Il Pakistan usa scuse per non porre fine alla discriminazione religiosa

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ROMA, martedì, 22 giugno 2010 (ZENIT.org).- In Pakistan, “con la scusa dell’identità islamica e della guerra al terrore, il Governo mantiene in vigore le leggi di discriminazione religiosa”.

Lo ha denunciato ad AsiaNews Peter Jacob, segretario generale della Commissione episcopale pakistana giustizia e pace, in visita in Europa.

La guerra al terrorismo e l’identità islamica “sono due potenti scuse con cui il Governo del Paese si oppone all’abrogazione delle leggi sulla blasfemia e delle altre norme che discriminano i non musulmani”, ha sottolineato.

“Ma i pronunciamenti dell’Unione europea e quelli di Washington sull’argomento ci fanno capire che non siamo soli nella nostra lotta”, ha aggiunto.

Jacob si riferisce alla legge sulla blasfemia, che punisce anche con la morte chi dissacra il Corano e il Profeta Maometto, e alle ordinanze Hudood, che impongono alla popolazione vari comportamenti in linea con gli insegnamenti religiosi.

L’obiettivo della visita di Jacob in Europa è stato la partecipazione al Pakistan Support Group a Ginevra (Svizzera), “una rete di gruppi internazionali che opera sotto l’egida delle Nazioni Unite”.

“Ci incontriamo una volta l’anno per discutere dei problemi che affliggono il nostro Paese: questa volta, i punti principali erano le leggi di discriminazione religiosa e il problema dell’educazione, sempre più interconnessa all’estremismo”, ha spiegato.

“La nuova legge sulla scuola è sostanzialmente identica alla vecchia, e discrimina i non musulmani, mettendo nelle lezioni e nei libri di testo dei messaggi sbagliati e pericolosi”.

Dall’altro lato, i parlamentari “sono molto spaventati dalla questione religiosa, e le lobby estremiste che spingono per mantenerle in vigore lavorano con molta forza. Non credo possa cambiare molto, in breve tempo: sono leggi che richiedono tempo per essere cambiate”.

“Fare pressione sul nostro Governo perché faccia qualcosa di concreto non è molto facile, perché Islamabad ha una serie di scuse per mantenere la propria posizione”, ha riconosciuto Jacob.

“Da una parte c’è la lotta al terrorismo, che impone di mantenere nel Paese lo stato di emergenza e, di conseguenza, non fare nulla. Dall’altra parte c’è la questione dell’identità pakistana: pur avendo Costituzione e leggi laiche, i politici di parte spingono per mantenere la situazione così com’è in nome dell’islam”.

In questo contesto, la Chiesa cattolica cerca di far sentire la propria voce “in ogni modo, soprattutto nei forum internazionali”.

“Fortunatamente, questa battaglia contro la discriminazione è condivisa da molti settori della società civile pakistana”, ha constatato.

“Speriamo che prima o poi arrivi il giorno in cui anche il Governo capisca l’inutilità e la crudeltà di queste leggi, e faccia qualcosa per migliorare la situazione”.

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ZENIT Staff

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