di don Mauro Gagliardi
ROMA, mercoledì, 30 giugno 2010 (ZENIT.org).- Durante l'Anno Sacerdotale, da poco concluso, la rubrica Spirito della Liturgia ha sviluppato il tema de «Il sacerdote nella Celebrazione eucaristica», scelto a motivo della concomitanza, nel 2009-2010, di diversi anniversari: il 150° della morte del Santo Curato d'Ars (1859), il 40° di promulgazione del Messale di Paolo VI (1969) e il 440° del Messale di San Pio V (1570), che nell'edizione approvata dal beato Giovanni XXIII (1962) rappresenta la forma straordinaria del Rito Romano[1]. Di qui l'opportunità di mettere in luce la peculiare dignità del sacerdozio ordinato, approfondendo la teologia e la spiritualità della S. Messa, particolarmente nella prospettiva del ministro che la celebra.
In quest'ultimo articolo, col quale intendiamo anche congedarci dai nostri lettori prima della pausa estiva, vogliamo riflettere con la consueta brevità sul tema dell'ars celebrandi.
1. La situazione nel post-Concilio
Il Concilio Vaticano II ha ordinato una riforma generale della sacra liturgia[2]. Essa è stata effettuata, dopo la chiusura del Concilio, da una commissione comunemente detta, per brevità, il Consilium[3]. È noto che la riforma liturgica è stata sin dall'inizio oggetto tanto di critiche, a volte radicali, quanto di esaltazioni, in certi casi eccessive. Non è nostra intenzione soffermarci su questo problema. Possiamo invece dire che si è generalmente d'accordo nel notare un forte aumento degli abusi in campo celebrativo dopo il Concilio.
Anche il Magistero recente ha preso atto della situazione e in molti casi ha richiamato alla stretta osservanza delle norme e delle rubriche liturgiche. D'altro canto, le leggi liturgiche stabilite per la forma ordinaria (o di Paolo VI) - quella che, eccezioni a parte, si celebra sempre e dovunque nella Chiesa di oggi - sono molto più "aperte" rispetto al passato. Esse consentono molte eccezioni e diverse applicazioni, e anche prevedono molteplici formulari per i diversi riti (la pluriformità persino aumenta nel passaggio dalla editio typica latina alle versioni nazionali). Nonostante ciò, un gran numero di sacerdoti ritiene di dover ulteriormente ampliare lo spazio lasciato alla "creatività", che si esprime soprattutto con il frequente cambiamento di parole o di intere frasi rispetto a quelle fissate nei libri liturgici, con l'inserimento di "riti" nuovi e spesso del tutto estranei alla tradizione liturgica e teologica della Chiesa e anche con l'uso di paramenti, vasi sacri e arredi che non sempre sono adeguati e, in alcuni casi più rari, rasentano persino il ridicolo. Il liturgista Cesare Giraudo ha sintetizzato la situazione con queste parole:
«Se prima [della riforma liturgica] c'erano fissità, sclerosi di forme, innaturalezza, che rendevano la liturgia di allora una "liturgia di ferro", oggi ci sono naturalezza e spontaneismo, indubbiamente sinceri, ma spesso fraintesi, malintesi, che fanno - o perlomeno rischiano di fare - della liturgia una "liturgia di caucciù", sgusciante, glissante, saponosa, che a volte si esprime in un ostentato affrancamento da ogni normativa rubricale. [...] Questa spontaneità fraintesa, che si identifica di fatto con l'improvvisazione, la faciloneria, il pressappochismo, il permissivismo, è il nuovo "criterio" che affascina innumerevoli operatori della pastorale, sacerdoti e laici.
[...] Non parliamo poi di quei sacerdoti che, talvolta e in taluni luoghi, si arrogano il diritto di utilizzare preghiere eucaristiche selvagge, o di comporne lì per lì il testo o parti di esso»[4].
Papa Giovanni Paolo II, nell'enciclica Ecclesia de Eucharistia, ha manifestato il suo malcontento per gli abusi liturgici che spesso avvengono, particolarmente nella celebrazione della S. Messa, in quanto «l'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni»[5]. E ha aggiunto:
«Occorre purtroppo lamentare che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica post-conciliare, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti. Una certa reazione al "formalismo" ha portato qualcuno, specie in alcune regioni, a ritenere non obbliganti le "forme" scelte dalla grande tradizione liturgica della Chiesa e dal suo Magistero e a introdurre innovazioni non autorizzate e spesso del tutto sconvenienti.
Sento perciò il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un'espressione concreta dell'autentica ecclesialità dell'Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i misteri»[6].
2. Cause ed effetti del fenomeno
Il fenomeno della "disobbedienza liturgica" si è talmente esteso, per numero e in certi casi anche per gravità, da formare in molti una mentalità per la quale nella liturgia, fatte salve le parole della consacrazione eucaristica, si potrebbero apportare tutte le modifiche ritenute "pastoralmente" opportune dal sacerdote o dalla comunità. Questa situazione ha indotto lo stesso Giovanni Paolo II a chiedere alla Congregazione per il Culto Divino di preparare un'Istruzione disciplinare sulla Celebrazione dell'Eucaristia, pubblicata col titolo di Redemptionis Sacramentum il 25 marzo 2004. Nella citazione sopra riprodotta della Ecclesia de Eucharistia, si indicava nella reazione al formalismo una delle cause della "disobbedienza liturgica" del nostro tempo. La Redemptionis Sacramentum individua altre cause, tra cui un falso concetto di libertà[7] e l'ignoranza. Quest'ultima in particolare riguarda non solo la non conoscenza delle norme, ma anche una scarsa comprensione del valore storico e teologico di molti testi eucologici e riti: «Gli abusi trovano, infine, molto spesso fondamento nell'ignoranza, giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo, né si conosce l'antichità»[8].
Innestando il tema della fedeltà alle norme in una comprensione teologica e storica, nonché nel contesto dell'ecclesiologia di comunione, l'Istruzione afferma:
«Troppo grande è il Mistero dell'Eucaristia "perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale". [...] Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento, ma ledono il giusto diritto dei fedeli all'azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina. Inoltre, introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa Celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l'unità del popolo di Dio. Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di "secolarizzazione", confondono e rattristano notevolmente molti fedeli.
Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della Santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme. Allo stesso modo, il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della Santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa. È, infine, diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nell a Chiesa»[9].
Particolarmente significativo in questo testo è il richiamo al diritto dei fedeli di avere la liturgia celebrata secondo le norme universali della Chiesa, nonché la sottolineatura del fatto che trasformazioni e modifiche della liturgia - pur se operate per motivi "pastorali" - non hanno in realtà un effetto positivo in questo campo; al contrario confondono, turbano, stancano e possono perfino far allontanare i fedeli dalla pratica religiosa.
3. L'ars celebrandi
Ecco i motivi per i quali il Magistero negli ultimi quattro decenni ha richiamato diverse volte i sacerdoti all'importanza dell'ars celebrandi, la quale - se non consiste solo nella perfetta esecuzione dei riti in accordo alle rubriche, ma anche e soprattutto nello spirito di fede e adorazione con cui essi si celebrano - non si può però attuare se ci si discosta dalle norme fissate per la celebrazione[10]. Così si esprime ad esempio il Santo Padre Benedetto XVI:
«Il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L'ars celebrandi è la migliore condizione per l'actuosa participatio. L'ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cf. 1Pt 2,4-5.9)»[11].
Richiamando questi aspetti, non si deve cadere nell'errore di dimenticare i frutti positivi prodotti dal movimento di rinnovamento liturgico. Il problema segnalato, tuttavia, sussiste ed è importante che la soluzione ad esso parta dai sacerdoti, i quali devono impegnarsi innanzitutto a conoscere in maniera approfondita i libri liturgici e anche a metterne fedelmente in pratica le prescrizioni. Solo la conoscenza delle leggi liturgiche e il desiderio di attenersi strettamente ad esse impedirà ulteriori abusi ed "innovazioni" arbitrarie che, se sul momento possono forse emozionare i presenti, in realtà finiscono presto per stancare e deludere. Fatte salve le migliori intenzioni di chi la commette, dopo quarant'anni di esperienza in merito possiamo riconoscere che la "disobbedienza liturgica" non costruisce affatto comunità cristiane migliori, ma al contrario mette in pericolo la solidità della loro fede e della loro appartenenza all'unità della Chiesa Cattolica. Non si può utilizzare il carattere più "aperto" delle nuove norme liturgiche come pretesto per snaturare il culto pubblico della Chiesa:
«Le nuove norme hanno di molto semplificato le formule, i gesti, gli atti liturgici [...]. Ma neppure in questo campo non si deve andare oltre a quello che è stabilito: difatti, così facendo, si spoglierebbe la liturgia dei segni sacri e della sua bellezza, che sono necessari, perché sia veramente attuato nella Comunità cristiana il mistero della salvezza e sia anche compreso sotto il velo delle realtà visibili, attraverso una catechesi appropriata. La riforma liturgica infatti non è sinonimo di desacralizzazione, né vuole essere motivo per quel fenomeno che chiamano la secolarizzazione del mondo. Bisogna perciò conservare ai riti dignità, serietà, sacralità»[12].
Tra le grazie che speriamo di poter ottenere dalla celebrazione dell'Anno Sacerdotale vi è pertanto anche quella di un vero rinnovamento liturgico in seno alla Chiesa, affinché la sacra liturgia sia compresa e vissuta per quello che essa è in realtà: il culto pubblico e integrale del Corpo Mistico di Cristo, Capo e membra, culto di adorazione che glorifica Dio e santifica gli uomini[13].
Note
1) Cf. M. Gagliardi, «Il sacerdote nella Celebrazione eucaristica», Zenit 11.11.2009: http://www.zenit.org/article-20283?l=italian.
2) Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 21.
3) Abbreviazione di Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia.
4) C. Giraudo, «La costituzione "Sacrosanctum Concilium": il primo grande dono del Vaticano II», in La Civiltà Cattolica (2003/IV), pp. 532; 531.
5) Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 10.
6) Ibid., n. 52. Cf. anche Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 28.
7) «Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto»: Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis Sacramentum, n. 7.
8) Ibid., n. 9.
9) Ibid., nn. 11-12.
10) Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum Mysterium, n. 20: «Per favorire il corretto svolgimento della sacra celebrazione e la partecipazione attiva dei fedeli, i ministri non debbono limitarsi a svolgere il loro servizio con esattezza, secondo le leggi liturgiche, ma debbono comportarsi in modo da inculcare, per mezzo di esso, il senso delle cose sacre».
11) Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 38. Si veda il n. 40 che sviluppa adeguatamente il concetto.
12) Sacra Congregazione per il Culto Divino, Liturgicae instaurationes, n. 1. Il testo continua: «L'efficacia delle azioni liturgiche non sta nella ricerca continua di novità rituali, o di ulteriori semplificazioni, ma nell'approfondimento della parola di Dio e del mistero celebrato, la cui presenza è assicurata dall'osservanza dei riti della Chiesa e non da quelli imposti dal gusto personale di un singolo sacerdote. Si tenga presente, poi, che la imposizione di rifacimenti personali dei sacri riti da parte del sacerdote offende la dignità dei fedeli, e apre la via all'individualismo e al personalismo nella celebrazione di azioni che direttamente appartengono a tutta quanta la Chiesa».
13) Cf. Pio XII, Mediator Dei, I, 1; Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 7.