di Roberta Sciamplicotti
GINEVRA, mercoledì, 23 giugno 2010 (ZENIT.org).- Di fronte all'altissimo numero di donne che continuano a morire di parto nel mondo, la Santa Sede chiede un'azione urgente per porre fine a questa piaga.
Si è fatto portavoce di questa richiesta l'Arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite, intervenendo il 14 giugno alla XIV Sessione Ordinaria del Consiglio dei Diritti dell'Uomo a Ginevra (Svizzera).
Basandosi sull'"impegno e l'esperienza della Chiesa cattolica nell'assistere le madri e i neonati", "soprattutto attraverso i suoi ospedali e le cliniche di maternità e pediatriche", il presule ha espresso l'"urgente preoccupazione" vaticana nei confronti di questo problema.
E' intollerabile, ha spiegato, "lo scioccante numero delle morti materne che continua a verificarsi - che fonti affidabili stimano nelle 350.000 unità ogni anno - soprattutto tra le popolazioni più povere ed emarginate".
Il presule ha ricordato che l'approccio della Santa Sede nei confronti della mortalità materna è "olistico", perché "dà priorità ai diritti delle madri e dei bambini, sia di quelli già nati che di quanti sono ancora nel grembo materno".
"Non sorprende la forte correlazione tra le statistiche relative alla mortalità materna e quelle che si riferiscono alla morte neonatale", ha sottolineato.
Ciò indica che molte misure volte a combattere la mortalità materna contribuiscono anche a ridurre quella infantile.
Monsignor Tomasi ha poi invitato a non dimenticare che ogni anno 3 milioni di bambini muoiono nei primi sette giorni di vita, altri 3 milioni nascono morti e 2,3 milioni muoiono prima del primo compleanno.
Misure urgenti
In questo panorama desolante, il rappresentante vaticano ha chiesto un'azione urgente.
Dei miglioramenti, ha riconosciuto, sono stati raggiunti grazie ad elementi come "un più alto reddito pro-capite, tassi di istruzione più alti tra le donne e una crescente disponibilità di cure mediche di base, compresi assistenti al parto preparati".
Uno studio recente sulla mortalità materna, ha ricordato, ha poi suggerito che in Africa questo fenomeno deplorevole potrebbe essere ridotto in modo significativo se le madri affette da Hiv avessero accesso ai farmaci antiretrovirali.
Allo stesso modo, "la disponibilità di assistenza ostetrica d'emergenza, inclusa l'assistenza pre- e post-parto universale, trasporti idonei alle strutture mediche in caso di necessità, assistenti al parto preparati, riserve di sangue e acqua puliti, antibiotici appropriati e l'introduzione dell'età minima di 18 anni per il matrimonio potrebbero beneficiare sia le madri che i loro bambini".
Se la comunità internazionale vuole ridurre in modo efficace "i tragici tassi di mortalità materna", ha segnalato, "bisognerebbe non solo parlare della promozione del diritto alla salute e dell'accesso ai medicinali, ma anche mettere in pratica queste intenzioni".
Questa responsabilità, ha sottolineato, ricade sugli Stati, ma anche sulle organizzazioni non governative e sulla società civile.
"Le politiche volte a combattere la mortalità materna e quella infantile devono raggiungere un equilibrio tra i diritti della madre e quelli del bambino, perché entrambi sono portatori di diritti, il primo dei quali è il diritto alla vita", ha dichiarato monsignor Tomasi.
"Le cliniche per la maternità e gli ospedali promossi dalla Chiesa cattolica fanno esatamente questo - ha concluso -: salvano la vita sia della madre che del figlio, nato o ancora non nato".