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Cari amici,
La celebrazione di questa sera ha un tono particolarmente grave. Nella solenne cornice della Basilica di Santa Maria in Trastevere, la Comunità di Sant’Egidio, assieme ad altre associazioni, ha voluto questa Veglia di Preghiera nella ricorrenza annuale della Giornata Mondiale dei Rifugiati, promossa dalle Nazioni Unite. E noi abbiamo risposto numerosi all’appello, ritrovandoci qui per ricordare per nome volti e storie di uomini e donne, bambini e anziani che hanno perso la vita mentre compivano il viaggio della speranza, in fuga dai loro Paesi martoriati da situazioni difficili e, a volte, inumane – come in Asia e in Africa –, verso altri Paesi, sognati come zone di libertà, di sicurezza e di vita dignitosa – come in Europa e in America.
Ecco, questa sera siamo qui in tanti, donne e uomini provenienti da molti Paesi diversi, appartenenti a religioni e a tradizioni culturali diverse, per non dimenticare migliaia di fratelli e sorelle che hanno incontrato la morte nel lungo e sofferto cammino intrapreso per uscire dalla miseria, dall’oppressione, dalla violenza o dalla guerra. Virtualmente, desideriamo dare loro sepoltura, creando per ognuno di loro un posto affettuoso nel nostro cuore e nel cuore di questa città.
Sappiamo tutti che i movimenti migratori, soprattutto negli ultimi anni, hanno assunto le dimensioni di vere e proprie crisi umanitarie. Innanzitutto per le caratteristiche da esodo biblico di tale fenomeno, sempre più spesso divorato dalla voracità senza scrupoli della criminalità organizzata e fatto di mille avventure con caratteristiche disumane e, purtroppo, persino tragiche. Non possiamo tacere, poi, la prepotente rinascita del traffico di schiavi, che interessa oggi circa un milione di persone l’anno, destinate al mercato della prostituzione, al lavoro coatto, al traffico di organi umani e alla sessualità minorile.
La nostra Veglia, questa sera, ci richiama alla coscienza le storie di persone che si sono messe in cammino, spinte dalla speranza di approdare ad una terra accogliente, ma hanno trovato la morte lungo il loro viaggio carico di sofferenza e di dolore.
Pensiamo ai tragitti dall’entroterra e dalle coste nord-africane ai territori dell’Unione Europea, per mare e per terra, ma anche ai percorsi interni e internazionali dei Paesi africani e di quelli asiatici; pensiamo agli itinerari che solcano i Paesi dell’America Latina e di quella Centrale verso i Paesi nord-americani: ovunque nel mondo d’oggi vi sono persone che affrontano i disagi dello sradicamento e si avventurano verso nuove “terre promesse”. Abbiamo davanti agli occhi persone che tentano la fuga da difficili circostanze individuali e familiari, alla ricerca di strategie di sopravvivenza; motivate da condizioni socio-economiche nelle zone d’origine e in quelle di destinazione; spinte dalla lentezza e dall’iniquità del processo di sviluppo; non di rado vittime di errate politiche nazionali e internazionali.
Spesso la migrazione è determinata dalla povertà ma può anche esserne causa, così come la povertà può essere alleviata o aggravata dai processi migratori. Con grande frequenza, comunque, la fuga all’estero riduce risorse umane importanti, se teniamo conto che in alcuni Paesi si porta via fino al 60% delle persone con educazione superiore, lasciandosi dietro una comunità privata delle sue donne e dei suoi uomini migliori.
Fratelli e sorelle, il brano di Vangelo che abbiamo appena letto ci introduce nel mistero della fraternità universale, fondata nella paternità divina e nell’adozione filiale, di cui siamo stati resi partecipi in Gesù Cristo. Abbiamo sentito proclamare, e tra poco diremo tutti insieme, che Dio è “Padre nostro”, cioè unica fonte della vita per tutti gli esseri umani, che nel sangue di Cristo ricevono la vocazione a formare l’unica famiglia dei popoli e delle Nazioni. Dio si è rivelato nell’affettuosità di un Padre. Dio vuol vivere con noi nell’intimità di una sola famiglia, che pur vive situazioni di tensione e di sofferenza, ma che sa anche apprezzare gli sforzi della solidarietà e promuove la fatica dell’accoglienza e della reciproca ospitalità.
Dobbiamo dire con tristezza, purtroppo, che anche nella società che si affaccia al terzo millennio esistono enormi disparità: milioni di persone, nei Paesi in via di sviluppo, ripetono la storia evangelica del povero Lazzaro, aspirando a sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa eccessivamente imbandita dei padroni del mondo. Anzi, non capita raramente che incorrano nel “reato di clandestinità” se per caso riescono ad entrare nella casa del ricco senza essere stati invitati. Qui subentra il discorso dell’immigrazione irregolare, che ha mietuto tante vittime – e ancora continua a colpire – tra coloro che sono annegati tentando di attraversare il mare su improvvisate carrette, o sono morti di stenti affrontando il deserto senza opportune precauzioni, o hanno perso la vita stritolati dalle ruote degli automezzi nei quali hanno cercato un nascondiglio per passare la frontiera.
Qui, poi, metto il dito nella piaga, affrontando un discorso tanto più scottante nei casi in cui questa immigrazione si trasforma in traffico e sfruttamento quasi schiavistico di “carne umana”.
La Chiesa condanna tali misfatti e invoca una gestione regolata dei flussi migratori, peraltro prendendo atto, con molto realismo, che i Paesi industrializzati, che non sempre sono in grado di assorbire l’intero numero di coloro che si avviano all’emigrazione, debbano dotarsi di misure che garantiscano sicurezza e legalità sia per gli autoctoni che per i nuovi arrivati. Nello stesso tempo, la Chiesa chiama tutti a prendersi le proprie responsabilità e a trovare soluzioni che non siano solo quelle di un inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e di una chiusura più ermetica delle frontiere. Rientrano in queste soluzioni gli interventi che vanno al di là delle dichiarazioni verbali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, in modo da promuovere una lotta senza quartiere ai trafficanti di esseri umani, una programmazione razionale dei flussi di ingresso regolare, una maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico; va tutelato, infine, il diritto al ricongiungimento familiare, garanzia di coesione e di stabilità per i singoli e per la società.
Lo ha raccomandato il Santo Padre Benedetto XVI, quando recentemente ha accolto in udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, e ha detto che “prospettive di convivenza tra i popoli possono essere offerte tramite linee oculate e concertate per l’accoglienza e l’integrazione, consentendo occasioni di ingresso nella legalità, favorendo il giusto diritto al ricongiungimento familiare, all’asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffico di persone”.
Care sorelle e cari fratelli,
C’è, nella nostra vita di ogni giorno, qualcosa di eterno che si crea e si rivela, e la Veglia di questa sera celebra questo valore, contenuto nelle nostre azioni quotidiane. Dobbiamo fare della nostra famiglia che prega una Sacra Famiglia, una famiglia, cioè, in cui si accetta di non capire tutto, ma ci si impegna con ogni mezzo per superare conflitti e incomprensioni; dove si accetta di credere sempre, di amarsi sempre, malgrado delusioni, ritardi e inadempienze.
Certo, è difficile realizzare tutto questo, soprattutto nella famiglia emigrata, esposta a tanti pericoli e difficoltà: il problema dell’integrazione, sempre più difficile, nella nuova società; la relazione, sempre più problematica, tra genitori e figli; la convivenza tra generazioni diverse, che diventa sempre più difficoltosa e conflittuale, a causa della differente cultura che i figli recepiscono nel nuovo ambiente; il p
roblema della trasmissione dei valori familiari nell’intervento educativo; la questione dell’inserimento dei figli nel processo scolastico.
Una vera politica migratoria, dunque, deve tendere a elaborare precise normative che assicurino stabilità e garantiscano a tutti la difesa dei propri diritti. La Chiesa non rivendica specifiche competenze nell’elaborazione di tali progetti: si riserva, però, di concorrere con opportune proposte perché gli orientamenti si ispirino ai diritti fondamentali della persona umana e alla grande tradizione della nostra civiltà cristiana. Tocca poi ai laici cristiani, ai gruppi, alle associazioni e agli organismi di ispirazione ecclesiale assicurare a tali misure una maggiore concretezza, in base alla loro specifica competenza ed esperienza, e sollecitare, di conseguenza, precise scelte operative. Al di là dei piani normativi, comunque, è necessaria una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze.
Sotto l’aspetto positivo, l’educazione deve ispirarsi a quella gamma di valori, sentimenti e comportamenti che vanno sotto i nomi di accoglienza, comprensione, solidarietà, convivenza e convivialità.
Sotto l’aspetto negativo, va controllato e rimosso quel groviglio di impulsi e atteggiamenti che prendono le diverse coloriture del sospetto, del pregiudizio, dell’intolleranza e del rifiuto fino alle forme più esasperate della xenofobia e del razzismo.
Si parla tanto, oggi, della necessità del dialogo tra le culture. Noi qui riuniti, questa sera, siamo portatori e antesignani – se lo vogliamo – di un nuovo modo di dialogare: si tratta di un dialogo “di vita”, di un dialogo cioè tra persone di diversa cultura e religione e che si sbriciola nella vita quotidiana: sulle scale di casa con un saluto cordiale, sul posto di lavoro con atti di solidarietà, con la partecipazione ai problemi degli altri, sui banchi di questa Chiesa con sentimenti di misericordia e di perdono. Un dialogo che dice soprattutto capacità di convivere con gli altri, di ascoltarli, di capirli, di accettarli con la loro mentalità e che tocca così intimamente il vissuto delle persone, le loro ansie e preoccupazioni.
Seguendo questi suggerimenti, sono certo che riusciremo a tracciare, nella società di oggi, un vero “itinerario di pace” e sconfiggeremo la prepotenza di chi preferisce l’uso della forza invece di quello dell’amore, della comprensione e della solidarietà.
Raccogliamo dunque, l’invito a divenire sempre più coscienti dell’enorme forza della testimonianza. Se altri scoprono che noi abbiamo trovato un tesoro vedendoci attenti agli uomini e alle donne che vivono il dramma dell’emigrazione e che in esso hanno addirittura perso la vita, se percepiscono che siamo ricolmi di speranza in quanto impegnati nel campo della giustizia e nella tutela della dignità di ogni persona umana migrante, se colgono il nostro impegno nel sensibilizzare le Chiese locali e la società ad essere ospitali e trasparenti nella comunione, anch’essi saranno invogliati come noi ad investire speranza ed energie perché la comunione diventi realtà.
La Madonna, Regina della pace, ci protegga e ci aiuti in questo compito così difficile ma anche così attuale e affascinante, perché nel mondo d’oggi possiamo portare la testimonianza della presenza di Cristo risorto, Principe della pace.
Sia lodato Gesù Cristo.