono avvicinare e unire, ma anche allontanare e dividere. I cristiani sono, nei loro Paesi, dei “cittadini nativi”, membri a pieno diritto della loro comunità civile. Sono a casa loro, e spesso da molto tempo. La loro presenza e partecipazione alla vita del Paese sono una ricchezza preziosa, da proteggere e da mantenere. Una laicità positiva permetterebbe alla Chiesa di dare un contributo efficace e fruttuoso e aiuterebbe a rafforzare lo status di cittadino di tutti i membri del Paese, sulla base dell’uguaglianza e della democrazia.
Nella sua azione pastorale, culturale e sociale, la Chiesa ha bisogno di utilizzare maggiormente e meglio la tecnologia e i moderni mezzi di comunicazione. È necessario formare, a tale scopo, quadri specializzati. I cristiani orientali devono impegnarsi per il bene comune, in tutti i suoi aspetti, come hanno sempre fatto. Possono aiutare a creare condizioni sociali che favoriscano lo sviluppo della personalità e della società, in sinergia con gli sforzi delle autorità politiche. Benché siano delle piccole minoranze, il loro dinamismo è illuminante e apprezzato. Hanno bisogno di essere sostenuti e incoraggiati a mantenere questo atteggiamento, anche in circostanze difficili. Il consolidamento della loro vita di fede, come pure del legame sociale e della solidarietà fra loro, li aiuterebbe molto, evitando i ripiegamenti su se stessi in un atteggiamento di chiusura.
Con la presentazione della Dottrina Sociale della Chiesa, le nostre comunità offrono un valido contributo alla costruzione della società. La promozione della famiglia e la difesa della vita dovrebbero avere un posto primario nell’insegnamento e nella missione delle nostre Chiese. L’educazione è un campo privilegiato della nostra azione ed un investimento essenziale. Nella misura del possibile, le nostre scuole potrebbero aiutare maggiormente i meno favoriti. Con le sue attività sociali, sanitarie e caritative, accessibili a tutti i membri della società, esse collaborano visibilmente al bene comune. Questo è possibile grazie alla generosità delle Chiese locali e alla carità della Chiesa universale. Per assicurare la sua credibilità evangelica, la Chiesa deve trovare i modi per garantire la trasparenza nella gestione del denaro, distinguendo chiaramente ciò che le appartiene da ciò che appartiene al personale della Chiesa. A questo scopo, sono necessarie strutture adeguate.
B. LE SFIDE CHE I CRISTIANI DEVONO AFFRONTARE
1. I conflitti politici nella regione (32-35)
Le situazioni politico-sociali dei nostri Paesi hanno una ripercussione diretta sui cristiani, che risentono più fortemente delle conseguenze negative. Nei Territori Palestinesi la vita è molto difficile e, spesso, insostenibile. La posizione dei cristiani arabi è molto delicata. Pur condannando la violenza da dovunque provenga, e invocando
una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese, esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese, la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Ascoltare la voce dei cristiani del luogo potrà aiutare a capire meglio la situazione. Lo statuto di Gerusalemme dovrebbe tener conto della sua importanza per le tre religioni: cristiana, musulmana ed ebrea.
È triste che la politica mondiale non tenga sufficientemente conto della drammatica situazione dei cristiani in Iraq, che sono la vittima principale della guerra e delle sue conseguenze. In Libano, una maggiore unità fra i cristiani contribuirebbe ad assicurare una maggiore stabilità nel Paese. In Egitto le Chiese avrebbero molto da guadagnare se coordinassero i loro sforzi allo scopo di confermare nella fede i loro fedeli e realizzare opere comuni per il bene del Paese.
In base alle possibilità presenti in ogni Paese, i cristiani devono favorire la democrazia, la giustizia e la pace, la laicità positiva nella distinzione fra religione e Stato e il rispetto di ogni religione. Un atteggiamento di impegno positivo nella società è la risposta costruttiva sia per la società sia per la Chiesa.
2. Libertà di religione e di coscienza (36-40)
I diritti umani sono la base che garantisce il bene della persona umana integrale, criterio di ogni sistema politico. Questo deriva dall’ordine stesso della creazione. Colui che non rispetta la creatura di Dio secondo l’ordine da Lui stabilito, non rispetta il Creatore. La promozione dei diritti umani ha bisogno di pace, giustizia e stabilità.
La libertà religiosa è una componente essenziale dei diritti dell’uomo. La libertà di culto non è che un aspetto della libertà religiosa. Nella maggior parte dei nostri Paesi, essa è garantita dalle costituzioni. Ma anche qui, in alcuni Paesi, certe leggi o pratiche ne limitano l’applicazione. L’altro aspetto è la libertà di coscienza, basata sulla libera scelta della persona. La mancanza di questa ostacola la libera scelta di quanti avrebbero voluto aderire al Vangelo, che temono anche misure vessatorie nei loro confronti e nei confronti delle loro famiglie. Essa può esistere e svilupparsi solo in misura della crescita del rispetto dei diritti dell’uomo nella loro totalità e nella loro integralità.
L’educazione, in questo senso, è un apporto prezioso al progresso culturale del Paese, per una maggiore giustizia e uguaglianza davanti al diritto. La Chiesa cattolica condanna fermamente ogni tipo di proselitismo. Sarebbe bene discutere serenamente tali questioni nelle istituzioni e istanze di dialogo, in primo luogo all’interno di ogni Paese. I numerosi istituti di istruzione di cui le nostre Chiese dispongono sono uno strumento privilegiato per favorire questa educazione. I centri ospedalieri e di servizi sociali costituiscono anch’essi una testimonianza eloquente dell’amore per il prossimo, senza alcuna distinzione né discriminazione. La valorizzazione di giornate, eventi e celebrazioni locali e internazionali dedicati a questi temi, aiutano a diffondere e a rafforzare questa cultura. I mass media devono essere utilizzati per diffondere questo spirito.
3. I cristiani e l’evoluzione dell’Islam contemporaneo (41-42)
A partire dagli anni settanta, constatiamo nella regione l’avanzata dell’Islam politico, che comprende diverse correnti religiose. Esso colpisce la situazione dei cristiani, soprattutto nel mondo arabo. Vuole imporre un modello di vita islamico a tutti i cittadini, a volte con la violenza. Costituisce dunque una minaccia per tutti, e noi dobbiamo, insieme, affrontare queste correnti estremiste.
4. L’emigrazione (43-48)
L’emigrazione in Medio Oriente ha avuto inizio verso la fine del XIX secolo, per cause politiche ed economiche. I conflitti religiosi sono stati determinanti in alcuni periodi drammatici. Attualmente, nei nostri Paesi, l’emigrazione si è accentuata. Le cause principali sono il conflitto israelo-palestinese, la guerra in Iraq, le situazioni politiche ed economiche, l’avanzata del fondamentalismo musulmano, la restrizione delle libertà e dell’uguaglianza. A partire, sono soprattutto i giovani, le persone istruite e le persone agiate, privando la Chiesa e il Paese delle risorse più valide.
Spetta ai responsabili politici consolidare la pace, la democrazia e lo sviluppo, per favorire un clima di stabilità e di fiducia. I cristiani, con tutte le persone di buona volontà, sono chiamati ad impegnarsi positivamente nella realizzazione di questo obiettivo. Sarebbe di grande aiuto in questa direzione, una maggiore sensibilizzazione delle Istanze internazionali al dovere di contribuire allo sviluppo dei nostri Paesi. Le Chiese particolari d’Occidente potrebbero avere la loro influenza benefica ed efficace in questa azione. I Pastori dovrebbero rendere i fedeli più consapevoli del loro ruolo storico: essi sono portatori del messaggio di Cristo nel loro Paese, anche nelle difficoltà e persecuzioni. La loro assenza inciderebbe gravemente sul futuro. È importante evitare qualsiasi discorso disfattista o incoraggiare l’emigrazione come opzione preferenziale.
D’altra parte, l’emigrazione rappresenta un sostegno notevole ai Paesi e alle Chiese. La Chiesa del Paese d’origine deve trovare i mezzi per mantenere stretti legami con i suoi fedeli emigrati e assicurare loro l’assistenza spirituale. È indispensabile assicurare la Liturgia, nel loro rito, ai fedeli delle Chiese orientali che si trovano in un territorio latino. Non è auspicabile una liquidazione delle proprietà in patria. La conservazione o l’acquisizione di beni fondiari li incoraggerebbe a ritornare. Le comunità della Diaspora hanno il ruolo di incoraggiare e consolidare la presenza cristiana in Oriente in vista di renderne più forte la testimonianza e sostenerne le cause, per il bene del Paese. Una pastorale adeguata deve prendersi cura dell’emigrazione all’interno del Paese.
5. L’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente (49-50)
I Paesi del Medio Oriente conoscono un nuovo importante fenomeno: l’accoglienza di molti lavoratori africani e asiatici, in maggioranza donne. Spesso si trovano a dover affrontare situazioni di ingiustizia e di abusi, di infrazioni alle leggi e alle convenzioni internazionali. Le nostre Chiese devono fare uno sforzo maggiore per aiutarli, con l’accoglienza e con l’accompagnamento religioso e sociale. Hanno bisogno di una pastorale adeguata, in un’azione coordinata fra i Vescovi, le Congregazioni religiose e le Organizzazioni sociali e di beneficienza.
C. RISPOSTE DEI CRISTIANI NELLA LORO VITA QUOTIDIANA (51-53)
La testimonianza cristiana a tutti i livelli è la risposta principale nelle circostanze in cui vivono. Fin dalle origini, la vita monastica vi occupa un posto importante. La vita contemplativa orante ha anche come missione l’intercessione per la Chiesa e la società.
Il perfezionamento della testimonianza cristiana, col seguire sempre di più Gesù Cristo, è un’esigenza necessaria a tutti i livelli: clero, Ordini, Congregazioni, Istituti e Società di vita apostolica; e anche laici, secondo la vocazione propria di ciascuno. La formazione del clero e dei fedeli, le omelie e la catechesi devono approfondire e rendere più forte il senso della fede e la coscienza del ruolo e della missione nella società, come traduzione e testimonianza di questa fede. Bisogna realizzare un rinnovamento ecclesiale: conversione e purificazione, approfondimento spirituale, determinazione della priorità della vita e della missione.
Uno sforzo particolare deve essere fatto per individuare e formare i “quadri” necessari a tutti i livelli. Questi devono essere un modello di testimonianza, per sostenere e incoraggiare i loro fratelli e sorelle soprattutto in tempi difficili. È opportuno anche formare quadri per presentare il cristianesimo sia ai cristiani poco in contatto con la Chiesa o lontani da essa, sia ai non cristiani. La
qualità dei quadri è più importante del numero. È indispensabile la formazione permanente. Una particolare attenzione deve essere data ai giovani, forza del presente e speranza del futuro. I cristiani devono essere incoraggiati ad impegnarsi nelle istituzioni pubbliche per la costruzione della città comune.
II. LA COMUNIONE ECCLESIALE
La diversità nella Chiesa cattolica, lungi dal nuocere alla sua unità, ansi la valorizza. Il mistero della Santa Trinità è il fondamento della comunione cristiana. La Chiesa è mistero e sacramento di comunione. L’amore è al centro di questa realtà: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12). Messi continuamente a confronto con le sfide del pluralismo, siamo chiamati ad una conversione costante per passare dalla mentalità del confessionalismo ad un senso autentico di Chiesa.
A. COMUNIONE NELLA CHIESA CATTOLICA E TRA LE DIVERSE CHIESE (55-56)
I segni principali che manifestano la comunione nella Chiesa cattolica sono: il Battesimo, l’Eucaristia e la comunione con il Vescovo di Roma, Corifeo degli Apostoli (hâmat ar-Rusul). Il C.C.E.O. regola gli aspetti canonici di questa comunione, accompagnata e assistita dalla Congregazione per le Chiese Orientali e dai diversi Dicasteri romani.
Fra le Chiese cattoliche in Medio Oriente, la comunione è espressa dal Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente (C.P.C.O.). Le loro lettere pastorali sono documenti di grande valore e di grande attualità. In ogni Paese, la comunione è rafforzata dall’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi o dalla Conferenza episcopale. In uno spirito di fraternità e di cooperazione, essa studia i problemi comuni, dà delle direttive per sostenere la testimonianza cristiana e coordina le attività pastorali. È auspicabile che un’Assemblea regionale riunisca l’Episcopato del Medio Oriente, secondo un ritmo periodico stabilito dal Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente. Anche se le Chiese sui iuris sono aperte a tutti i fedeli cattolici, bisogna accuratamente evitare di allontanarle dalla loro Chiesa d’origine.
È opportuno sottolineare anche le relazioni fra le nostre Chiese d’Oriente e la Chiesa della tradizione latina (“Chiesa d’Occidente”). Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Abbiamo bisogno della loro preghiera, della loro solidarietà e della loro lunga e ricca esperienza spirituale, teologica e culturale. Anche loro hanno bisogno delle nostre preghiere, del nostro esempio di fedeltà al nostro ricco e vario patrimonio delle origini e alla nostra unità nella varietà e molteplicità. “L’antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso semplicemente come oggetto da custodire passivamente” [3]. La comunione fra Chiese non vuol dire affatto uniformità ma amore reciproco e scambio di doni.
B. COMUNIONE TRA I VESCOVI, IL CLERO E I FEDELI (57-62)
In una stessa Chiesa, la comunione avviene sul modello della comunione con la Chiesa universale e con il Vescovo di Roma. Nella Chiesa Patriarcale, essa si esprime mediante il Sinodo dei Vescovi attorno al Patriarca, Padre e Capo della sua Chiesa. Nell’Eparchia, si realizza attorno al Vescovo, che deve vigilare sull’armonia del tutto. Strutture di lavoro d’insieme e di coordinamento pastorale contribuiranno a consolidare la comunione. Essa può essere realizzata solo sulla base di strumenti spirituali, in particolare la preghiera, l’Eucaristia e la Parola di Dio. I Pastori, le persone consacrate, gli animatori e i responsabili diocesani e parrocchiali, hanno la grande responsabilità di essere esempio e modello per gli altri. Questo Sinodo ci offre l’occasione per una seria revisione di vita, in vista di una conversione effettiva. Il suo tema è illuminato dal modello della comunità cristiana primitiva: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola”.
La partecipazione dei fedeli laici alla vita e alla missione della Chiesa è un postulato indispensabile della comunione. Le strutture apparenti possono nascondere una passività o un ruolo puramente esecutivo. I laici dovrebbero partecipare effettivamente alla riflessione, alla decisione e all’esecuzione. In unione con i Pastori, vanno incoraggiate le loro iniziative pastorali valide e positive come pure il loro impegno nella società. Bisogna valorizzare ampiamente il posto e il ruolo della donna, religiosa o laica, nella Chiesa. I Consigli pastorali, parrocchiali, diocesani e nazionali devono essere valorizzati. Le Associazioni e Movimenti internazionali devono adattarsi maggiormente alla mentalità, alle tradizioni, alla cultura e alla lingua della Chiesa e del Paese che li accoglie e operare in stretto coordinamento con il Vescovo locale. È grandemente raccomandabile l’integrazione nella tradizione orientale. Questo vale anche per le Congregazioni religiose di origine occidentale.
III. LA TESTIMONIANZA CRISTIANA
A. TESTIMONIARE NELLA CHIESA: LA CATECHESI
1. Una catechesi per oggi, da parte di fedeli ben preparati (62-64)
Essere cristiani significa essere testimoni di Cristo, vivificati e guidati dallo Spirito Santo. La Chiesa esiste per rendere testimonianza al suo Signore. È il suo annuncio principale. Questa testimonianza si trasmette attraverso l’esempio, le opere e la catechesi, soprattutto l’iniziazione alla fede e ai sacramenti. Essa deve rivolgersi a tutte le fasce d’età, bambini, giovani e adulti. Dopo una buona preparazione, i giovani possono essere dei buoni catechisti per altri giovani. Genitori ben preparati parteciperanno all’attività catechetica in famiglia e in parrocchia. Le scuole cattoliche, le associazioni e i movimenti apostolici sono luoghi privilegiati per l’insegnamento della fede.
La presenza e l’assistenza di un direttore spirituale accanto ai giovani e alle altre fasce d’età sono un aiuto prezioso alla formazione religiosa, in quanto favoriscono l’applicazione della fede alla vita concreta. Nelle parrocchie, nelle istituzioni educative e culturali, la formazione religiosa avrà un luogo adeguato e terrà conto dei reali problemi e sfide attuali. Si dovrà assicurare una buona formazione degli educatori della fede. Senza la testimonianza della loro vita, l’operato dei catechisti rimarrà sterile. Essi sono innanzitutto dei testimoni del Vangelo. La catechesi deve anche promuovere i valori morali e sociali, il rispetto per l’altro, la cultura della pace e della non violenza, come pure l’impegno per la giustizia e per l’ambiente. La Dottrina Sociale della Chiesa, di solito poco presente, costituisce parte integrante della formazione della fede.
2. Metodi di catechesi (65-69)
L’attività catechetica non può limitarsi oggi alla sola trasmissione orale. I metodi attivi sono indispensabili. I bambini e i giovani amano le attività di gruppo: attività liturgiche e sportive, cori, scout e altre. Laddove non ci sono, dovrebbero essere organizzate, ma stando attenti a non farle diventare delle semplici attività sociali, senza lo spazio per la formazione della fede.
I nuovi media sono molto efficaci per annunciare il Vangelo e testimoniarlo. Le nostre Chiese hanno bisogno di persone esperte in questo campo. Forse, potremmo aiutare i più dotati a formarsi in questi settori e, successivamente, inserirli in questo lavoro. In Libano, “La Voix de la Charité” (Sawt al-Mahabba) e soprattutto “TéléLumière/Noursat”, offrono un grande servizio ai cristiani della nostra regione e arrivano agli altri continenti. Altri Paesi hanno intrapreso iniziative simili. Tutti hanno bisogno di sostegno e di incoraggiamento.
La catechesi deve prendere in considerazione il contesto conflittuale dei Paesi della regione. Essa deve rafforzare i fedeli nella fede, formarli a vivere il comandamento dell’amore e ad essere artefici di pace, di giustizia e di perdono. L’impegno nella vita pubblica
è un dovere che la testimonianza e la missione di edificare il Regno di Dio impongono. Tutto questo richiede una formazione volta a superare il confessionalismo, il settarismo e le ostilità interne per vedere il volto di Dio in ogni persona e collaborare assieme per costruire un futuro di pace, di stabilità e di benessere.
B. UNA LITURGIA RINNOVATA E FEDELE ALLA TRADIZIONE (70-75)
La liturgia “è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”[4]. Nelle nostre Chiese orientali, la Divina Liturgia è al centro della vita religiosa. Essa svolge un ruolo importante nel conservare l’identità cristiana, rafforzare l’appartenenza alla Chiesa, vivificare la vita di fede e suscitare l’attenzione di quanti sono lontani e anche di coloro che non credono. Essa costituisce dunque un annuncio e una testimonianza importanti di una Chiesa che prega e non soltanto che agisce.
Il rinnovamento della liturgia è ampiamente auspicato. Pur continuando ad essere radicato nella tradizione, terrà conto della sensibilità moderna e dei bisogni spirituali e pastorali attuali. Per un lavoro di riforma liturgica è necessaria una commissione di esperti. È necessario anche adattare i testi liturgici per le celebrazioni dei bambini e dei giovani, sempre ispirandosi al proprio patrimonio. Per questo lavoro, è necessario un gruppo interdisciplinare di esperti. Il rinnovamento liturgico è auspicato anche per quanto riguarda le preghiere devozionali. In tutto questo lavoro di adattamento e di riforma, bisognerà tener conto della dimensione ecumenica. Lo spinoso problema della communicatio in sacris necessita di uno studio particolare.
C. L’ECUMENISMO (76-84)
“Perché tutti siano una sola cosa… affinché il mondo creda” (Gv 17,21). Questa preghiera di Cristo deve essere continuata dai Suoi discepoli in ogni tempo. La divisione dei cristiani è contraria alla volontà di Cristo, costituisce uno scandalo e ostacola l’annuncio e la testimonianza. La missione e l’ecumenismo sono strettamente legati. Le Chiese cattoliche e ortodosse hanno molto in comune, al punto che i Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI parlano di ‘comunione quasi completa’. Questo va messo in rilievo più delle differenze. Il Battesimo è il fondamento dei rapporti con le altre Chiese e Comunità ecclesiali, rendendo possibili e necessarie numerose azioni ed iniziative comuni. L’insegnamento religioso deve includere necessariamente l’ecumenismo. Qualsiasi azione o pubblicazione offensiva dovrebbe essere accuratamente evitata.
È necessario uno sforzo sincero per superare i pregiudizi, comprendersi meglio e mirare alla piena comunione nella fede, nei sacramenti e nel servizio gerarchico. Questo dialogo si svolge a vari livelli. A livello ufficiale, la Santa Sede intraprende iniziative con tutte le Chiese d’Oriente. Le Chiese orientali cattoliche vi sono rappresentate. Bisogna individuare una nuova forma di esercizio del primato, senza rinunciare all’essenziale della missione del Vescovo di Roma [5] .È auspicabile istituire commissioni locali di dialogo ecumenico. Lo studio della storia delle Chiese orientali cattoliche, come pure di quella della Chiesa di tradizione latina, consentirebbe di chiarire il contesto, la mentalità e le prospettive legate alla loro origine.
L’azione ecumenica necessita di comportamenti adeguati: la preghiera, la conversione, la santificazione e lo scambio reciproco dei doni, in uno spirito di rispetto, amicizia, carità reciproca, solidarietà e collaborazione. Bisogna coltivare e incoraggiare tali atteggiamenti attraverso l’insegnamento e i vari media. Il dialogo è uno strumento essenziale dell’ecumenismo. Esso richiede un atteggiamento positivo di comprensione, di ascolto e di apertura all’altro. Ciò aiuterà a superare le diffidenze e a lavorare insieme per sviluppare i valori religiosi e collaborare ai progetti di utilità sociale. I problemi comuni devono essere affrontati insieme.
Dobbiamo anche potenziare le istituzioni e le iniziative che esprimono e sostengono l’unità, come il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e la Settimana di Preghiera per l’Unità dei cristiani. La ‘purificazione della memoria’ è un passo importante nella ricerca della piena unità. La collaborazione e la cooperazione negli studi biblici, teologici, patristici e culturali, favoriscono lo spirito di dialogo. Si potrebbe avviare un’azione comune per la formazione di esperti dei mezzi di comunicazione nelle lingue locali. Nell’annuncio e nella missione, si eviterà accuratamente ogni tipo di proselitismo e qualsiasi mezzo contrario al Vangelo. È necessario fare uno sforzo per unificare le feste di Natale e di Pasqua.
D. RAPPORTI CON L’EBRAISMO
1. Vaticano II: fondamento teologico del legame con l’ebraismo (85-87)
La Dichiarazione ‘Nostra aetate’ del Concilio Vaticano II tratta specificatamente del rapporto tra la Chiesa e le religioni non cristiane. L’ebraismo vi occupa un posto di rilievo. Questo documento rientra nel contesto di due costituzioni dogmatiche: la ‘Lumen gentium’ sulla Chiesa, e la ‘Dei Verbum’, sulla rivelazione. La prima afferma che il Popolo dell’Antico Testamento ha ricevuto le alleanze e le promesse e che Cristo proviene, secondo la carne, da questo popolo che continua in quello della Nuova Alleanza, ed enuncia le prefigurazioni veterotestamentarie della Chiesa. La seconda costituzione considera l’Antico Testamento come una preparazione al Vangelo e una parte integrante della storia della Salvezza.
2. Magistero attuale della Chiesa (88-89)
Sulla base di questi principi teologici, si sono avute delle iniziative di dialogo, a livello della Santa Sede e delle Chiese locali. Il conflitto israelo-palestinese ha le sue ripercussioni nei rapporti tra cristiani ed ebrei. A più riprese, la Santa Sede ha chiaramente espresso la sua posizione, soprattutto in occasione della visita di S.S. il Papa Benedetto XVI in Terra Santa nel 2009.
Ai Palestinesi, ha affermato il loro diritto ad una patria sovrana, sicura e in pace con i propri vicini, all’interno di frontiere riconosciute internazionalmente [6]. A Gerusalemme si è affermato che “La città è chiamata la madre di tutti gli uomini. Una madre può avere molti figli, che essa deve riunire e non dividere…”[7]. Agli israeliani, ha augurato ancora che i due popoli possano vivere in pace, ciascuno nella propria patria, con frontiere sicure, internazionalmente riconosciute [8]. Al capo dello Stato israeliano ha detto che: “una durevole sicurezza è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’onestà, suggellata dalla conversione dei cuori …” [9]
3. Desiderio e difficoltà del dialogo con l’ebraismo (90-94)
Le nostre Chiese rifiutano l’antisemitismo e l’antiebraismo. Le difficoltà dei rapporti fra i popoli arabi e il popolo ebreo sono dovute piuttosto alla situazione politica conflittuale. Noi distinguiamo tra realtà religiosa e realtà politica. I cristiani hanno la missione di essere artefici di riconciliazione e di pace, basate sulla giustizia per entrambe le parti. Vi sono delle iniziative pastorali locali di dialogo con l’ebraismo, come ad esempio la preghiera in comune, principalmente a partire dai Salmi, e la lettura e meditazione dei testi biblici.
Questo crea buone disposizioni per invocare insieme la pace, la riconciliazione, il perdono reciproco e i buoni rapporti. Il problema sorge quando, di alcuni versetti della Bibbia, si danno interpretazioni tendenziose, per giustificare o favorire la violenza. La lettura dell’Antico Testamento e l’approfondimento della tradizione dell’ebraismo aiutano a conoscere meglio la religione ebraica. Offrono un terreno comune a studi seri e contribuiscono a conoscere meglio il Nuovo Testamento e le Tradizioni orientali. Nella realtà attuale sono presenti altre forme di collaborazione.
E. RAPPORTI CON I M
USULMANI (95-99)
La Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II stabilisce anche il fondamento dei rapporti della Chiesa cattolica con i musulmani. Vi si legge: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini” [10]. Dopo il Concilio, fra i rappresentanti delle sue religioni si sono avuti numerosi incontri. All’inizio del suo pontificato, Papa Benedetto XVI ha affermato: “Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro” [11]
Successivamente, il Santo Padre ha visitato la Moschea Blu di Istanbul, Turchia (30 maggio 2006) e quella di Al-Hussein Bin Talal ad Amman, Giordania (11 maggio 2009). Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso realizza incontri di dialogo di importanza essenziale. Si raccomanda la creazione di commissioni locali di dialogo interreligioso. È necessario dare il primo posto al dialogo di vita, che offre l’esempio di una testimonianza silenziosa eloquente e che a volte è l’unico mezzo per proclamare il Regno di Dio. Solo i cristiani che danno una testimonianza di fede autentica sono qualificati per un dialogo interreligioso credibile. Abbiamo bisogno di educare i nostri fedeli al dialogo.
Le ragioni per intrecciare rapporti tra cristiani e musulmani sono molteplici. Tutti sono connazionali, condividono la stessa lingua e la stessa cultura, come pure le gioie e le sofferenze. Inoltre, i cristiani hanno la missione di vivere come testimoni di Cristo nelle loro società. Fin dalla sua nascita, l’Islam ha trovato radici comuni con il Cristianesimo e l’Ebraismo, come ha detto il Santo Padre [12]. Deve essere maggiormente valorizzata la letteratura arabo-cristiana.L’Islam non è uniforme, esso presenta una diversità confessionale, culturale e ideologica. Alcune difficoltà nei rapporti tra cristiani e musulmani derivano dal fatto che in generale i musulmani non fanno distinzione fra religione e politica. Deriva da qui il disagio dei cristiani per cui si sentono in una situazione di non-cittadini, benché siano a casa loro nel proprio paese, molto tempo prima dell’Islam. Abbiamo bisogno di un riconoscimento che passi dalla tolleranza alla giustizia e all’uguaglianza, basate sulla cittadinanza, la libertà religiosa e i diritti dell’uomo. Questa è la base e la garanzia per una buona coesistenza.
I cristiani tenderanno a radicarsi sempre di più nelle loro società e a non cedere alla tentazione di ripiegarsi su se stessi in quanto minoranza. Devono lavorare insieme per promuovere la giustizia, la pace, la libertà, i diritti dell’uomo, l’ambiente, i valori della vita e della famiglia. Bisogna affrontare le problematiche socio-politiche non come diritti da reclamare per i cristiani ma come diritti universali, che cristiani e musulmani difendono insieme per il bene di tutti. Dobbiamo abbandonare la logica della difesa dei diritti dei cristiani e impegnarci per il bene di tutti. I giovani avranno a cuore d’intraprendere azioni comuni in queste prospettive.
È necessario purificare i libri scolastici da qualsiasi pregiudizio sull’altro e da qualsiasi offesa o deformazione. Si cercherà piuttosto di comprendere il punto di vista dell’altro, pur rispettando le diversità di fede e di pratiche. Si valorizzeranno gli spazi comuni, soprattutto a livello spirituale e morale. La Santa Vergine Maria è un punto di incontro molto importante. La recente dichiarazione dell’Annunciazione come festa nazionale in Libano costituisce un esempio incoraggiante. La religione è costruttrice di unità e di armonia, oltre che espressione di comunione fra le persone e con Dio.
F. LA TESTIMONIANZA NELLA CITTA’ (100-117)
Tutti i cittadini dei nostri paesi devono affrontare insieme due sfide principali: la pace e la violenza. Le situazioni di guerre e conflitti che viviamo generano la violenza e vengono sfruttate dal terrorismo mondiale. L’Occidente viene identificato con il Cristianesimo e le scelte degli Stati vengono attribuite alla Chiesa. Oggi, invece, i governi occidentali sono laici e sempre più in contrasto con i principi della fede cristiana. È importante spiegare questa realtà e il senso di una laicità positiva, che distingue il politico dal religioso.
In questo contesto, il cristiano ha il dovere e la missione di presentare e vivere i valori evangelici. Deve anche portare la parola di verità (qawl al-haqq) davanti alle ingiustizie e alla violenza. Solo la pedagogia della pace è realistica, dal momento che la violenza ha portato soltanto sconfitte e disastri. Essere artefici di pace richiede molto coraggio. La preghiera per la pace è indispensabile, essendo, innanzitutto, un dono di Dio.
1. Ambiguità della modernità (103-105)
Nelle nostre società, l’influenza della modernizzazione, della globalizzazione e del laicismo si ripercuotono sui nostri cristiani. Tutte le nostre società sono invase dalla modernità, soprattutto dai canali televisivi mondiali e da internet. Essa porta nuovi valori ma ne fa perdere altri. È una realtà ambigua. Da una parte, attira con le sue promesse di benessere, di liberazione dalle tradizioni, di uguaglianza, di difesa dei diritti umani e di tutela dei deboli. Dall’altra, molti musulmani vedono in essa un volto ateo e immorale, una’invasione di culture fuorvianti e minacciose, a tal punto che alcuni la combattono con tutte le loro forze.
Anche per i cristiani la modernità rappresenta un rischio e porta con sé la minaccia del materialismo, dell’ateismo pratico, del relativismo e dell’indifferentismo, minacciando le nostre famiglie, le nostre società e le nostre Chiese. Nei nostri istituti educativi, come pure attraverso i media, dobbiamo formare persone capaci di discernere per scegliere solo il meglio. Dobbiamo ricordare il posto di Dio nella vita personale, familiare, ecclesiale e civile, e pregare maggiormente.
2. Musulmani e cristiani devono percorrere insieme il cammino comune (106-110)
Tutto ciò ne deriva il dovere che tutti, musulmani e cristiani, in quanto cittadini, dobbiamo agire insieme per il bene comune. Inoltre, i cristiani sono anche motivati dalla loro missione che è contribuire ad edificare una società più conforme ai valori del Vangelo, soprattutto la giustizia, la pace e l’amore. In questo, seguiremo l’esempio e le tracce delle generazioni di cristiani che hanno avuto un ruolo essenziale nella costruzione delle loro società. Molti sono stati dei pionieri della rinascita della cultura e della nazione araba. Anche oggi, nonostante l’esiguità del loro numero, il loro ruolo è riconosciuto e apprezzato, soprattutto nel campo dell’educazione, della cultura e della promozione sociale. Dovremo incoraggiare i nostri laici a impegnarsi sempre di più nella società.
Tutte le Costituzioni affermano l’uguaglianza dei cittadini. Ma negli stati a maggioranza musulmana, a parte qualche eccezione, l’Islam è la religione di Stato e la sharia è la fonte principale della legislazione. In alcuni Paesi o parte di questi, viene applicata a tutti i cittadini. Per lo statuto personale, alcuni paesi concedono ai non musulmani degli statuti particolari e ne riconoscono i tribunali in questo campo. Altri affidano ai tribunali ordinari l’applicazione degli statuti particolari dei non musulmani. Viene riconosciuta la libertà di culto, ma non la libertà di coscienza. Con l’avanzata dell’integralismo, aumentano gli attacchi contro i cristiani.
G. CONTRIBUTO SPECIFICO E INSOSTITUIBILE DEL CRISTIANO (111-117)
Il contributo specifico del cristiano alla propria società è insostituibile. Con la sua testimonianza e la sua azione, la arricchisce dei valori che Cristo ha portato all’umanità. Molti di questi valori sono comuni a quelli dei musulmani, per cui c’è la possibilità e
l’interesse a promuoverli insieme. La catechesi deve formare credenti che siano cittadini attivi. L’impegno sociale e politico privo dei valori del Vangelo è una contro-testimonianza.
In mezzo al conflitto israelo-palestinese, il cristiano può e deve portare il proprio contributo specifico per la giustizia e la pace, denunciando ogni violenza, incoraggiando il dialogo e facendo appello alla riconciliazione basata sul perdono reciproco per la forza dello Spirito Santo. È l’unica via per creare una realtà nuova e l’apporto cristiano può incoraggiare i responsabili politici a decidersi a crearla. Il cristiano ha anche la missione di sostenere quanti soffrono a causa delle situazioni di conflitto e aiutarli ad aprire il loro cuore all’azione dello Spirito.
L’applicazione di questi principi varia a seconda della situazione di ogni paese. È di primaria importanza educare i cristiani a contribuire al bene comune, come un dovere sacro. Lavoreranno con gli altri per la pace, lo sviluppo e l’armonia delle relazioni. Si sforzeranno di promuovere la libertà, la responsabilità e la cittadinanza, affinché il soggetto sia rispettato per se stesso e non in funzione della sua appartenenza confessionale o sociale. Esigeranno anche, con mezzi pacifici, il riconoscimento e il rispetto dei loro diritti.
L’amore gratuito per l’uomo è la nostra testimonianza più importante nella società. La esprimiamo e la viviamo nelle nostre strutture educative, sanitarie, sociali e caritative, attraverso l’accoglienza e il servizio dati a tutti, senza distinzioni. L’elemento che contraddistingue la nostra identità di cristiani è il servizio degli altri e non l’appartenenza confessionale. Il nostro primo compito è quello di vivere la fede, lasciar parlare le nostre azioni, vivere la verità e proclamarla nella carità, con coraggio, e praticare la solidarietà nelle nostre istituzioni. Dobbiamo vivere una fede adulta, non superficiale, sostenuta e vivificata dalla preghiera. La nostra credibilità esige la concordia all’interno della Chiesa, la promozione dell’unità fra i cristiani, una vita religiosa convinta e tradotta nella vita. Questa testimonianza eloquente richiede un’educazione e un accompagnamento permanenti, con i bambini, i giovani e gli adulti.
CONCLUSIONE
QUALE FUTURO PER I CRISTIANI DEL MEDIO ORIENTE?
“NON TEMERE, PICCOLO GREGGE!”
A. QUALE FUTURO PER I CRISTIANI DEL MEDIO ORIENTE? (118-119)
I contesti attuali sono fonte di difficoltà e di preoccupazione. Animati dallo Spirito Santo e guidati dal Vangelo, li affrontiamo nella speranza e nella fiducia filiale nella Divina Provvidenza. Siamo oggi un “piccolo resto”, ma il nostro comportamento e la nostra testimonianza possono fare di noi una presenza che conta. I conflitti e i problemi locali, come pure la politica internazionale, hanno generato nella regione lo squilibrio, la violenza e la fuga verso altre terre. È un motivo in più per assumere la nostra vocazione e la nostra missione di testimonianza, al servizio della società.
Davanti alla tentazione dello scoraggiamento, dobbiamo ricordare che siamo discepoli del Cristo risorto, vincitore del peccato e della morte. Ci ripete: “Non temere, piccolo gregge” (Lc 12,32). Da Lui, con Lui e per Lui, abbiamo un avvenire! Spetta a noi prenderlo in mano, in collaborazione con uomini di buona volontà, per la vitalità delle nostre Chiese e la crescita dei nostri Paesi, nella giustizia, nella pace e nell’uguaglianza. “Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza (2 Tim 1,7). Siamo guidati dalla nostra fede nella vocazione che il Signore ci ha affidato, sapendo che Lui stesso è impegnato con noi, per essere artefici di pace e creare una cultura di pace e di amore.
B. LA SPERANZA (120-123)
Cristo, nato in Terra Santa, ha portato l’unica vera speranza all’umanità. Da allora questa ha animato e sostenuto le persone e i popoli sofferenti. Essa rimane sorgente di fede, di carità e di gioia, anche in mezzo alle difficoltà e alle sfide, per formare testimoni del Cristo risorto, presente in mezzo a noi. Con Lui e per Lui, possiamo portare le nostre croci e le nostre sofferenze. Ci dà anche la forza di essere “collaboratori di Dio” (1 Cor 3,9), per contribuire alla costruzione del Regno di Dio sulla terra. Così prepareremo un avvenire migliore per le generazioni future.
Questo richiede da parte nostra una fede maggiore, una comunione maggiore e un amore maggiore. Le nostre Chiese hanno bisogno di credenti-testimoni, sia a livello di Pastori sia a livello di fedeli. L’annuncio della Buona Novella può essere fruttuoso solo se i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici sono infiammati dall’amore di Cristo e ardono dallo zelo di farlo conoscere e amare. Abbiamo fiducia che questo Sinodo non sarà solo un avvenimento passeggero, ma permetterà realmente allo Spirito di far muovere le nostre Chiese.
Ai cristiani di Terra Santa, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto queste parole a Gerusalemme, il 12 maggio 2009: “Siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa… qui c’è posto per tutti!”.[13]
Imploriamo la Santa Vergine Maria, così onorata e così amata nelle nostre Chiese, affinché formi i nostri cuori sull’esempio del cuore di suo Figlio Gesù. E accogliamo il suo invito: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5).
NOTE:
[1] Lettera dei Patriarchi Cattolici d’Oriente, 1992[2] Lettera dei Patriarchi Cattolici d’Oriente, 1991[3] Celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali, Amman, 9 maggio 2009[4] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 10[5] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Ut unum sint, 20 maggio 1995, 95[6] Cfr. Benedetto XVI, Cerimonia di benvenuto a Betlemme, 13 maggio 2009[7] Custodia di Terra-Santa, Commento della Messa nella Valle di Josaphat a Gerusalemme, 12 maggio 2009[8] Cfr. Benedetto XVI, Discorso all’aeroporto di Tel Aviv, 11 maggio 2009[9] Benedetto XVI, Discorso al Presidente d’Israele, 11 maggio 2009[10] Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione Nostra aetate, 3[11] Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti di alcune comunità musulmane, Colonia, 20 agosto 2005[12] Cfr. Benedetto XVI, Incontro con i giornalisti durante il volo, 8 maggio 2009[13] Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai cristiani di Terra Santa, Gerusalemme, 12 maggio 2009