Santa Sede: di fronte alle migrazioni, serve un "dialogo di vita"

L’Arcivescovo Vegliò a una Veglia di preghiera per la Giornata del Rifugiato

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ROMA, giovedì, 17 giugno 2010 (ZENIT.org).- In un contesto come quello odierno, caratterizzato sempre più dalle migrazioni, è necessario un “dialogo di vita” che permetta di superare diffidenze e preconcetti.

Lo ha affermato l’Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, nell’omelia ha pronunciato questo giovedì pomeriggio nella Basilica romana di S. Maria in Trastevere durante la Veglia ecumenica di Preghiera che ha luogo da alcuni anni quasi in concomitanza con la Giornata Mondiale del Rifugiato, che si celebrerà questa domenica, 20 giugno.

Nel suo intervento, il presule ha ricordato che i movimenti migratori, soprattutto negli ultimi anni, hanno assunto “le dimensioni di vere e proprie crisi umanitarie”.

Ciò, ha spiegato, è dovuto alle “caratteristiche da esodo biblico di tale fenomeno, sempre più spesso divorato dalla voracità senza scrupoli della criminalità organizzata e fatto di mille avventure con caratteristiche disumane e, purtroppo, persino tragiche”, e alla “prepotente rinascita del traffico di schiavi, che interessa oggi circa un milione di persone l’anno, destinate al mercato della prostituzione, al lavoro coatto, al traffico di organi umani e alla sessualità minorile”.

“Ovunque nel mondo d’oggi vi sono persone che affrontano i disagi dello sradicamento e si avventurano verso nuove ‘terre promesse’ – ha sottolineato -. Abbiamo davanti agli occhi persone che tentano la fuga da difficili circostanze individuali e familiari, alla ricerca di strategie di sopravvivenza; motivate da condizioni socio-economiche nelle zone d’origine e in quelle di destinazione; spinte dalla lentezza e dall’iniquità del processo di sviluppo; non di rado vittime di errate politiche nazionali e internazionali”.

In questo contesto, serve un “nuovo modo di dialogare”: “un dialogo ‘di vita’”, cioè “tra persone di diversa cultura e religione e che si sbriciola nella vita quotidiana”.

“Un dialogo che dice soprattutto capacità di convivere con gli altri, di ascoltarli, di capirli, di accettarli con la loro mentalità e che tocca così intimamente il vissuto delle persone, le loro ansie e preoccupazioni”.

La migrazione, ha ricordato il presidente del dicastero vaticano, è spesso determinata dalla povertà, “ma può anche esserne causa”, “così come la povertà può essere alleviata o aggravata dai processi migratori”.

Le migrazioni all’estero, ha sottolineato, privano i Paesi di risorse umane importanti, visto che in alcuni casi emigra “fino al 60% delle persone con educazione superiore, lasciandosi dietro una comunità privata delle sue donne e dei suoi uomini migliori”.

Una piaga che si aggiunge al fenomeno, ha aggiunto il presule, è l’immigrazione irregolare, “che ha mietuto tante vittime – e ancora continua a colpire – tra coloro che sono annegati tentando di attraversare il mare su improvvisate carrette, o sono morti di stenti affrontando il deserto senza opportune precauzioni, o hanno perso la vita stritolati dalle ruote degli automezzi nei quali hanno cercato un nascondiglio per passare la frontiera”.

La voce della Chiesa

In questo contesto, la Chiesa condanna “invoca una gestione regolata dei flussi migratori, peraltro prendendo atto, con molto realismo, che i Paesi industrializzati, che non sempre sono in grado di assorbire l’intero numero di coloro che si avviano all’emigrazione, debbano dotarsi di misure che garantiscano sicurezza e legalità sia per gli autoctoni che per i nuovi arrivati”.

Al contempo, “chiama tutti a prendersi le proprie responsabilità e a trovare soluzioni che non siano solo quelle di un inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e di una chiusura più ermetica delle frontiere”.

“La Chiesa non rivendica specifiche competenze nell’elaborazione di tali progetti – ha chiarito -: si riserva, però, di concorrere con opportune proposte perché gli orientamenti si ispirino ai diritti fondamentali della persona umana e alla grande tradizione della nostra civiltà cristiana”.

“Tocca poi ai laici cristiani, ai gruppi, alle associazioni e agli organismi di ispirazione ecclesiale assicurare a tali misure una maggiore concretezza, in base alla loro specifica competenza ed esperienza, e sollecitare, di conseguenza, precise scelte operative”.

Al di là dei piani normativi, ad ogni modo, è necessaria “una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze”.

Sotto l’aspetto positivo, “l’educazione deve ispirarsi a quella gamma di valori, sentimenti e comportamenti che vanno sotto i nomi di accoglienza, comprensione, solidarietà, convivenza e convivialità”; sotto l’aspetto negativo, “va controllato e rimosso quel groviglio di impulsi e atteggiamenti che prendono le diverse coloriture del sospetto, del pregiudizio, dell’intolleranza e del rifiuto fino alle forme più esasperate della xenofobia e del razzismo”.

Il presule ha infine invitato a “divenire sempre più coscienti dell’enorme forza della testimonianza”: “se altri scoprono che noi abbiamo trovato un tesoro vedendoci attenti agli uomini e alle donne che vivono il dramma dell’emigrazione e che in esso hanno addirittura perso la vita, se percepiscono che siamo ricolmi di speranza in quanto impegnati nel campo della giustizia e nella tutela della dignità di ogni persona umana migrante, se colgono il nostro impegno nel sensibilizzare le Chiese locali e la società ad essere ospitali e trasparenti nella comunione, anch’essi saranno invogliati come noi ad investire speranza ed energie perché la comunione diventi realtà”.

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ZENIT Staff

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